Finlandia e Svezia nella NATO: il conflitto ucraino è poco più di un pretesto
L’avvicinamento dei due paesi baltici all’Alleanza Atlantica era in corso da decenni.
La notizia della decisione finlandese e svedese di aderire alla Nato necessita di due chiarimenti.
La tesi generalmente sostenuta per spiegare tale decisione è che il senso di insicurezza dei due paesi, acuito dalla “gratuita” aggressione russa all’Ucraina, li avrebbe spinti a rinunciare alla loro neutralità per avere una maggiore garanzia di protezione in seno all’Alleanza atlantica.
Questa tesi è fallace sotto due aspetti:
1) Come ho cercato di spiegare in un precedente articolo, non è la mancata inclusione dell’Ucraina nella Nato che l’ha esposta alle cosiddette “mire espansionistiche” di Mosca.
Al contrario, i governi succedutisi a Kiev dopo la rivolta di Maidan (2014), scegliendo di rinunciare alla neutralità di fatto che fino a quel momento aveva contraddistinto il paese, e chiedendo l’ingresso nell’alleanza occidentale, hanno acuito le paure di Mosca.
La campagna di “de-russificazione” dell’Ucraina – che ha portato a misure repressive contro la cultura e la lingua russa, culminando nell’operazione “antiterrorismo” contro la minoranza russofona del Donbass – e la progressiva infiltrazione della Nato nel paese – tramite fornitura di armi e addestramento militare, esercitazioni congiunte, e costruzione di basi navali con l’aiuto di paesi membri dell’Alleanza – hanno fatto il resto.
La mancata implementazione degli accordi di Minsk (2015) che avrebbero garantito un’autonomia alle due province ribelli del Donbass, la minaccia di un’offensiva finale di Kiev contro di esse, e la decisione del governo Zelensky di ignorare la richiesta russa di rendere l’Ucraina un paese neutrale, hanno posto le premesse per l’invasione.
2) La decisione di Helsinki e Stoccolma non è frutto dell’ondata emotiva causata dal conflitto ucraino, quanto piuttosto l’esito conclusivo di un processo in atto da decenni.
Certamente è vero che la martellante campagna mediatica sulla “immotivata aggressione russa” ha contribuito a far tendere la tradizionalmente riluttante opinione pubblica dei due paesi verso un’adesione all’Alleanza. Recenti sondaggi indicano che in Svezia almeno il 51% della popolazione sarebbe favorevole, mentre in Finlandia la percentuale sale al 76%. Valori in netto contrasto con il passato anche recente.
Ma, per le élite governative dei due paesi, si è trattato di un passo attentamente studiato e preparato da lungo tempo. Quando il momento “propizio” è giunto, questo passo è stato compiuto.
Come ha affermato Tytti Tuppurainen, ministra finlandese per l’Ue, “lo si potrebbe anche interpretare come un processo molto naturale. Non sorprende che l'opinione pubblica finlandese abbia cambiato orientamento in così poco tempo. Ciò narra la storia di decenni di preparazione. In questo senso, non è un passo molto grande. Al momento opportuno, il paese era pronto”.
Che questo passo non sia improvvisato, ma denoti un più generale riallineamento in corso da tempo, emerge anche da un’osservazione di carattere storico.
Basterebbe ricordare, infatti, che durante tutta la guerra fredda, anche quando l’Unione Sovietica era al culmine della sua potenza militare e le sue truppe erano dislocate nella Germania Est, Finlandia e Svezia avevano conservato la propria neutralità.
Dopo il crollo del blocco sovietico, le truppe di Mosca si sono ritirate migliaia di chilometri più a est, mentre la Nato si è espansa incessantemente verso il confine russo. La Russia attuale appare dunque molto meno minacciosa dell’Unione sovietica.
