Ucraina: colta da improvviso panico, l’Europa flirta con ipotesi futili quanto avventate
Dalla Francia di Macron alla Germania di Scholz, l’Europa a fari spenti di fronte a scelte chiave per il futuro della stabilità continentale.
Isteria e allarmismo dominano il dibattito europeo sulla crisi ucraina e sullo scontro con la Russia. “Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura”, ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo che tradiva tanto la russofobia britannica quanto l’irritazione di Londra nei confronti della Germania e del suo cancelliere Olaf Scholz.
I dissapori fra le varie capitali europee sono tuttavia conseguenza di un improvviso “risveglio”. Dopo essere cadute vittima della loro stessa propaganda, le élite politiche europee si stanno riavendo dalla sbornia, per scoprire che Kiev sta effettivamente perdendo la guerra.
“La guerra è persa ma i nostri governi rifiutano di ammetterlo. Invece, fingono che si possa ancora vincere – anzi, bisogna vincere per evitare che “Putin” marci verso la Finlandia, la Svezia, gli Stati baltici, e infine Berlino. Due anni fa ci fu promesso che oggi al più tardi la Russia sarebbe stata completamente sconfitta, economicamente, militarmente e politicamente. Ma le sanzioni si sono rivelate un boomerang, e i carri armati Leopard II non erano sufficienti…”
A scrivere queste parole è Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia. Il quale prosegue:
“È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori”?
Streeck è per certi versi una voce fuori dal coro, in quanto lascia trasparire segni di ripensamento dai quali la maggioranza dell’intellighenzia europea sembra tuttora immune.
A titolo di esempio, nella stessa miscellanea di riflessioni sulla guerra, raccolte dal britannico New Statesman in occasione del secondo anniversario dello scoppio del conflitto, Ivan Krastev, presidente del Centro per le Strategie Liberali con sede a Sofia, in Bulgaria, scrive:
“Ciò che rende il momento attuale radicalmente diverso dall’inizio della guerra o addirittura dalla situazione di un anno fa è che, ora, i governi e un numero crescente di cittadini europei hanno iniziato a percepire la guerra non in termini di solidarietà con l’Ucraina, ma di difesa dei fondamentali interessi di sicurezza dei vicini europei della Russia”.
L’opinione di Krastev non va scartata troppo frettolosamente come il punto di vista di un esponente dell’Europa dell’Est. E’ proprio tale punto di vista, infatti, che sta prendendo il sopravvento, con la complicità di Washington, all’interno dell’UE e della NATO.
Lo conferma il recente viaggio a Praga del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha accettato il piano ceco di acquistare 800.000 proiettili d’artiglieria da paesi non appartenenti all’UE per rifornire l’Ucraina.
Inizialmente Parigi si era detta contraria a spendere denaro europeo al di fuori dell’Unione, affermando che sarebbe stato preferibile investirlo nell’industria della difesa del vecchio continente. Ma il nuovo ordine di scuderia a livello europeo è che non c’è tempo, bisogna soccorrere Kiev.
Politica perdente non si cambia
In linea di principio, di fronte all’improvvisa realizzazione che l’Ucraina sta perdendo la guerra, l’Europa potrebbe scegliere fra due opzioni strategiche: tagliare le perdite imboccando la strada del compromesso con Mosca, oppure aumentare nuovamente la posta in gioco. La fazione che propende per la seconda ipotesi è tuttora dominante nel dibattito politico europeo.
Preso atto dell’impossibilità di recuperare i territori ucraini perduti, la nuova priorità europea ed occidentale è preservare lo Stato ucraino e consolidarne la sua posizione all’interno del blocco euro-atlantico.
Come scrive sul Financial Times lo stesso Krastev (che è anche membro del Consiglio di fondazione dell’ European Council on Foreign Relations, e del comitato consultivo dell’ Open Society Foundations, istituto fondato da George Soros), “ciò che è non-negoziabile non è tanto l’integrità territoriale dell’Ucraina, quanto il suo orientamento democratico e filo-occidentale”.
