Crisi energetica: responsabilità russa o europea?
La scelta delle élite europee di rinunciare al gas russo condanna l’Europa a una crisi epocale
Nei giorni scorsi, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato che la Russia starebbe manipolando i mercati energetici europei, che starebbe ricattando l’Europa, e di conseguenza il prezzo del gas avrebbe raggiunto cifre astronomiche.
Le affermazioni della von der Leyen giungono dopo che, nel febbraio di quest’anno, prima ancora che scoppiasse il conflitto in Ucraina, lei stessa aveva dichiarato che, anche in caso di una totale interruzione delle forniture di gas dalla Russia, “siamo al sicuro per questo inverno”.
“Saremo in grado di sostituire il gas russo con forniture di Lng [gas liquefatto] che riceviamo dai nostri amici in tutto il mondo”, aveva affermato la presidente della Commissione.
Al di là delle dichiarazioni manifestamente improvvide della von der Layen, il quesito che vogliamo porci è il seguente: il livello stratosferico raggiunto dal prezzo del gas è responsabilità della Russia? E se sì, in che misura?
Per capirlo, bisogna ripercorrere brevemente la storia recente del mercato energetico europeo e dei flussi di gas diretti dalla Russia verso l’Europa.
Trasformazione del mercato energetico europeo
Da molti anni a questa parte, la Commissione europea aveva gettato le basi per una completa deregolamentazione del mercato del gas naturale. Essa ha portato a una modifica radicale dei contratti di vendita.
In passato venivano privilegiati i contratti a lungo termine legati al prezzo del petrolio. Erano quelli solitamente preferiti dalla russa Gazprom, poiché garantivano un prezzo di riferimento relativamente stabile che consentiva investimenti su larga scala nei progetti upstream, nei gasdotti e nei terminali di Lng.
Fino a pochi anni fa, comunque, la quantità di Lng importato in Europa da altri paesi produttori era irrisoria, mentre il gas arrivava principalmente attraverso le pipeline. Era una delle ragioni che favorivano i contratti a lungo termine.
Ma, soprattutto dopo il 2008, è aumentato enormemente il numero delle transazioni che avvengono al prezzo spot, cioè giornaliero, di volta in volta determinato sui mercati europei.
Tra il 2006 e il 2008, la rivoluzione del fracking (hydraulic fracturing) negli Stati Uniti aveva reso possibile lo sfruttamento di enormi giacimenti di shale gas, prima inutilizzati. Nel 2016, la legge americana permise per la prima volta l’esportazione di Lng derivante da tali giacimenti.
Lo shale gas statunitense era molto più costoso e difficile da esportare in Europa rispetto al gas russo. Quest’ultimo giungeva a destinazione attraverso economici gasdotti, mentre il primo doveva essere liquefatto e trasportato dalle navi gasiere. Esso richiedeva inoltre la costruzione in Europa di un’adeguata rete di terminali di importazione per ricevere l’Lng.
Gli Stati Uniti erano tuttavia determinati ad impiegare il loro nuovo status di esportatore di gas per strappare l’Europa al controllo energetico russo. Ciò costituì un’ulteriore spinta alla deregolamentazione del mercato energetico europeo.
Fin dal 2009, misure come il “Terzo pacchetto energia” adottato dalla Commissione europea puntarono ad una maggiore apertura del mercato e ad una diversificazione delle fonti energetiche.
Una serie di mercati virtuali vennero creati in diversi paesi europei per scambiare contratti “futures” sul gas. Entro il 2020, tuttavia, l’olandese Ttf (Title Transfer Facility) si affermò come il mercato dominante per la contrattazione del gas in Europa.
Il Ttf è costituito da un mercato fisico a cui si affianca un mercato finanziario dove si scambiano futures, direttamente gestito dal colosso americano Ice (Intercontinental Exchange).
Malgrado la deregolamentazione del mercato, ancora nel 2021 solo il 20% delle importazioni europee di gas era coperto da Lng, mentre il resto continuava a provenire, tramite gasdotti, da fornitori di lungo periodo (Russia, Norvegia, Algeria). La Russia, in particolare, continuava a fornire circa il 40% del fabbisogno europeo.
Lievitazione dei prezzi
E’ stato stimato che, già nel 2021 (dunque ben prima del conflitto ucraino), i paesi europei abbiano sborsato per l’acquisto di gas 30 miliardi di dollari in più rispetto a quanto avrebbero pagato se fossero rimasti legati ai contratti indicizzati al petrolio.
La nuova struttura del mercato energetico europeo ha facilitato le attività speculative, ad esempio tramite gli extra-profitti realizzati da grandi acquirenti come l’Eni che, avendo comprato grossi quantitativi di gas al prezzo vantaggioso dei contratti a lungo termine, li rivendono ai prezzi enormemente maggiorati del Ttf.
Ma, se le attività speculative sono indice di un mercato disfunzionale, la ragione primaria dell’aumento vertiginoso dei prezzi sta nel fatto che l’offerta di gas in Europa è rimasta limitata.