La performance in chiaroscuro delle forze armate russe in Ucraina conferma che esse hanno un’impostazione eminentemente difensiva, e una capacità di proiezione che non supera le poche centinaia di chilometri dalla frontiera russa. Esse dunque non pongono un serio pericolo né per la Nato né per la penisola scandinava.
Il caso svedese
Per invadere la Svezia, le truppe russe dovrebbero attraversare la Finlandia o il Mar Baltico, cosa che Mosca non ha mai minacciato di fare, nemmeno durante la guerra fredda. Del resto, la Svezia non è più rimasta coinvolta in un conflitto armato dal 1814 (essenzialmente dalla fine delle guerre napoleoniche), e da allora aveva fatto della neutralità e del non-allineamento due principi fondanti della propria politica estera.
A partire dagli anni ’50, Stoccolma aveva allacciato contatti militari segreti con gli Stati Uniti e la Nato, pur conservando rapporti cordiali con l’Unione sovietica. Fino al crollo del blocco comunista, la Svezia ha di fatto adottato una “neutralità armata”, mantenendo un alto livello di preparazione delle proprie truppe.
Dopo la fine della guerra fredda, Stoccolma ha perseguito una politica di sicurezza pragmatica, avvicinandosi alla Nato senza tuttavia aderire all’Alleanza.
Il caso finlandese
Più interessante il rapporto tra Finlandia e Russia, sia da un punto di vista storico che geografico. I due paesi condividono un confine lungo 1.340 km. Le origini dell’indipendenza finlandese sono legate allo zar russo Alessandro I che, dopo aver sconfitto il regno di Svezia nel 1809, entrò in possesso della Finlandia, che era parte del regno svedese, trasformandola in un granducato semi-indipendente all’interno dell’impero russo.
Il granducato godette di una considerevole autonomia, che però cominciò ad essere erosa verso la fine del XIX secolo. I finlandesi, che rimasero sempre abbastanza ostili ai russi, approfittarono della rivoluzione bolscevica nell’impero zarista per dichiarare l’indipendenza alla fine del 1917.
Verso la fine degli anni ’30, Helsinki si trovò però “impigliata” fra le mire contrastanti di Germania e Unione Sovietica. La cosiddetta “Guerra d’inverno”, a cavallo fra il 1939 e il 1940, rappresenta un episodio chiave che avrebbe segnato la natura dei rapporti fra Helsinki e Mosca negli anni a venire.
La Guerra d’inverno
Sebbene vi fossero reciproche “simpatie” fra la Finlandia e la Germania nazista, quest’ultima finì per “svendere” Helsinki inserendola nell’area di influenza russa al momento della firma dell’accordo segreto Molotov-Ribbentrop del 1939.
A sua volta Mosca considerava la Finlandia come una possibile via di transito di un’eventuale azione ostile tedesca. A seguito di irrisolte dispute di confine, i sovietici invasero con un pretesto il paese vicino nel novembre del 1939.
Il conflitto invernale fu aspro e si protrasse per tre mesi e mezzo, durante i quali i finlandesi inflissero pesanti perdite al nemico. Mosca finì per ottenere delle concessioni territoriali, ma a caro prezzo, e la guerra lasciò nella memoria russa la durevole convinzione che la Finlandia fosse un avversario che era meglio non sfidare.
Non solo. I finlandesi entrarono in una collaborazione militare clandestina con la Germania nazista dopo l’agosto del 1940. Tale collaborazione li portò ad entrare nuovamente in conflitto con i sovietici per riconquistare i territori perduti, subito dopo l’invasione tedesca dell’Urss nel giugno del 1941.
Neanche questo secondo conflitto, conclusosi con l’armistizio separato del 1944, ebbe esiti positivi per la Finlandia che in particolare dovette cedere Petsamo, suo unico porto sull’Oceano artico. Helsinki tuttavia evitò un’occupazione straniera preservando la propria indipendenza.
