Due anni di conflitto ucraino: la sconfitta dell’Europa
La prospettiva di un’Europa teatro di una nuova guerra fredda con la Russia, sebbene al prezzo di diventare più insicura e impoverita, è quanto si augurano gli strateghi americani.
Mentre si chiude il secondo anno di guerra in Ucraina, l’apparente stallo che caratterizza questo sfibrante conflitto di logoramento nasconde cambiamenti decisivi sul campo di battaglia e nel panorama internazionale.
Mosca ha riorganizzato le proprie forze, mobilitato nuovi uomini e mezzi, e preme su diversi punti del fronte. Dopo un estenuante assedio, la cittadina di Avdeevka, nell’oblast di Donetsk, è caduta in mani russe. Gli ucraini, fiaccati dalla carenza di soldati e munizioni, sono ormai nettamente sulla difensiva.
Nel frattempo, il fardello del sostegno economico e militare all’Ucraina è passato dagli Stati Uniti all’Europa. Tra aiuti finanziari e fornitura di armi, il contributo europeo è ormai il doppio di quello americano.
Complessivamente, però, l’appoggio occidentale mostra evidenti crepe. Chiare divisioni sono emerse nell’establishment statunitense, ma anche fra i diversi stati europei, e nel governo di Kiev.
Dopo mesi, il Congresso USA non ha ancora approvato il promesso pacchetto di 60 miliardi di dollari in aiuti militari. E in ogni caso, l’industria occidentale della difesa non è in grado di tenere il passo con l’intensità dello scontro bellico in Ucraina.
Da Washington giungono chiaramente pressioni, dirette e indirette, verso l’Europa affinché si assuma responsabilità ancora maggiori nella guerra, dando ossigeno finanziario a Kiev e aumentando le spese militari.
La zavorra del conflitto, e della riconfigurazione degli scambi commerciali e delle fonti di approvvigionamento energetico, dovuta alla rottura dei rapporti con Mosca, ha tuttavia inciso pesantemente sulle economie europee, in evidente difficoltà.
Ma negli ambienti transatlantici regna tuttora la convinzione che lo scontro con Mosca possa e debba essere vinto. Alcuni considerano il 2024 come un anno interlocutorio, in vista di una nuova controffensiva ucraina l’anno successivo.
Soprattutto oltreoceano, domina la persuasione che si possa ancora rovesciare il tavolo, che le sanzioni prima o poi avranno effetto sull’economia russa, che Mosca cederà se l’Occidente mobiliterà le risorse necessarie.
Né Washington né Kiev sono intenzionate ad aprire un negoziato che comporterebbe concessioni dolorose. I paesi europei, uniformatisi a questa linea politica, dal canto loro continuano a consolidare la nuova cortina di ferro destinata a mantenere il continente diviso, dal Mar Nero al Baltico, fino alla regione artica.
L’Europa si avvia così ad essere, per molti anni a venire, un nuovo teatro dello scontro per la ridefinizione degli equilibri mondiali, a detrimento di una prosperità europea che appare sempre più un ricordo del passato. Assieme ad essa, ad andare perduto è anche il bene inestimabile della pace continentale.
Melodramma a Monaco
La Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (Munich Security Conference), che si è conclusa domenica scorsa in Germania, ha offerto uno sconfortante compendio della scena attuale.
Svoltasi all’insegna dell’allarmismo e della drammatizzazione, essa è stata una caricaturale quanto inquietante chiamata europea alle armi contro la Russia.
La rovinosa ritirata ucraina da Avdeevka, i timori europei suscitati dall’ennesima dichiarazione di Trump contro la NATO, l’allarmante quanto probabilmente infondata “soffiata” dell’intelligence americana sull’imminente lancio in orbita di un’arma nucleare antisatellite da parte della Russia, l’improvvisa quanto misteriosa morte in carcere di Alexei Navalny, oppositore russo osannato in Occidente ma poco amato in patria, hanno fatto da sfondo alla conferenza.