Il gas che arriva nel continente proviene da gasdotti e dalle navi metaniere. Ma le élite politiche europee, pur affermando di volersi affrancare dal gas russo, non hanno costruito né una rete di gasdotti né un’infrastruttura per l’importazione di Lng alternative.
La crisi dei prezzi precede il conflitto in Ucraina e la conseguente rottura dei rapporti con Mosca, essendosi manifestata già nel 2021 a seguito di diversi fattori che avevo enunciato in un precedente articolo:
1) una produzione di energia eolica sotto la media annuale a causa della scarsità di vento, che aveva aumentato la domanda di gas e carbone; 2) la forte ripresa economica, sia in Asia che in Europa, dopo la crisi pandemica, che aveva accresciuto il fabbisogno di energia; 3) il “carbon pricing” europeo, che insieme all’accresciuta domanda di gas ha determinato un circolo vizioso che ha portato ad un ulteriore aumento dei prezzi; 4) infine, agli investimenti a favore della transizione energetica ha corrisposto un’eccessiva riduzione degli investimenti nelle fonti tradizionali , che ha determinato un calo di produttività da parte di queste ultime.
Il ruolo del gas russo
In questo panorama di penuria energetica e di spirale dei prezzi, che ruolo hanno giocato le importazioni di gas dalla Russia?
Sebbene l’afflusso di gas russo in Europa sia in diminuzione dal 2020, non ci sono indicazioni di una chiara intenzione da parte di Mosca di usare il gas come arma di ricatto nei confronti del continente europeo.
La ragione del calo delle esportazioni russe nel 2020 sta nella diminuzione della domanda europea a causa della crisi seguita all’epidemia di Covid-19. L’anno successivo, le esportazioni di Mosca si sono mantenute su valori storicamente contenuti, ma comunque non al di sotto dei valori minimi del quinquennio 2015-2020.
Al volume contenuto delle esportazioni hanno contribuito difficoltà di estrazione in alcuni giacimenti russi. Ciò ha portato a un ritardo nel riempimento degli stoccaggi europei. A partire dalla metà del 2021, inoltre, Mosca ha posto fine alle sue vendite sul mercato spot limitando le esportazioni in Europa ai volumi regolati dai contratti a lungo termine.
Complessivamente, tuttavia, nel corso del 2021 l’unica riduzione sensibile nei flussi di gas dalla Russia si è avuta attraverso la rete ucraina. Nella seconda metà dell’anno, un incendio ha determinato inoltre un netto calo dei volumi forniti attraverso il gasdotto Yamal-Mallnow che giunge in Germania passando per Bielorussia e Polonia.
Una volta scoppiato il conflitto in Ucraina, Mosca ha addirittura pompato più gas verso l’Europa. Anche dopo l’imposizione delle sanzioni, la Russia non ha interrotto le esportazioni e, grazie al notevole aumento dei prezzi, ciò le ha garantito importanti guadagni.
La guerra dei gasdotti
Sono piuttosto gli interventi adottati da diversi paesi europei ad aver determinato l’interruzione dei flussi attraverso alcuni dei principali gasdotti diretti in Europa, o il loro funzionamento a capacità ridotta.
A maggio, la Polonia ha posto fine all’accordo operativo con la Russia, rifiutando il nuovo meccanismo di pagamento richiesto da Mosca che prevede la conversione da euro in rubli.
Nel gasdotto Yamal il gas ora fluisce solo verso est, per rifornire la Polonia dalla Germania.
Nello stesso mese Kiev ha chiuso il gasdotto Soyuz, che garantisce circa un terzo del gas che giunge in Europa dall’Ucraina, dopo che le forze dell’autoproclamata Repubblica di Luhansk avevano preso il controllo della locale stazione di compressione del gas.
Il gasdotto Turkstream al momento rifornisce solo l’Ungheria, dopo che la Bulgaria ha rifiutato al pari della Polonia il sistema di pagamento in rubli.
Va rilevato che tale sistema di pagamento è stato richiesto da Mosca dopo che circa 300 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale russa erano stati congelati dalle sanzioni. Il sistema di pagamento presso un conto direttamente controllato da Gazprom Bank serve a prevenire ulteriori confische da parte occidentale.
La saga dei due Nord Stream
In ultimo, il funzionamento a regime ridotto del gasdotto Nord Stream 1 è stato lungamente legato alla disputa sulla manutenzione di 6 turbine, che dovrebbe essere effettuata dalla tedesca Siemens.
In concreto, il lavoro di manutenzione dovrebbe avvenire in Canada ma è oggetto di sanzioni. Il governo canadese ha concesso un’esenzione su richiesta di Berlino, ma finora solo una turbina è stata revisionata e rispedita in Germania.
Le altre 5 devono ancora giungere a Montreal, e una di esse sarebbe al momento affetta da una perdita d’olio. Mentre Gazprom sostiene che tale perdita mette a rischio la stazione di pompaggio, Siemens afferma che essa non impedisce il funzionamento della turbina.
