Maidan 2014: come Washington trasformò l’Ucraina in una colonia americana
Gli aspetti taciuti di una delle tappe fondamentali che hanno portato al conflitto attuale.
Una delle caratteristiche che contraddistinguono la narrazione occidentale sul conflitto in corso in Ucraina è che esso viene inserito in un presente astorico, scollegato dagli eventi passati che l’hanno determinato, e generalmente descritto come una “aggressione russa non provocata” ai danni del proprio vicino.
Tra gli eventi più o meno “cancellati” dalla memoria, spicca la rivoluzione che nel 2014 ebbe come teatro principale Maidan Nezalezhnosti (Piazza Indipendenza) a Kiev, spesso indicata dai suoi abitanti semplicemente come Maidan (piazza).
Sebbene le radici profonde dell’attuale conflitto risalgano allo scioglimento del Patto di Varsavia, alla mancata integrazione della Russia post-sovietica nell’Europa, e all’espansione della Nato fino ai confini russi, Maidan 2014 rappresentò senz’altro il punto di svolta che avrebbe causato lo scoppio di una guerra civile nell’est del paese, ponendo le premesse per la recente invasione russa.
Come accade per la crisi in corso, anche quell’evento ebbe interpretazioni antitetiche. Esso venne descritto in Occidente come una rivoluzione democratica contro il governo corrotto e illiberale del presidente “filo-russo” Viktor Yanukovych, mentre in Russia venne visto come un golpe, ai danni di un governo pur sempre democraticamente eletto, per mano di forze nazionaliste e neonaziste sostenute da Washington.
Ripercorrere le tappe principali della rivolta di Maidan (o Euromaidan, come venne anche chiamata, per ricordare il fatto che le proteste scoppiarono in opposizione al rifiuto del presidente Yanukovych di sottoscrivere un accordo di associazione con l’Unione Europea) è essenziale per comprendere le dinamiche attuali.
Le componenti della rivolta
Come ha scritto il sociologo ucraino Volodymyr Ishchenko, quella di Maidan non fu una vera rivoluzione, ma una sollevazione presa in ostaggio da componenti non rappresentative dell’intero arco delle forze coinvolte, né delle motivazioni che spinsero molti cittadini comuni a prendervi parte.
Sebbene la mobilitazione intendesse rimpiazzare l’élite oligarchica salita al potere con il crollo dello stato comunista e la transizione all’economia di mercato, le nuove élite che si sarebbero affermate con la sollevazione erano in realtà fazioni appartenenti alla vecchia classe oligarchica.
Furono quattro le principali componenti che assunsero il controllo della rivoluzione di Maidan:
1) i partiti dell’opposizione tradizionale, comunque legati alla vecchia oligarchia;
2) le Ong ed i mezzi di informazione filo-occidentali (finanziati in gran parte dagli Usa);
3) i gruppi dell’estrema destra nazionalista (Svoboda, Pravy Sektor, Azov, ecc.), con forti cellule di partito locali, e capacità di mobilitazione nelle strade;
4) i paesi occidentali, e gli Stati Uniti in primis, che hanno fornito finanziamenti, appoggio politico, ed in un secondo momento aiuti militari.
Un paese conteso
Va ricordato che l’Ucraina è sempre stata un paese chiave nel pensiero strategico di Washington, sia ai tempi della sua contrapposizione con l’Unione Sovietica, sia durante il successivo confronto con la Russia.
Fin dal secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti hanno coltivato un rapporto privilegiato con la corrente nazionalista ucraina più ostile a Mosca, concentrata soprattutto nella parte occidentale del paese, stringendo legami anche con le sue componenti più vicine al pensiero nazista.
Secondo Zbigniew Brzezinski, uno dei massimi strateghi della politica estera americana, un elemento chiave della strategia statunitense verso il continente eurasiatico era ridefinire l’Ucraina come stato integrato nell’Europa centrale. “Senza l’Ucraina”, sosteneva Brzezinski, “la Russia cessa di essere un impero eurasiatico”.
Washington aveva già sostenuto la “rivoluzione arancione” che nel 2004 aveva portato al potere il filo-occidentale Viktor Yushchenko. Sua moglie, Katherine Chumachenko, era un influente membro della diaspora ucraina negli Usa. Nata a Chicago da genitori ucraini, aveva lavorato al Dipartimento di Stato e a quello del Tesoro, oltre che alle pubbliche relazioni della Casa Bianca sotto l’amministrazione Reagan.