Più di quarant’anni di amicizia
Il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza del 1948 regolò i rapporti tra Helsinki e Mosca fino al 1992. Esso garantiva all’Unione sovietica che la Finlandia non avrebbe permesso a paesi occidentali di utilizzare il proprio territorio per attaccare Mosca, e assicurava la sopravvivenza della democrazia liberale finlandese a poca distanza da Leningrado (l’attuale San Pietroburgo), seconda città sovietica per importanza dopo Mosca.
Helsinki poté così preservare la propria indipendenza e neutralità nel corso di tutta la guerra fredda. Una realtà che gli americani spesso accettarono con difficoltà, e che non riuscivano a comprendere.
Nel 1954, l’allora segretario di Stato John Foster Dulles affermò che la “neutralità” di una nazione durante la guerra fredda era una cosa “immorale”. Nel 1961, John Kennedy disse a un diplomatico finlandese che “ciò che sconcerta noi americani è per quale motivo l’Unione sovietica abbia permesso alla Finlandia di mantenere la sua indipendenza”.
Negli anni ’80, sotto la spinta del declino sovietico, alcuni politici finlandesi cominciarono però a mettere in dubbio l’utilità del trattato di amicizia del 1948. Dopo la fine della guerra fredda, la firma di un nuovo trattato di amicizia russo-finlandese nel gennaio del 1992 avrebbe posto le premesse per una lenta ma sempre più decisa marcia di avvicinamento di Helsinki all’Occidente.
Avvicinamento alla Nato
La Finlandia ha aderito al programma Nato “Partnership for Peace” dal 1994, e dal 1997 è membro del Euro-Atlantic Partnership Council. Helsinki ha preso parte ad operazioni militari a guida Usa e Nato, e le sue forze armate si esercitano regolarmente con paesi dell’Alleanza. Esse soddisfano gli standard Nato di interoperabilità, utilizzando in gran parte sistemi d’arma americani.
Militarmente, la Finlandia è un “paese fortezza”, una concezione ereditata dall’esperienza della “Guerra d’inverno”. Con una popolazione di 5,5 milioni di abitanti, Helsinki dispone di un esercito di 280.000 effettivi fra militari di leva e professionisti, a cui si aggiungono centinaia di migliaia di riservisti.
Sebbene la Finlandia non facesse parte della Nato, queste sue caratteristiche rappresentavano un forte elemento dissuasivo nei confronti di una possibile aggressione sovietica e successivamente russa.
La Svezia, pur disponendo di forze armate molto inferiori dal punto di vista numerico, possiede una sofisticata industria bellica, ed ha seguito sostanzialmente gli stessi passi di avvicinamento compiuti dalla Finlandia nei confronti dell’Alleanza atlantica.
Malgrado la loro partnership con la Nato, il fatto che entrambi i paesi avessero finora conservato la neutralità rappresentava un elemento di “dissuasione” nei confronti di Mosca. I russi avevano un incentivo a non ingerirsi nei loro affari interni ed a mantenere buoni rapporti, sapendo che in caso contrario sia Stoccolma che Helsinki avrebbero potuto decidere di aderire all’alleanza occidentale.
La Russia aveva più volte esplicitamente lodato la neutralità di Finlandia e Svezia come “uno dei più importanti contributi…per garantire la stabilità sul continente europeo”.
I rischi dell’adesione
Se la Nato rispondesse davvero ai criteri di un patto difensivo, l’ingresso di nuovi paesi dovrebbe essere valutato dai membri dell’Alleanza in base alla possibilità di accrescere i rischi di conflitto con una superpotenza nucleare.
Con l’adesione della Finlandia, il confine della Nato con la Russia praticamente raddoppia, di fatto aumentando le possibilità di una guerra. Il Baltico, d’altro canto, diventa un lago Nato in cui l’unico sbocco russo è completamente accerchiato da paesi appartenenti a un’alleanza ostile.
