L’UE si prepara per un possibile conflitto armato con la Russia
All’insaputa dei cittadini europei, l’UE e i suoi paesi membri stanno adottando misure per uno scontro di lungo periodo con Mosca, che potrebbe facilitare una guerra paneuropea.
Il conflitto ucraino sta determinando una silenziosa trasformazione dell’Unione Europea. “Silenziosa” perché avviene lontano da ogni dibattito pubblico e dalla consapevolezza dei suoi cittadini.
L’UE si sta trasformando da organizzazione non-militare, finalizzata in primo luogo allo sviluppo economico degli stati membri, in un’entità la cui struttura è direttamente plasmata da obiettivi di difesa e di natura strategico-militare.
Questi aspetti, una volta delegati alla NATO, stanno divenendo prioritari nell’architettura dell’UE, senza che le popolazioni degli stati membri abbiano minimamente preso parte al processo decisionale che li determina.
Tale processo è invece strutturato verticisticamente, dall’alto verso il basso, avendo luogo essenzialmente all’interno delle strutture decisionali non elette poste a capo dell’UE, e in secondo luogo nei governi dei paesi membri.
L’Unione Europea, non solo sta armando l’esercito ucraino e ne sta addestrano i soldati, ma sta modificando le regole europee al fine di velocizzare il trasporto di materiale bellico fra i suoi stati membri, e sta adottando nuove norme in materia di difesa cibernetica.
L’obiettivo dichiarato è ottimizzare e rafforzare la risposta europea di fronte a crisi che dovessero scoppiare in prossimità dei confini esterni dell’Unione.
Al cuore della trasformazione europea vi è la zeitenwende – la “svolta epocale” – teorizzata dal cancelliere tedesco Olaf Scholz all’indomani dell’invasione russa dello scorso febbraio, a seguito della quale la Germania si riarmerà grazie allo stanziamento di un fondo di 100 miliardi di euro.
Berlino, dunque, dovrebbe assumere un ruolo guida nel nuovo modello di difesa europeo.
Tale modello, lungi dal garantire una maggiore autonomia all’Europa, si prefigge di essere pienamente integrato nella NATO, e dipendente dalla visione strategica di Washington, rappresentando l’estremizzazione di un processo storico che ha sempre visto il vecchio continente in posizione subordinata nel rapporto transatlantico.
Sulla base di ciò, la nuova architettura militare europea viene arricchita da una narrazione del conflitto in cui la Russia è inevitabilmente tratteggiata in termini intransigenti e massimalisti, mentre vengono ignorate le corresponsabilità occidentali.
Come ha scritto Alastair Crooke (ex diplomatico britannico e dell’UE), secondo tale narrazione l’Europa è vittima, assieme all’Ucraina, di un leader russo revanscista che sogna di ricostituire l’impero russo, e che per farlo ha avviato una guerra di aggressione (senza essere stato provocato in alcun modo), nella quale il suo esercito sta commettendo spaventosi crimini di guerra.
La logica conclusione è che l’aggressore deve subire un’umiliante sconfitta, e non può ottenere alcuna concessione, poiché di fronte al minimo segno di debolezza da parte europea sarebbe pronto a proseguire la sua guerra di aggressione oltre l’Ucraina, minacciando l’intero ordine mondiale “basato su regole”.
Corollario di questa visione estremizzata, e priva di sfumature, sono decisioni come quella del parlamento europeo di etichettare la Russia come stato “sponsor del terrorismo”, o la proposta, annunciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di creare dei tribunali speciali per giudicare i presunti crimini di guerra russi.
Tali scelte non fanno che antagonizzare ulteriormente l’avversario, polarizzare lo scontro e precludere qualsiasi soluzione negoziale.
Militarizzazione dell’Europa
Appena tre giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, l’UE annunciò che avrebbe fornito armi all’Ucraina attraverso un fondo denominato European Peace Facility (EPF). E’ la prima volta che l’Unione fornisce armi a un paese terzo. L’EPF aveva in precedenza finanziato principalmente operazioni di peacekeeping in Africa.
Essendo separato dal bilancio dell’UE, l’EPF non è soggetta alla supervisione del parlamento europeo, sebbene sia finanziata dai paesi membri. Il fondo, che ha un tetto di 6 miliardi di euro, dovrebbe essere accresciuto di altri 2 miliardi dai ministri degli esteri dell’UE.
Il fondo è utilizzato per l’acquisto, la manutenzione e la riparazione di materiale bellico fornito all’Ucraina dagli europei.
Ma la decisione più importante presa dal Consiglio per gli Affari Esteri dell’UE è stata la creazione dell’European Union Assistance Mission Ukraine (EUMAM), con quartier generale a Bruxelles.