Campione delle politiche neoliberiste e simpatizzante dell’estrema destra nazionalista, Yushchenko aveva però subito una bruciante sconfitta elettorale per mano di Yanukovych nel 2010. Ad essa aveva contribuito la recessione seguita alla crisi economica dell’anno precedente.
Avvicinamento all’Europa
Nei primi anni di governo del suo successore, l’economia aveva ripreso fiato per poi rallentare nuovamente intorno alla metà del 2012. Yanukovych, erroneamente definito “filo-russo” da gran parte della stampa occidentale, reagì promettendo di accelerare i negoziati per un accordo di associazione con l’Unione Europea, avviati dal suo predecessore nel 2008.
Sull’altro piatto della bilancia vi era la possibilità di accedere all’Unione Economica Eurasiatica (Uee), un’unione doganale tra cinque ex-repubbliche sovietiche, inclusa la Russia. Secondo un sondaggio dell’ottobre 2013, il paese era diviso. Il 41% avrebbe scelto di entrare nell’Ue, il 35% nell’Uee.
Contemporaneamente, secondo un sondaggio GALLUP risalente all’estate dello stesso anno, una maggioranza relativa di ucraini (29%) vedeva la Nato come una minaccia mentre solo il 17% considerava l’Alleanza come una fonte di protezione.
Il divario era ancora più ampio nelle regioni orientali del paese (dove il 46% era ostile alla Nato contro appena il 3% favorevole). In queste regioni anche il sostegno all’Unione Europea scendeva ad appena il 19%, mentre il tasso di approvazione per la Russia si posizionava al 60%.
L’accordo di associazione con l’Ue, in particolare, implicava una netta scelta di campo, andando ben al di là di una mera intesa commerciale. Esso conteneva infatti prescrizioni su tematiche che andavano dall’immigrazione al terrorismo, alla giustizia, alla corruzione e ai diritti umani.
Nella sezione “politica estera e di sicurezza”, esso prevedeva una convergenza comprendente la “Politica di sicurezza e difesa comune”, di fatto uno dei “molteplici percorsi di adesione alla Nato” a cui aveva accennato alla fine del 2009 il segretario di stato Hillary Clinton all’allora ministro degli esteri ucraino Petro Poroshenko.
L’accordo richiedeva inoltre sacrifici economici e sociali. Per aderirvi, l’Ucraina avrebbe dovuto accettare aspre misure di austerità imposte dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Alzare l’età pensionabile, congelare pensioni e salari, e aumentare il prezzo del gas, erano misure contrarie alle promesse elettorali di Yanukovych.
Proteste di piazza
Di fronte all’intransigenza occidentale, il presidente russo Putin offrì invece a Kiev un generoso pacchetto di 15 miliardi di dollari in aiuti e sussidi energetici, senza condizionalità. L’offerta di Mosca convinse Yanukovych a tornare sui propri passi congelando l’accordo con l’Ue. Ma ciò spinse migliaia di dimostranti delusi a scendere in piazza a Leopoli (roccaforte occidentale dei sentimenti europeisti e antirussi) ed a Kiev.
Le manifestazioni scoppiarono già nell’autunno del 2013 e si protrassero per qualche mese. Ma quella che inizialmente era stata una protesta pacifica a Maidan, nel centro della capitale, sarebbe degenerata in attacchi violenti contro la polizia e gli edifici governativi, con pietre, bastoni, spranghe di ferro, bombe molotov, e perfino armi leggere (sebbene non si debba nemmeno passare sotto silenzio la repressione dura e spesso ugualmente violenta compiuta dalle forze dell’ordine).
Secondo i sondaggi, le proteste di Maidan non furono appoggiate da una netta maggioranza di ucraini, ed ebbero scarsa popolarità soprattutto nel sud e nell’est del paese.
Malgrado ciò, l’Occidente, e gli Stati Uniti in particolare, non tentarono alcuna reale mediazione e si schierarono apertamente con i dimostranti fin dall’inizio.
L’infrastruttura occidentale della rivolta
Già nel settembre del 2013, Carl Gershman, presidente del National Endowment for Democracy (Ned), aveva definito l’Ucraina “il trofeo più grande” nel progetto americano di promozione della democrazia nelle repubbliche ex-sovietiche, suggerendo che un successo a Kiev avrebbe accelerato la sconfitta di Putin “non solo nel suo vicinato ma all’interno della Russia stessa”.
Fondato nel 1983 con il contributo determinante dell’allora direttore della Cia William Casey, il Ned era un’organizzazione volta a sostenere gruppi di opposizione, attivisti e mezzi di informazione in paesi governati da regimi autocratici ostili agli Usa.