Krastev traccia quindi un parallelo fra l’Ucraina e la Germania Ovest durante la Guerra Fredda. L’analogia è illustrativa perché implica la possibilità di una riunificazione alla prima occasione.
Ma, fino a quando l’Occidente si ostinerà a voler inserire l’Ucraina nell’architettura di sicurezza occidentale – osserva il noto analista russo Fyodor Lukyanov – Mosca sarà costretta a rispondere, a prescindere dal fatto che Kiev aderisca ufficialmente alla NATO o meno.
Le conseguenze sono ovvie: siamo tuttora di fronte a una prospettiva di escalation.
Fermare il nemico russo alle porte
Alla base del tambureggiante allarmismo europeo sulla possibilità che Mosca non limiti i propri obiettivi all’Ucraina, ma intenda attaccare un paese NATO nei prossimi anni, sono poi da ravvisare due esigenze: rilanciare l’industria bellica europea, e consolidare la nuova cortina di ferro che dividerà l’Europa dal Mar Nero al Baltico, fino all’Artico.
Nel quadro del rafforzamento di quest’ultima, spicca l’ossessione NATO per la protezione di quello che è considerato il suo punto più debole, il corridoio di Suwalki (in inglese, Suwalki gap), un lembo di terra lungo circa 65 km che corre sul confine tra Lituania e Polonia, separando la Bielorussia alleata di Mosca dall’exclave russa di Kaliningrad.
L’assillo della NATO, alimentato dalla presa di coscienza della propria debolezza militare a seguito dello scontro non vittorioso con Mosca in Ucraina, è che le forze russe possano occupare questa striscia di terra con un’azione fulminea, ponendo così il blocco atlantico di fronte al fatto compiuto, e isolando le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) dal resto dell’Alleanza.
Chiamata francese alle armi
Di fronte all’esigenza di “salvare” lo Stato ucraino e la sua appartenenza al blocco occidentale, ecco allora la proposta, fino a poco tempo fa ritenuta impensabile, di inviare truppe NATO in Ucraina. Ad avanzarla è stato Macron ad una conferenza di leader europei riuniti a Parigi, ispirando, a stretto giro di posta, la constatazione (più che la “minaccia”) del presidente russo Putin che uno scontro Russia-NATO sfocerebbe in un conflitto nucleare.
La proposta francese ha suscitato reazioni negative da parte di cechi, slovacchi, italiani, polacchi, così come del cancelliere tedesco Scholz. Tuttavia non si è trattato di una semplice boutade del capo dell’Eliseo.
Lo stesso quotidiano Le Monde, due giorni dopo, affermava che, sebbene la questione fosse mal posta, un dibattito su di essa era necessario. E poco tempo dopo, da Praga, il presidente francese ha reiterato la propria idea.
Questa volta, l’omologo ceco Petr Pavel (un ex generale NATO) ha detto che non vedeva ragioni per cui almeno addestratori dell’Alleanza non potessero essere inviati in Ucraina.
Partizione dell’Ucraina?
Alcuni analisti americani hanno osservato che mandare truppe NATO nel paese non significherebbe necessariamente impegnarle in battaglia contro le forze di Mosca. Nel caso in cui i russi dovessero sfondare il fronte, si potrebbe infatti concepire l’invio di soldati dell’Alleanza per preservare un residuale Stato ucraino, controllando Kiev e attestandosi su una linea ben più a ovest dell’avanzata russa, come base per proporre un cessate il fuoco.
Si tratterebbe, in altre parole, di operare una partizione di fatto dell’Ucraina, secondo uno schema non troppo dissimile da quello applicato qualche anno fa in Siria, ma in un contesto infinitamente più pericoloso.
Per scongiurare uno scontro con Mosca, tale partizione comporterebbe per Kiev una perdita di territori molto più consistente rispetto alla situazione attuale, al fine di garantire una sufficiente “zona cuscinetto” che separi le forze NATO da quelle russe.