Il preludio dell’evento è stato invece caratterizzato dalle sinistre previsioni di diversi leader politici e militari europei su uno scontro armato con la Russia nei prossimi anni che, a loro dire, sarebbe quasi inevitabile.
Il ministro della difesa danese, Troels Lund Poulsen, ha affermato che la Russia potrebbe mettere alla prova l’articolo 5 della NATO entro 3-5 anni. La presidente della Commissione difesa del Bundestag tedesco, Marie-Agnes Strack-Zimmermann, ha parlato di un probabile attacco russo a un paese NATO fra 5-8 anni.
A gennaio, il capo di stato maggiore dell’esercito svedese aveva dichiarato che la popolazione avrebbe dovuto prepararsi a un’eventuale guerra. Gli aveva fatto eco il comandante dell’esercito britannico, il quale aveva ammonito i cittadini ad essere pronti a una guerra paragonabile ai grandi conflitti del XX secolo.
Dal canto suo, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha detto che l’Occidente deve prepararsi a uno scontro con la Russia “che potrebbe durare decenni”.
A Monaco, il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius ha ripetuto lo stesso mantra: “Non so predire se e quando avverrà un attacco al territorio NATO, ma potrebbe accadere fra 5-8 anni”.
La frustrazione dei leader europei sarà verosimilmente profonda di fronte alla constatazione di quello che probabilmente essi considerano lo stato di “incoscienza” in cui vivono i loro popoli, delle cui aspirazioni peraltro tali leader non si curano affatto.
Secondo il rapporto della conferenza, la Russia figura solo al 7° posto tra le principali preoccupazioni dei tedeschi, e addirittura al 12° fra quelle degli italiani.
Allora, per spiegare l’allarmismo dei politici occidentali, il noto politologo statunitense John Mearsheimer ricorre al concetto di “inflazione della minaccia”: ingigantire il “pericolo russo” è necessario per serrare i ranghi dello sfilacciato fronte atlantico a sostegno dell’Ucraina, ma anche per mobilitare popolazioni svogliate.
Ecco allora decifrate le affermazioni di Stoltenberg secondo cui “se Putin vince in Ucraina, non vi è garanzia che l’aggressione russa non si estenda ad altri paesi”.
Sotto questo profilo, il clima era certamente più ottimistico alla Conferenza di Monaco dello scorso anno, allorché diplomatici, strateghi e analisti dell’intelligence (davvero poco lungimiranti) ritenevano che Mosca si stesse avviando verso una cocente sconfitta in Ucraina, e contavano i mesi che separavano Kiev dalla riconquista di tutti i suoi territori.
Il progetto americano per l’Europa
Ma l’attuale allarmismo è anche imprescindibile se deve concretizzarsi l’obiettivo americano di consolidare un’artificiale cortina di ferro nel cuore dell’Europa, che mantenga il continente diviso nei decenni a venire.
Per comprendere il progetto statunitense, è sufficiente leggere Graham Allison, decano dei politologi USA, professore ad Harvard, grande esperto di Russia e Cina. In un articolo eloquentemente intitolato “Ciò che gli americani devono all’Ucraina”, egli scrive:
Immaginate che due anni fa – prima che Putin invadesse l’Ucraina – qualcuno fosse venuto negli Stati Uniti con una proposta credibile per impantanare la minaccia militare russa all’Europa per il decennio a venire, senza perdere un solo soldato statunitense. Quanto sarebbero stati disposti a investire in quell’iniziativa gli americani?
Allison prosegue esponendo in dettaglio i vantaggi che l’ipotetica “proposta” avrebbe offerto agli USA:
- Risvegliare i nostri partner europei della NATO alla realtà di combattimenti sanguinosi e su vasta scala nel XXI secolo, motivandoli a investire centinaia di miliardi di dollari nella produzione delle loro capacità di difesa.