Il Ned finanziò Ong e mezzi di informazione nella fase precedente alla rivolta di Maidan. Ma, accanto a questa organizzazione, altri attori americani – da Freedom House, all’Usaid (l’agenzia americana per gli aiuti internazionali e l’assistenza allo sviluppo), all’International Renaissance Foundation (Irf) del magnate americano di origine ungherese George Soros, vicino al partito democratico – ebbero un ruolo chiave nell’organizzare una vera e propria infrastruttura al servizio della mobilitazione.
Un caso esemplificativo è quello dell’emittente Hromadske TV, che ricevette importanti finanziamenti dall’Ambasciata americana, da quella olandese, dal Ned, dall’Irf e da altri soggetti statunitensi ed europei, e contribuì a dare una visione parziale e deformata delle proteste, che venne ripresa da centinaia di media occidentali.
Mobilitazione americana
A Fianco di questa struttura, un ruolo chiave a livello politico fu giocato da figure come il sottosegretario di stato statunitense Victoria Nuland, esponente di spicco della corrente neocon, già consigliere politico del vicepresidente Dick Cheney dal 2003 al 2005, durante l’occupazione dell’Iraq, e moglie del noto ideologo neocon Robert Kagan.
Nel dicembre del 2013, la Nuland ricordò ad una platea di uomini d’affari ucraini che, per aiutare il loro paese a realizzare “le sue aspirazioni europee, noi abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari”.
Il suo personale appoggio alla sollevazione, tuttavia, si spinse ancora oltre. Dopo essersi incontrata faccia a faccia con Yanukovych, la Nuland si recò infatti a Maidan per esprimere apertamente il proprio sostegno alle proteste.
In questo fu imitata da altri politici americani, in particolare dal senatore repubblicano John McCain che, insieme al collega democratico Chris Murphy, si rivolse ai manifestanti di Maidan per dire loro: “Siamo qui per appoggiare la vostra giusta causa, il diritto sovrano dell’Ucraina di determinare il proprio destino in maniera libera e indipendente. E il destino che voi cercate è in Europa”.
Lo stesso Murphy avrebbe poi dichiarato alla CNN che la loro missione era di “cercare di realizzare una transizione pacifica qui”.
McCain fu anche ripetutamente fotografato in compagnia di Oleh Tyahnybok, leader del partito nazionalista di estrema destra Svoboda, difensore dell’identità etnica ucraina in opposizione alla Russia e al comunismo. Tyahnybok aveva in passato invitato i propri sostenitori a combattere la “mafia ebraico-moscovita che controlla l’Ucraina”.
Poco più di un mese dopo, una telefonata intercettata, registrata e resa pubblica probabilmente dall’intelligence ucraina o russa, mise in chiaro quali erano i piani di Washington.
Nella telefonata, conversando con l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt, la Nuland esponeva chi avrebbe dovuto far parte di un nuovo governo ucraino sostenuto dagli Stati Uniti.
Tyahnybok e l’ex pugile ed esponente dell’opposizione Vitaly Klitschko non erano considerati idonei.
“Yats is the guy” (Yats è l’uomo [giusto]), sostenne la Nuland riferendosi ad Arseniy Yatsenyuk, già vicepresidente della Banca nazionale ucraina e ministro dell’economia (che poi sarebbe effettivamente divenuto primo ministro), prima di concludere con la famosa esclamazione “Fuck the Eu”, in segno di disprezzo nei confronti dell’Unione Europea la cui linea politica era considerata troppo morbida e accomodante nei confronti del presidente Yanukovych.
Deriva violenta
Il 20 febbraio 2014, cecchini non identificati spararono in mezzo ai manifestanti e contro le forze dell’ordine. Almeno una cinquantina di dimostranti vennero uccisi. L’opposizione accusò immediatamente il governo. Il precipitare degli eventi avrebbe portato, due giorni dopo, alla fuga di Yanukovych dal paese.
Un’altra telefonata intercettata e resa pubblica pochi giorni dopo, questa volta fra l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Catherine Ashton ed il ministro degli esteri estone Urmas Paet, rivelò tuttavia che i due avevano discusso una teoria secondo cui i cecchini che avevano sparato sulla folla appartenevano a gruppi dell’opposizione, non al governo.
Successive indagini, condotte in particolare da Ivan Katchanovski, professore presso l’Università di Ottawa, confermano che i cecchini avevano sparato da edifici ed altri luoghi controllati dall’opposizione. Le prove includono le testimonianze di oltre 100 manifestanti feriti, decine di altri testimoni, e perizie balistiche.
Un’inchiesta condotta dal giornalista italiano Gian Micalessin è giunta alle stesse conclusioni.