L’EUMAM è finalizzata a fornire addestramento alle forze armate ucraine, e a coordinare le attività dei paesi membri allo stesso fine – in particolare l’addestramento all’impiego dell’equipaggiamento militare da essi fornito.
L’EUMAM conferisce all’UE una dimensione politico-militare che le era in gran parte estranea. Basti pensare a quanto dichiarato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nella quale si legge che “i popoli d’Europa, stabilendo un’unione sempre più stretta fra loro, hanno deciso di condividere un futuro pacifico fondato su valori comuni”.
Lo scorso 15 novembre, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Josep Borrell, aveva dichiarato che “l’Europa non può sopravvivere soltanto con il ‘soft power’, ma deve avere un ‘hard power’” a complemento (e non in sostituzione) della NATO, aggiungendo che l’UE è pronta ad avviare negoziati con Washington per permettere agli Stati Uniti di prendere parte ai progetti europei di difesa e di natura militare-industriale.
Entro il 2025, l’Unione si doterà anche di una forza di risposta rapida di 5.000 uomini per intervenire nei teatri di crisi senza l’aiuto logistico degli Stati Uniti.
Tale forza rientra negli obiettivi del cosiddetto EU Strategic Compass, una nuova strategia di difesa approvata dall’Unione lo scorso marzo, che si propone anche di condurre esercitazioni militari congiunte, migliorare la mobilità delle forze europee, irrobustire le capacità di intelligence e di difesa cibernetica, accrescere sostanziosamente la spesa militare e rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea.
Lo scorso 10 novembre, la Commissione Europea ha poi annunciato il Piano d’azione per la mobilità militare 2.0, che dovrebbe far fronte al “deterioramento della situazione di sicurezza dopo l’aggressione russa all’Ucraina”.
Tale piano è finalizzato a incrementare la velocità e la capacità di spostamento delle forze armate europee, inclusi equipaggiamento e personale militare, “all’interno e al di fuori dei confini dell’Unione Europea”, in un contesto di accresciuta rivalità con la Russia.
A tal fine, è previsto lo sviluppo di corridoi di trasporto multimodali, incluse strade, ferrovie, vie aeree, corsi d’acqua interni, nodi di interscambio e centri logistici, con infrastrutture di trasporto “dual-use” in grado di supportare il trasporto militare.
Inoltre il piano – che rientra nel quadro della Permanent Structured Defense Cooperation (PESCO), uno dei pilastri della difesa europea, in stretto coordinamento con la NATO – punta a sveltire il movimento transfrontaliero di uomini e mezzi dei paesi membri.
Al piano partecipa anche la Gran Bretagna, pur non facendo più parte dell’UE. Il ministro della difesa britannico Ben Wallace ha definito il progetto “uno schema importante per tutti noi, per spostare i nostri asset attraverso l’Europa in tempo di guerra”.
Nuova corsa all’allargamento UE
Oltre ad assumere una dimensione politico-militare, l’UE dovrebbe ricominciare ad espandersi.
Ursula von der Leyen ha dato nuovo impulso alla politica di allargamento dell’Unione, dopo anni di stagnazione e di crisi dovuti alla difficoltà di integrare i numerosi – e spesso tra loro disomogenei – paesi che hanno già aderito all’UE.
Come ho scritto in un precedente articolo:
La presidente della Commissione europea ha affermato che l’attuale punto di svolta nello scenario globale “richiede un ripensamento della nostra agenda di politica estera”, aggiungendo che “è il momento di investire nella forza delle democrazie”.
Non solo. Bisognerebbe “espandere questo nucleo di democrazie”, cominciando da quei paesi che sono già su un percorso di avvicinamento all’Unione, come “Balcani occidentali, Ucraina, Moldova e Georgia”.
“L’Unione è incompleta senza di voi!”, è arrivata a dire la von der Leyen rivolgendosi a questi paesi, due dei quali direttamente confinanti con la Russia, facendo sorgere il dubbio che, più che una campagna di esportazione dei valori democratici (peraltro profondamente in crisi anche in molti paesi Ue), si preannunci una nuova campagna di espansione dell’Unione Europea.
E’ bene sottolineare che i problemi che avevano portato allo stallo del processo di allargamento negli anni passati sono rimasti in gran parte irrisolti. Ciò lascia intendere che il nuovo impulso all’espansione dell’UE, a partire dai Balcani occidentali, abbia in primo luogo la finalità strategica di isolare ulteriormente la Russia.
L’urgenza di armonizzare e democratizzare l’Unione esistente passa dunque in secondo piano, mentre l’allargamento dell’UE appare un mero complemento geostrategico dell’espansione della NATO, che recentemente ha preso la decisione di accogliere nell’Alleanza paesi chiave come Finlandia e Svezia.