- Convincere due delle nazioni europee militarmente più capaci – Finlandia e Svezia – ad aderire alla NATO aumentando quindi significativamente la forza deterrente dell’Alleanza.
- Infliggere a Putin un’imponente sconfitta strategica, sventando in modo decisivo il suo tentativo di prendere Kiev e sostanzialmente di cancellare l’Ucraina dalle mappe.
- Persuadere […] l’economia più importante d’Europa – la Germania – ad eliminare la sua dipendenza dall’energia a basso costo della Russia, ed a cominciare a creare una propria forza militare.
- Rivitalizzare l’alleanza transatlantica con una campagna coordinata e protratta per sconfiggere l’aggressione russa, armando e finanziando l’Ucraina e indebolendo la Russia attraverso l’imposizione del sistema di sanzioni economiche più completo della storia.
Allison conclude dicendo che “se ci avessero fatto una proposta del genere, ci sarebbe sembrata incredibile e l’avremmo probabilmente respinta perché troppo bella per essere vera”. Ma – chiude il politologo americano – “grazie al notevole coraggio e alla determinazione” degli ucraini, essa si è tradotta in realtà.
Mantenere viva la narrazione
Il progetto esposto da Allison è abbastanza cristallino, e non necessita di particolari chiarimenti, al di là di un paio di precisazioni.
Se le finalità del progetto sono evidenti – mobilitare gli alleati europei contro la Russia, risvegliandoli “alla realtà di combattimenti sanguinosi e su vasta scala”, come dice Allison, allo scopo di fare del continente l’immensa retrovia di un conflitto combattuto sulla terra e sulla pelle degli ucraini – la narrazione su cui esso poggia è tuttavia imperniata su un punto debole: l’ossessiva reiterazione di una menzogna, quella della cosiddetta “aggressione non provocata” da parte della Russia.
Tale reiterazione è necessaria per mantenere in piedi la finzione secondo cui il conflitto non sarebbe stato causato dall’espansione della NATO, né dal golpe di Maidan del 2014, condotto con la complicità americana, né dal rifiuto di implementare gli accordi di Minsk.
Bensì, esso è il risultato del revanscismo del presidente russo Putin, il cui obiettivo – come dice Strobe Talbott, ex vicesegretario di Stato e presidente della Brookings Institution – sarebbe quello di ricreare “l’impero russo con lui come zar”.
Per consolidare la nuova cortina di ferro e scongiurare qualsiasi spiraglio negoziale, è poi necessario reiterare un’altra menzogna, quella secondo cui, quando Putin decise di invadere l’Ucraina, intendeva conquistarla interamente e cancellarla dalle mappe, come ha scritto Allison, o “annientarla”, come ha ripetuto più volte il presidente americano Joe Biden.
Tale falsità è stata smascherata da diversi esperti militari, i quali hanno puntualizzato che la Russia non intendeva conquistare l’intera Ucraina, per il semplice fatto che non l’aveva invasa con forze sufficienti.
Mosca puntava invece a “forzare” l’avvio di un processo negoziale che stava avendo successo nel marzo 2022, allorché fu boicottato dall’intervento di inglesi e americani, proprio allo scopo di realizzare il progetto candidamente esposto da Allison.
Per tenere in piedi la narrazione americana è poi necessario esprimere ottimismo sul futuro dell’Ucraina – come ha fatto il sottosegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, James O'Brien, affermando che “l’Ucraina sarà più forte alla fine del 2024” – malgrado la grave situazione economica in cui versa il paese, e le enormi perdite subite che, secondo l’ex procuratore generale ucraino Yuriy Lutsenko, ammontano ad almeno 500.000 morti.
Allo stesso tempo, è necessario tenere viva la paura in Europa, riesumando la “Teoria del Domino” utilizzata dal presidente Lyndon Johnson in Vietnam, esemplificata dalla dichiarazione di Biden dello scorso 6 dicembre, secondo cui “se Putin prende l’Ucraina, non si fermerà […] Continuerà ad andare avanti”.