Superamento delle linee rosse
Simili scenari, naturalmente, implicherebbero rischi ben maggiori di quelli fin qui corsi nella contrapposizione Russia-NATO. Non bisogna tuttavia dimenticare che i paesi occidentali hanno già oltrepassato un gran numero di linee rosse nel conflitto ucraino, senza che l’opinione pubblica occidentale ne fosse adeguatamente informata.
Vi sono già migliaia di “volontari” stranieri sul suolo ucraino, provenienti soprattutto da Polonia, Romania, ed altri paesi dell’Est, ma anche da Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti. Essi si dividono grossomodo in quattro categorie: mercenari che combattono al fronte, personale addestrato nell’uso dei sistemi d’arma occidentali, consulenti tattici e personale di intelligence.
A fine gennaio, la Russia affermò di aver ucciso una sessantina di mercenari francesi nel bombardamento di un albergo impiegato come caserma a Kharkiv. Parigi negò l’accaduto, ma pochi giorni dopo convocò l’ambasciatore russo accusando Mosca di aver ucciso due operatori umanitari francesi in Ucraina.
L’ambasciata russa a Parigi rispose che le autorità francesi non avevano presentato alcuna prova che i due concittadini uccisi fossero operatori umanitari, né aveva dato risposta riguardo alla presenza di mercenari francesi in Ucraina.
I russi hanno anche colpito batterie Patriot in Ucraina, piste di decollo e centri di comando, uccidendo probabilmente numerosi “volontari” stranieri.
Per converso, è emerso che l’aereo da trasporto russo Il-76 abbattuto a fine gennaio nell’oblast di Belgorod vicino al confine, con a bordo 65 prigionieri di guerra ucraini, era stato colpito da una batteria di missili Patriot, il cui equipaggio potrebbe aver incluso anche personale americano.
Segreti di Pulcinella
Nel frattempo, il New York Times ha rivelato l’esistenza di una partnership di lungo corso fra la CIA e i servizi ucraini, che risalirebbe ai giorni immediatamente successivi al rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych nel febbraio 2014, a seguito della rivolta di Maidan.
(Va rilevato che le ingerenze americane in Ucraina furono continue nel dopoguerra, e non cessarono nemmeno tra la fine della Guerra Fredda e la rivolta del 2014).
Nei giorni successivi al rovesciamento di Yanukovych, il neonominato capo dei servizi ucraini (SBU), Valentyn Nalyvaichenko, propose una collaborazione a tre con la CIA e l’MI6 britannico.
Qualche commentatore americano ha perfino ammesso che la presenza della CIA in Ucraina dopo il 2014 abbia rappresentato una delle provocazioni che hanno infine portato Mosca a invadere il paese.
Nell’ambito della collaborazione fra Kiev e la CIA, quest’ultima ha creato circa 12 stazioni lungo il confine russo – ha riferito il New York Times. Tali avamposti che, come osservano i russi, sono probabilmente ben più di 12, collaborano con le forze speciali e i commando ucraini che compiono attacchi e attentati in territorio russo.
Allo stesso modo, sono le operazioni di ricognizione e spionaggio compiute da aerei americani e britannici sul Mar Nero ad aver facilitato gli attacchi ucraini contro la flotta russa e il ponte di Kerch in Crimea.
Simili operazioni, e la presenza di personale militare occidentale in territorio ucraino, rendono difficile ai paesi NATO mantenere una “plausible deniability”. Sebbene essi abbiano ufficialmente affermato di opporsi all’invio di truppe occidentali, tali forze di fatto già operano sul terreno.
Bisticci fra Londra e Berlino
E’ quanto ha indirettamente confermato lo stesso Olaf Scholz, il 26 febbraio, allorché ha dichiarato che la Germania non fornirà i suoi missili Taurus a lungo raggio all’Ucraina, perché ciò richiederebbe la presenza di personale militare tedesco per gestire questi complessi sistemi d’arma, allo stesso modo di quanto già fanno i britannici per operare i loro Storm Shadow.