L’UE agisce quindi, ancora una volta, come uno strumento della visione strategica americana. E’ utile ricordare, del resto, che l’intelligence statunitense lavorò alacremente per avviare l’unificazione dell’Europa nel secondo dopoguerra, finanziando il movimento federalista europeo.
L’inarrestabile espansione della NATO, e dell’UE come suo corollario, è tuttavia una delle ragioni principali che hanno portato all’attuale conflitto con la Russia. Essa distrusse la nascente architettura di sicurezza paneuropea a cui la firma della Carta di Parigi per una nuova Europa, nel 1990, aveva aperto la strada.
I firmatari della Carta, fra cui anche Stati Uniti e Canada, si erano impegnati a costruire un’Europa priva di divisioni, fondata sui principi della “sicurezza indivisibile” e dell’“uguaglianza sovrana”. Nel 1994 questi principi avevano gettato le basi per una nuova e inclusiva organizzazione di sicurezza paneuropea – l’OSCE.
Il concetto di “sicurezza indivisibile” fu abbandonato nel momento in cui la NATO cominciò a espandere la propria sicurezza a spese di quella della Russia. La scelta di rimpiazzare l’egemonia dell’Alleanza Atlantica all’inclusività dell’OSCE ha riacceso lo scontro con Mosca, sopito con la fine della guerra fredda.
In questo rinnovato scontro, le società frammentate e divise di Ucraina, Georgia, Moldova e Bielorussia sono il nuovo campo di battaglia.
Con un gesto dal profondo valore simbolico, lo scorso 18 novembre Varsavia ha impedito al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov di prendere parte all’incontro dell’OSCE in Polonia.
Con l’emarginazione della Russia, viene sancito il tramonto di fatto dell’OSCE in favore di un nuovo scontro in Europa.
Massimalismo e marginalizzazione del dissenso
Similmente, la recente dichiarazione del Parlamento europeo che definisce la Russia come “stato sponsor del terrorismo” inasprisce lo scontro (gli stessi Stati Uniti si sono astenuti da una mossa del genere).
Sebbene la risoluzione non abbia valore vincolante – non esistendo attualmente una struttura giuridica, a livello dei paesi membri, che permetta di inserire un intero paese nella lista degli “sponsor del terrorismo” – essa pone dei precedenti pericolosi.
La dichiarazione mette in discussione l’appartenenza stessa della Russia al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ad altre istituzioni internazionali. Essa chiede che vengano discriminate le istituzioni affiliate alla Russia, comprese quelle scientifiche e culturali.
E con essa, ancora una volta l’UE si erge ad “arbitro della verità” nel conflitto ucraino, sostenendo l’opera dei giornalisti che aderiscono alla narrazione europea sulla guerra, e chiedendo che sia indagato chi è coinvolto in “campagne di disinformazione” (ovvero chi diffonde una versione dei fatti contraria a quella di Bruxelles).
Il conflitto ucraino e la demonizzazione della Russia rischiano dunque di divenire un facile pretesto per:
1) centralizzare ulteriormente il controllo sui paesi membri dell’Unione, citando a giustificazione l’esigenza di fronteggiare un nemico comune.
2) Eliminare il dissenso sui discutibili indirizzi politico-economici dell’UE, e squalificare come filorussi i sostenitori del dialogo e della necessità di risolvere il conflitto per via negoziale.
Subordinazione agli USA
Malgrado alcuni malumori espressi dalla classe dirigente europea nei confronti di certe politiche dell’alleato americano, sia per quanto riguarda la gestione del conflitto che in materia economica e commerciale, l’Europa non è stata in grado finora di formulare decisioni autonome in grado di tutelare gli interessi del vecchio continente.
Diversi politici europei hanno lamentato la sproporzione fra l’elevato costo del gas in Europa e quello notevolmente più basso negli Stati Uniti, che conferisce un vantaggio competitivo alle imprese americane.
Francia, Germania ed altri paesi hanno protestato contro l’Inflation Reduction Act, provvedimento dell’amministrazione Biden che offre tassazione ridotta e incentivi energetici alle compagnie che investono negli USA, rischiando di provocare un esodo industriale dall’Europa.
Sia Berlino che Parigi hanno mostrato contrarietà all’idea di una nuova contrapposizione fra blocchi che implichi la rinuncia, non solo all’energia a basso costo della Russia, ma anche agli scambi commerciali con la Cina.
Il presidente francese Macron si è perfino spinto a parlare della necessità di fornire garanzie alla Russia, ad un eventuale tavolo negoziale, in particolare in merito all’espansione della NATO.