E questo sebbene il leader del Cremlino abbia recentemente rinnovato i segnali di una disponibilità russa al negoziato.
La nuova cortina di ferro
Ecco dunque che gli strateghi americani continuano ad elaborare scenari di una guerra a lungo termine per Kiev, prevedendo la creazione di linee fortificate, la ricostituzione del decimato esercito ucraino, e la pianificazione di attacchi oltre la linea del fronte, per colpire obiettivi in profondità nel territorio russo.
L’obiettivo è giungere a una situazione in cui l’Ucraina sia in grado di assorbire le offensive russe minimizzando le perdite, per eventualmente riguadagnare l’iniziativa in futuro, o comunque continuare a “dissanguare” la Russia.
Ma la nuova “strategia difensiva” prospettata da Washington prende anche in considerazione la possibilità che l’Ucraina diventi uno Stato fallito. Fino a quando essa rimarrà un calderone di nazionalismo nel quale impantanare la Russia (eventualmente anche attraverso una resistenza armata), imprigionandola in una contrapposizione permanente con l’Occidente, l’obiettivo americano è raggiunto comunque.
Nel frattempo, l’altro focus di Washington è quello di consolidare la nuova cortina di ferro europea dal Mar Nero al Baltico, attraverso il ritrovato ruolo di fedele e docile alleato da parte della Germania, per “persuadere” la quale a rinunciare all’energia russa a basso costo – come ha scritto Allison – giunse il provvidenziale sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel settembre 2022.
Il ristabilito asse di Berlino con la Polonia, il rilancio del cosiddetto Triangolo di Weimar (Parigi-Berlino-Varsavia), la nuova “linea di difesa del Baltico” (promossa da Estonia, Lituania e Lettonia), e l’avanzamento di una “Schengen militare” per facilitare la movimentazione di materiale bellico entro i confini dell’Unione in direzione della Russia, forniranno la struttura portante della nuova cortina di ferro.
Il nuovo slancio impresso al processo di allargamento dell’UE, e di espansione della NATO, che potrà coinvolgere a vari livelli i Balcani occidentali, e paesi come Ucraina, Georgia e Moldova, completa il progetto di Washington.
In particolare, l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza Atlantica servirà a estendere il conflitto all’estremo Nord del continente, e alla regione artica. E con gli alleati europei così mobilitati contro la Russia, gli Stati Uniti potranno dedicare le proprie attenzioni al Pacifico.
Naturalmente, le incognite di questo progetto sono numerose. Il processo di allargamento di organismi mastodontici come NATO e UE, che già presentano seri problemi al loro interno, è destinato a incontrare numerosi ostacoli.
La creazione di un’industria bellica europea è un’impresa che richiederà anni, mentre quella russa è a pieno regime. Tale impresa è poi tutt’altro che scontata, soprattutto alla luce delle difficoltà economiche e di approvvigionamento delle materie prime a cui stanno andando incontro i principali paesi dell’Unione.
Gli eserciti di Gran Bretagna e Germania versano in condizioni disastrose, mentre entrambi i paesi sono entrati in recessione. L’economia tedesca, in particolare, sta andando incontro a un vero e proprio processo di deindustrializzazione.
Washington ha le sue gatte da pelare in patria, con la sua grave paralisi politica interna, e un anno elettorale che si preannuncia pieno di tensioni e incertezze.
Ma oltreoceano, la prospettiva di un’Europa teatro di una nuova guerra fredda con la Russia, sebbene al prezzo di diventare più insicura e impoverita, è quanto di meglio l’America si possa augurare – almeno secondo strateghi come Allison.
La vera domanda è come andrà a finire questo conflitto? Comunque gran bell’articolo
Il link alla "dichiarazione di Biden dello scorso 6 dicembre" non funziona.
Link a parte, niente da eccepire!