Sembra dunque evidente che la guerra economica delle sanzioni non faciliti la gestione euro-russa del gasdotto.
Pochi giorni fa, Mosca ha deciso di chiudere Nord Stream 1 a tempo indeterminato, fino a quando non verranno rimosse le sanzioni.
La decisione giunge all’indomani della notizia secondo cui G-7 e UE starebbero pensando di imporre un tetto al prezzo di petrolio e gas rispettivamente. Una decisione che, essendo riservata solo alle esportazioni russe invece che a tutti i produttori, ha evidentemente un intento punitivo nei confronti di Mosca piuttosto che l’obiettivo di ridurre il costo della bolletta energetica per imprese e cittadini europei.
Il Cremlino ha già dichiarato che, se il tetto dovesse essere imposto, la Russia non esporterà più né gas né petrolio in Europa. Secondo alcune stime, grazie ai suoi attuali introiti petroliferi, la Russia può permettersi di tagliare completamente le proprie esportazioni europee di gas per più di un anno senza subire particolari contraccolpi economici.
Al momento, il gas russo continua ad arrivare in Europa, sebbene in quantità notevolmente ridotte, attraverso l’Ucraina.
Vi è poi il nuovissimo gasdotto Nord Stream 2, completato alla fine del 2021, che Mosca ha più volte chiesto di mettere in funzione, ma che Berlino non ha mai certificato per le pressioni provenienti da Washington.
Naturalmente, con il progressivo diminuire dei flussi di gas russo verso l’Europa i prezzi sono ulteriormente schizzati verso l’alto.
Il REPowerEU sprofonda l’Europa nell’emergenza
Ma già lo scorso maggio, la Commissione europea aveva inferto un colpo mortale ad una situazione già critica, lanciando il suo programma REPowerEU.
In tale programma l’UE annunciava di voler rinunciare a tutti i combustibili fossili russi entro il 2027, e di voler tagliare di due terzi il consumo di gas russo entro la fine del 2022. Tale consumo sarebbe stato coperto da altri fornitori, da fonti rinnovabili, e da misure di “risparmio”.
A quel punto vi è stata un’esplosione dei prezzi, perché era evidente che il gas russo era insostituibile sul breve periodo, e che una riduzione della domanda avrebbe provocato una grave recessione e la chiusura di intere industrie.
Da quanto enunciato nel REPowerEU, e dalle politiche fin qui adottate dall’Europa, emerge chiaramente l’intenzione, da parte delle élite politiche del vecchio continente, di fare a meno delle risorse energetiche russe. Ma questa scelta, compiuta senza alcuna preparazione, avrà costi enormi, condannando le imprese e i cittadini europei ad almeno due inverni emergenziali.
Perfino se qualcuno dovesse illudersi che, con gli stoccaggi attorno all’80%, questo inverno potrà essere superato senza troppi danni, bisogna mettere in chiaro che, senza il Nord Stream 1, il riempimento degli stoccaggi l’anno prossimo sarà impossibile.
Gli approvvigionamenti alternativi da Norvegia, Algeria e Azerbaigian sono insufficienti, e il megaprogetto del Qatar per un aumento del 40% della produzione di Lng non sarà operativo prima del 2026.
Lo stesso Draghi, nel suo discorso del 24 agosto a Rimini, aveva candidamente ammesso che l’Italia sarà in grado di diventare completamente indipendente dal gas russo a partire dall’autunno del 2024 – e solo “se sarà realizzata nei tempi previsti l’installazione di due nuovi rigassificatori”.
In altre parole, il REPowerEU, con il pretesto che la Russia starebbe ricattando l’Europa (pretesto che, come abbiamo visto, non regge alla prova dei fatti), condanna il continente e i suoi cittadini ad anni di profonda crisi e recessione, di fallimenti di imprese e deindustrializzazione, da cui il continente potrebbe non riprendersi più.
L'eccessiva baldanza con cui si annunciava una rapida sostituzione del gas russo ha probabilmente irretito solo la parte più disattenta dell' opinione pubblica italiana. Pagheremo a peso d'oro il gas statunitense ottenuto dal fracking, prima di oggi prodotto di scarto di un processo nefasto sul piano dell'impatto ambientale, aiutando gli Stati Uniti a ripianare l'immenso deficit delle partite correnti e a riassorbire almeno una piccola parte delle montagne di denaro che hanno stampato alimentando l'inflazione (interna ma anche globale). L'analisi complessiva dell'articolo è condivisibile e anche se non ho nessuna simpatia per un dittatore come Putin che, per timore di rapidi crolli del consenso interno, anziché arruolare i giovani di San Pietroburgo, manda gli "ultimi" tra i suoi concittadini a morire per una causa più distante dai loro cuori delle migliaia di chilometri che separano le trincee di Kherson dalle loro dimore, debbo ritenere che la Russia agisca in modo sostanzialmente logico e consequenziale. Il tribunale della Storia giudicherà coloro i quali ci hanno incaprettati con i "quattro passi falsi elencati" dal dott. Iannuzzi. Ingenuità o cattiva coscienza ?