Il giorno dopo i fatti del 20 febbraio, il presidente Yanukovych e i gruppi dell’opposizione raggiunsero un accordo, garantito dai rappresentanti di Germania, Polonia, Francia e Russia. Esso prevedeva la creazione di un esecutivo di unità nazionale in vista di nuove elezioni presidenziali da tenersi entro l’anno.
Quella stessa notte, tuttavia, gruppi dell’opposizione avrebbero occupato gli edifici governativi e il parlamento. Il giorno successivo, sotto il neoeletto presidente del parlamento Alexander Turchinov, l’aula votò la rimozione del presidente Yanukovych che nel frattempo era fuggito in Russia.
Il nuovo governo e la componente nazionalista
Il partito Svoboda ed altre formazioni estremiste che avevano avuto un ruolo di primo piano nelle violenze di Maidan ottennero posti chiave nel nuovo governo guidato del primo ministro designato Arseniy Yatsenyuk.
Svoboda, in particolare, ottenne due ministeri in aggiunta alla poltrona di vice premier per Oleksandr Sych. Andriy Parubiy, uno dei comandanti di Maidan, ottenne la carica di segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina. Nel 2016 egli sarebbe poi divenuto presidente del parlamento.
Parubiy ha avuto numerosi incontri con politici e think tank americani, ed è stato ospitato anche dal Congresso.
Nell’autunno del 2014, il battaglione Azov, accusato di violazioni dei diritti umani e tortura, fu incorporato nella Guardia Nazionale ucraina.
Nel dicembre dello stesso anno, Amnesty International accusò un’altra formazione paramilitare, il battaglione Dnipro-1, di crimini di guerra. Ciò non impedì al senatore John McCain, sei mesi più tardi, di visitare il battaglione e lodarne l’operato.
Formazioni di estrema destra hanno anche infiltrato progressivamente le forze dell’ordine. Ad esempio, Vadim Troyan, veterano del battaglione Azov e della formazione neonazista “Patriota dell’Ucraina”, è divenuto vicecapo della nuova Polizia Nazionale, addestrata ed equipaggiata dagli Usa, e nel 2017 è stato nominato viceministro dell’interno.
Gruppi paramilitari come il battaglione Azov hanno anche ricevuto armi e addestramento dagli Stati Uniti.
Ma, se simili formazioni costituirono il braccio armato della rivoluzione, dapprima durante le proteste di Maidan, e poi nel corso della guerra civile scoppiata nella parte orientale del paese che non aveva riconosciuto il nuovo governo insediatosi a Kiev, il potere politico ed economico era gestito in buona parte da altri attori.
Il ruolo della diaspora ucraina
Dopo il suo insediamento, il nuovo primo ministro Yatsenyuk aveva dichiarato di essere impegnato in una missione “kamikaze”, ovvero essenzialmente nella fedele implementazione delle misure “lacrime e sangue” imposte dall’Fmi. Misure che di fatto erano nell’interesse dei creditori occidentali piuttosto che in quello del popolo ucraino, destinato a un ulteriore impoverimento.
Ma questo era solo l’inizio di una radicale ridefinizione dell’assetto economico e finanziario del paese.
Dopo le elezioni presidenziali del maggio 2014 che portarono alla presidenza Petro Poroshenko, il nuovo governo ucraino venne designato con il contributo essenziale degli Usa.
L’operazione venne condotta da due società globali di “cacciatori di teste”, Pedersen & Partners e Korn Ferry, che individuarono una rosa di 24 candidati, molti dei quali appartenenti alla diaspora ucraina in Canada, Regno Unito e Stati Uniti.
La Renaissance Foundation, una società di consulenza politica che a sua volta fa capo alla Open Society Foundations, creata dal miliardario americano George Soros, supportò l’intero processo.
In un discorso pronunciato in parlamento il 27 novembre, il neoeletto presidente Poroshenko aveva dichiarato la sua intenzione di impiegare stranieri nel governo del paese. A tal fine, aveva chiesto ai parlamentari di fornirgli gli strumenti legislativi per concedere la cittadinanza ucraina tramite decreti speciali.
La poltrona di ministro delle finanze fu così assegnata a Natalie Jaresko, cittadina americana (figlia di immigrati ucraini), già impiegata al Dipartimento di Stato, e presidente del Western NIS Enterprise Fund (WNISEF), un fondo creato dall’Usaid per promuovere le attività imprenditoriali in Ucraina.
Jaresko era anche cofondatrice di Horizon Capital, che gestiva gli investimenti di WNISEF a un tasso compreso tra il 2 e il 2,5% del capitale impegnato.