Ma, al di là di queste formulazioni puramente verbali, l’Europa rimane schiacciata sulle posizioni americane, senza prendere provvedimenti concreti che diano sostanza alle critiche espresse.
Così, recandosi in visita da Biden, Macron si è ritrovato ancora una volta a far proprie le posizioni americane, limitandosi a compiacersi del presunto ruolo di “interlocutore privilegiato” che Washington avrebbe attribuito alla Francia nel panorama europeo.
Zeitenwende, la “svolta epocale” tedesca
Dal canto suo, il cancelliere tedesco Scholz ha recentemente scritto un articolo sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs nel quale, eccettuato un timido distinguo riguardo all’approccio con la Cina, ha finito per sposare in toto la visione statunitense del conflitto ucraino e del contesto globale.
Tralasciando completamente l’espansionismo della NATO, Scholz ha descritto la Russia come un paese autoritario con ambizioni imperialiste, ha definito il discorso di Putin alla Conferenza di sicurezza di Monaco nel 2007 (che fu proprio un ammonimento in risposta all’allargamento a est dell’Alleanza Atlantica) come uno sfogo aggressivo che avrebbe deriso l’ordine internazionale “basato su regole”, ha condannato l’annessione russa della Crimea nel 2014 tacendo sul fatto che era stata preceduta dall’installazione violenta a Kiev di un governo visceralmente antirusso.
La Zeitenwende, nella formulazione di Scholz, è la “svolta epocale” che l’invasione russa dello scorso 24 febbraio rappresenterebbe nel contesto mondiale. Tale svolta, nella visione del cancelliere, richiede il riarmo tedesco attraverso un radicale aumento della spesa militare, segnando una cesura con il moderato approccio tedesco alla difesa degli anni passati.
Secondo Scholz, la Germania deve diventare il principale garante della sicurezza in Europa, investendo nel proprio esercito, rafforzando l’industria europea della difesa, irrobustendo la presenza militare tedesca sul fianco orientale della NATO, armando e addestrando le forze armate ucraine.
A tal fine, Berlino ha creato un fondo di 100 miliardi di euro, e intende arrivare a spendere il 2% del PIL per la difesa. Scholz ha anche fatto propria la rinnovata politica di allargamento dell’UE, sottolineando lo status di “paeso candidato” all’adesione acquisito da Ucraina e Moldova, aggiungendo che la Georgia presto seguirà, e dichiarandosi personalmente impegnato a trasformare in realtà l’adesione all’UE dei sei paesi dei Balcani occidentali.
Secondo il cancelliere tedesco, l’UE deve divenire un attore geopolitico, in stretto coordinamento con la NATO. A tal fine, “un rapido processo decisionale sarà la chiave per il successo”. Perciò la Germania intende estendere, in ambito europeo, il voto a maggioranza ad aree decisionali come la politica estera e la tassazione, che attualmente seguono la regola dell’unanimità.
Scholz pensa anche ad una maggiore integrazione, sotto la guida tedesca, dei sistemi di difesa dei singoli stati membri.
E’ in questo quadro, che il quotidiano Der Spiegel ha recentemente pubblicato un rapporto confidenziale del capo dello stato maggiore tedesco, generale Eberhard Zorn, in cui si afferma che le capacità di difesa delle forze armate sono “essenziali per la sopravvivenza del paese”, il quale deve accrescere la propria preparazione in vista di una possibile guerra con la Russia.
Il Bundeswehr (l’esercito tedesco) deve perciò armarsi per un eventuale conflitto, “visto che uno scontro sul fronte orientale della NATO è nuovamente diventato più probabile”.
Resta da valutare la sostenibilità economica di un simile progetto, alla luce della soffocante crisi energetica che attanaglia l’Europa e rischia di portare a una progressiva deindustrializzazione del vecchio continente.
Il Financial Times ha recentemente rilevato che il calo dei consumi di gas registratosi in Europa è dovuto in gran parte alla riduzione forzata del fabbisogno industriale, che inevitabilmente implica un calo della produzione.
Di fronte a una carenza energetica che si prospetta pluriennale, una parte consistente dell’industria europea semplicemente cesserà di esistere, portando ad un impoverimento del continente.
In un contesto di contrazione industriale, di elevata inflazione, di scarsità energetica e di dipendenza dalle importazioni da paesi terzi, è probabilmente illusorio prefigurare una rinascita dell’industria europea della difesa, come hanno ammonito gli stessi addetti del settore. L’Europa potrebbe perciò finire per dipendere in misura ancora maggiore dall’industria bellica americana.
La ringrazio molto per un articolo preciso, coraggioso e di vasto orizzonte, anche migliore dei suoi precedenti. E che san Gennaro ci protegga, visto che l'EU raddoppiate le provocazioni