La dichiarazione ha suscitato irritazione a Londra. Sebbene dal governo britannico non siano pervenute reazioni ufficiali, l’ex ministro della difesa Ben Wallace ha descritto il cancelliere tedesco come “l’uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato”. Mentre Tobias Ellwood, ex presidente della commissione Difesa alla Camera dei Comuni, ha definito la dichiarazione di Scholz “un flagrante abuso di intelligence”.
La stizza britannica appare tuttavia fuori luogo, se si pensa che nel frattempo il Times di Londra lodava il capo di stato maggiore dell’esercito di Sua Maestà, ammiraglio Tony Radakin, per aver preso parte alla pianificazione ed esecuzione degli attacchi ucraini contro la flotta russa nel Mar Nero.
Il fronte bellicista tedesco
Nel frattempo, tuttavia, la diffusione della registrazione di un colloquio tra alti ufficiali della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, era destinata ad essere fonte di ulteriore imbarazzo per Berlino.
Nella loro conversazione, quattro ufficiali parlavano di un possibile piano per distruggere il ponte di Kerch, che unisce la Crimea alla madrepatria russa, impiegando da 10 a 20 missili Taurus. Tuttavia, per avere successo, l’attacco avrebbe richiesto il diretto coinvolgimento tedesco nella sua pianificazione, e ciò avrebbe significato un’entrata in guerra di fatto della Germania contro la Russia.
Dalla conversazione, confermata come autentica, emerge che, sebbene Scholz sia restio a fornire i suoi missili da crociera all’Ucraina, vi sono elementi all’interno dell’esercito (ma anche del governo) che sono pronti a coinvolgere ulteriormente la Germania in uno scontro con la Russia.
In spregio della volontà popolare
In generale, vi è una crescente propensione occidentale a fornire armi a lungo raggio che permetterebbero a Kiev di colpire obiettivi in profondità in territorio russo, accrescendo i rischi di un inasprimento del conflitto con Mosca.
Va detto però che tali armi difficilmente cambierebbero i destini dell’Ucraina. Nel caso tedesco, Berlino potrebbe rendere disponibili al più un centinaio di Taurus, capaci di colpire a una distanza di 500 km.
Essi sarebbero dunque potenzialmente in grado di mettere Mosca sotto tiro. Ma il loro numero esiguo fa sì che, pur essendo un loro impiego per eventuali attacchi in territorio russo estremamente provocatorio, esso non muterebbe gli equilibri complessivi.
Come hanno osservato alcuni esperti militari americani, ciò di cui l’Ucraina ha veramente bisogno sono proiettili d’artiglieria e sistemi di difesa aerea contro i missili e i droni russi. Ma è proprio questo materiale che l’industria bellica occidentale non riesce a produrre in quantità sufficienti.
Gli avventurismi occidentali, dunque, accrescono il rischio di incidenti che potrebbero portare a uno scontro diretto con la Russia, senza tuttavia risollevare le sorti di Kiev.
Per salvare l’Ucraina, sarebbe molto più utile la ricerca di un compromesso con Mosca, come del resto vorrebbe la maggioranza delle opinioni pubbliche europee.
Ma si sa, nelle “democrazie” occidentali, raramente i governi si fanno interpreti della volontà delle rispettive popolazioni.
Non ho trovato la concordanza che dici tu, per questo chiedevo un approfondimento. Grazie
Io mi riferivo a questo: https://www.rainews.it/maratona/2024/01/linvasione-russa-giorno-700-nuovo-attacco-su-kharkiv-dopo-i-19-morti-di-ieri-ebe71b27-b4dc-482f-8abd-ebc452be5b50.html?wt_mc=2.www.wzp.rainews.#fa1c07ae-b62b-4ff3-9caa-b6d8e8df4cf9