Altra figura di spicco della diaspora ucraina negli Stati Uniti era quella di Ulana Suprun, nata in Michigan. Intrapresa la carriera medica, la Suprun si trasferì in Ucraina nel 2013 e fu attiva nelle proteste di Maidan, divenendo poi consulente della Commissione parlamentare sulla sanità nel 2015.
Fra il 2016 e il 2019, la Suprun fu ministro della salute, gestendo fra l’altro lo scottante dossier dei biolaboratori ucraini finanziati dagli Stati Uniti.
Via libera ai capitali americani
Nel frattempo, Burisma Holdings, il principale produttore di gas in Ucraina, offrì un posto nel proprio consiglio di amministrazione al figlio dell’allora vicepresidente statunitense Joe Biden, Hunter. Burisma assunse anche un lobbista strettamente legato all’allora segretario di stato John Kerry, e divenne uno sponsor dell’Atlantic Council, uno dei think tank più importanti a Washington.
Quando nel 2016 un pubblico ministero ucraino iniziò a indagare su possibili casi di corruzione all’interno di Burisma, Joe Biden intervenne (come egli stesso ammise apertamente) trattenendo una linea di credito di 1 miliardo di dollari fino a quando il governo di Kiev non destituì il pubblico ministero, cosa che avvenne dopo poche ore.
Nel periodo post-Yanukovych, le riforme imposte dall’Fmi hanno ulteriormente spianato la strada ai capitali americani nel settore agricolo e in quello delle materie prime. L’agribusiness statunitense, da Cargill a Monsanto, ha ottenuto lucrosi contratti in un paese che è fra i principali esportatori mondiali di grano e mais.
Più di recente, i programmi per la digitalizzazione dell’Ucraina, avviati in collaborazione con il World Economic Forum, hanno determinato l’arrivo dei giganti della Big Tech, da Apple a Microsoft.
A ciò si è affiancato l’ingresso di un colosso dell’industria bellica statunitense come Raytheon che, usufruendo di finanziamenti del governo americano, ha addestrato 8.000 agenti di frontiera, attrezzato 25 centri doganali, e costruito un sistema di sorveglianza su 3.730 km di confine in Ucraina.
Possiamo concludere citando l’ultima arrivata, Westinghouse, controversa compagnia statunitense più volte sull’orlo del fallimento, che si propone di rimpiazzare la russa Rosatom come fornitore di combustibile nucleare per le centrali ucraine, e che addirittura ambisce a costruire nuovi reattori nel paese.
Narrazioni antitetiche
Al termine di questa panoramica, seppur incompleta, ci si renderà conto fino a che punto la rivoluzione di Maidan del 2014 abbia rappresentato uno spartiacque nella storia recente dell’Ucraina.
Uno spartiacque che tuttavia, più che segnare una rinascita democratica del paese (mai avvenuta, essendo rimasto sostanzialmente intatto il sistema oligarchico che lo caratterizzava), demarca il brutale passaggio da una sfera di influenza russa, già notevolmente indebolita negli anni passati, a una sfera americana onnipervasiva (sotto il profilo politico, economico, di sicurezza), attraverso una pesante ingerenza statunitense negli affari ucraini.
Sarà forse più facile comprendere, allora, perché per i russi (così come per molti ucraini dell’est e del sud del paese che non hanno mai riconosciuto il governo insediatosi a Kiev dopo gli eventi di Maidan) il rovesciamento del presidente Yanukovych sia stato un golpe che di fatto ha reso nullo il Memorandum di Budapest.
Quest’ultimo era un accordo siglato nel 1994, che avrebbe dovuto fornire all’Ucraina garanzie di sicurezza in cambio della rinuncia all’arsenale nucleare sovietico (rimasto sul suo territorio dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1991) e della conseguente adesione di Kiev al Trattato di Non-Proliferazione (Npt).
Custodi dell’accordo erano Stati Uniti, Russia e Regno Unito, i quali dovevano salvaguardare tali garanzie di sicurezza. Esse includevano l’impegno a “rispettare l’indipendenza, la sovranità ed i confini esistenti” dell’Ucraina, e ad “astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza” nei suoi confronti.
La Russia è stata accusata di aver violato il Memorandum di Budapest impadronendosi della Crimea nel marzo del 2014. Ma, dal punto di vista russo, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina erano già state violate dagli Stati Uniti, con la loro intromissione negli affari interni del paese, e il loro appoggio alle proteste di Maidan e al rovesciamento violento di Yanukovych.
Sempre preziose le tue analisi.