Aderendo all’Alleanza, Finlandia e Svezia rinunciano alla possibilità di giocare un ruolo di mediazione fra Russia e Occidente, e di promuovere una riconciliazione in futuro. Al contrario, questo passo completa la costruzione di una nuova cortina di ferro in Europa, che si estende dall’Artico al Mar Nero.
Alterazione degli equilibri europei
Inoltre, si consolida la dipendenza del continente europeo dagli Stati Uniti, e si alterano ulteriormente gli equilibri all’interno della Nato. Se l’ingresso dei paesi dell’Europa dell’Est aveva spostato a oriente il baricentro degli interessi europei dell’Alleanza, quello di Finlandia e Svezia, fortemente voluto da Usa e Gran Bretagna, emargina ulteriormente gli interessi dell’Europa sud-occidentale, a vantaggio di un arco che dagli Stati Uniti raggiunge l’Est europeo passando per il nord e l’estremo nord del continente.
Stoccolma ed Helsinki – che hanno strettamente coordinato le loro decisioni al fine evitare che uno dei due paesi rimanesse isolato mentre l’altro aderiva al fronte occidentale – stanno festeggiando la loro definitiva “emancipazione” dall’ingombrante vicino russo. Ma rischiano di scoprire ben presto che questa loro “libertà” non è che una nuova forma di dipendenza.
Washington ha spinto insistentemente per il compimento di questo passo da parte dei due paesi scandinavi. Lo stesso ha fatto la Gran Bretagna, la quale si è affrettata ad offrire loro garanzie di sicurezza contro ogni eventuale rappresaglia russa durante il periodo di transizione che, sebbene insolitamente breve, potrebbe estendersi per alcuni mesi e, in caso di ostacoli imprevisti, anche per più di un anno.
Malgrado la Brexit, il Regno Unito rimane il più importante partner dei paesi nordici nelle politiche di difesa e sicurezza. La Germania è costretta a inseguire, e dovrà dedicare maggiori attenzioni al Baltico se vorrà contrastare la supremazia britannica.
L’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, inoltre, favorisce la militarizzazione dell’Artico, regione che si avvia ad acquisire enorme importanza per le nuove rotte commerciali che si apriranno in conseguenza del riscaldamento globale.
Per anni la Nato ha condotto esercitazioni militari nell’estremo nord europeo, a non molta distanza dalle basi della flotta settentrionale russa nella penisola di Kola. Tali basi ospitano i sottomarini russi equipaggiati con missili balistici che assicurano la “second-strike capability” (cioè la capacità di rispondere ad un attacco nucleare), elemento essenziale del potere di deterrenza nucleare di Mosca.
Una drammatica frattura
Permangono alcune incognite sul processo di adesione di Stoccolma ed Helsinki. Entrambi i paesi sembrano restii ad accogliere strutture militari Nato sul proprio territorio, elemento che aumenterebbe enormemente le tensioni con Mosca. E’ perciò auspicabile che essi continuino ad abbracciare questa scelta.
Inoltre, l’adesione deve essere ratificata dai parlamenti dei paesi membri dell’Alleanza. La Turchia e pochi altri membri hanno sollevato obiezioni all’ingresso dei due paesi scandinavi, e ciò potrebbe prolungare il periodo di transizione.
In conclusione, tuttavia, il passo compiuto da Finlandia e Svezia ha ormai tutti i crismi della scelta irrevocabile, e con tutta probabilità è destinato a concludersi con la loro adesione ufficiale. Con tale passo, però, i due paesi hanno rinunciato a intrattenere relazioni di amicizia con Mosca, e contribuito a rendere definitiva, almeno sul medio periodo, una drammatica spaccatura che ha diviso in due il continente.
Una frattura che di fatto spinge Mosca a voltare le spalle all’intera sua storia (finora sempre proiettata verso occidente) per guardare all’Asia e alla Cina come unica ancora di salvezza. Le conseguenze di questo evento, che non ha precedenti nella storia, sono ad oggi difficili da cogliere nella loro portata.