A 75 anni, l’Alleanza Atlantica si fonda su una narrazione fittizia
La NATO è un anziano boss, costretto a mentire a se stesso pur di prolungare il proprio declinante potere, perpetuando una scia di divisioni e conflitti nel vecchio continente e nel mondo.
L’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico è stata definita dai suoi sostenitori l’alleanza più “duratura” e “di maggior successo” della storia. Quest’anno, la NATO celebra i 75 anni di vita. Per festeggiare la ricorrenza, il consueto vertice annuale dell’Alleanza si terrà a Washington, dove i ministri degli esteri degli originari 12 paesi membri firmarono il trattato il 4 aprile 1949.
La data è stata ricordata, la scorsa settimana, da una frettolosa celebrazione a Bruxelles, sede del quartier generale dell’organizzazione, ormai estesa a ben 32 paesi.
L’atmosfera è stata tuttavia guastata dalle preoccupazioni su come rafforzare le difese ucraine, tenuto conto che l’atteso pacchetto di aiuti statunitensi da 60 miliardi di dollari è tuttora bloccato al Congresso, e che un’eventuale elezione di Donald Trump alla Casa Bianca creerebbe ulteriori problemi alla coalizione che sostiene Kiev.
Una NATO “a prova di Trump”
“Trump-proofing” è l’espressione all’ordine del giorno nei corridoi di Bruxelles – rendere la NATO “a prova di Trump”. Nel quartier generale dell’Alleanza serpeggia il timore reale che, se il comportamento degli USA nei confronti dell’organizzazione dovesse cambiare a seguito di una nuova presidenza Trump (essenzialmente all’insegna di un crescente disimpegno americano), la NATO stessa potrebbe addirittura cessare di esistere.
Da qui l’esigenza di discutere i possibili modi per “isolare” il ruolo della NATO in Ucraina dalle incertezze della politica americana. La scorsa settimana, il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg ha avanzato la proposta di creare un fondo da 100 miliardi di euro da erogare a Kiev su un periodo di 5 anni.
La proposta prevede anche che la NATO possa assumere un ruolo più diretto nella gestione del Gruppo di Contatto, la coalizione di paesi a guida USA che sovrintende alla distribuzione degli armamenti all’Ucraina (e che si riunisce abitualmente presso la base tedesca di Ramstein).
Paradossalmente, l’idea non piace né alla Casa Bianca, che considera imprescindibile la leadership americana del gruppo, né a paesi come l’Ungheria, che la vedono come un ulteriore passo verso un coinvolgimento diretto dell’Alleanza nel conflitto ucraino con la Russia – esattamente ciò che i leader occidentali avevano sempre dichiarato di voler evitare.
Dal canto suo, l’ambasciatore Chas Freeman, decano dei diplomatici americani, ha osservato che “la NATO ha esaurito sia gli ucraini da sacrificare sul campo di battaglia che la produzione di armamenti necessari per equipaggiare le forze armate ucraine esistenti, fortemente logorate. Un fondo non creerà né più ucraini né più armi da fornire a coloro che sono sopravvissuti finora.”
L’analista americano James Carden ha rincarato la dose affermando che la proposta di Stoltenberg ricorda il comportamento della Commissione Europea quando cerca di sostituire le legislazioni nazionali con diktat sovranazionali.
“Se gli elettori negli Stati Uniti, in Canada, Francia o Germania, cercano di eleggere persone che (come Trump) vogliono tagliare i finanziamenti allo sforzo bellico, l’esistenza di un tale fondo essenzialmente annulla la loro scelta” democratica, scrive Carden. Ecco spiegato in due parole il concetto di “Trump-proofing”.
Bugie per alimentare il conflitto
Nel frattempo, il segretario di Stato USA Antony Blinken ha dichiarato, in occasione della celebrazione dello scorso 4 aprile a Bruxelles, che “l’Ucraina diventerà un membro della NATO” – un’affermazione che è allo stesso tempo una promessa di guerra eterna, e una menzogna.
Fu esattamente la prospettiva di un’adesione di fatto (prima ancora che di principio) dell’Ucraina all’Alleanza a provocare l’invasione russa. E, fino a quando tale prospettiva esisterà, assicurerà l’inimicizia di Mosca nei confronti di Kiev – eventualmente fino all’annientamento stesso dell’Ucraina.
Ma quella di Blinken è allo stesso tempo una menzogna. Egli sa che il presidente Joe Biden aveva detto l’estate scorsa che Kiev “non è pronta per l’adesione alla NATO”, e che l’amministrazione rimane “contraria ad offrire all’Ucraina un avvio dei negoziati di adesione [al vertice di luglio] a Washington, così come lo era al vertice dello scorso anno a Vilnius”.
Dunque, sebbene la formulazione di Blinken sia intesa a rafforzare il sostegno alla continuazione della guerra, essa non offre alcuna garanzia a Kiev attraverso la promessa di adesione alla NATO.
Ciò non ha impedito ai ministri degli esteri di Germania, Francia e Polonia – Annalena Baerbock, Stéphane Séjourné e Radosław Sikorski – di scrivere orgogliosamente sulle pagine di Politico che i paesi dell’Alleanza hanno fornito all’Ucraina, in poco più di due anni di conflitto, oltre 200 miliardi di euro in assistenza militare e finanziaria.
Una somma che avrebbe potuto essere investita nello sviluppo pacifico delle popolazioni del Nord America e dell’Europa, invece di alimentare un pericolosissimo conflitto nel cuore del vecchio continente, che USA e Gran Bretagna in primis hanno esacerbato sabotando ogni tentativo negoziale.
Baerbock, Séjourné e Sikorski hanno scritto che “appoggiamo l’Ucraina per difendere la nostra libertà e sicurezza”, e che “affinché l’Europa sia in pace, l’imperialismo russo deve essere fermato”. Hanno sostenuto che 75 anni fa il trattato di fondazione della NATO fu firmato per “preservare i nostri valori comuni: libertà individuale, diritti umani, democrazia e stato di diritto”.
Troppo spesso, purtroppo, la storia dell’Alleanza Atlantica ha smentito simili affermazioni, dimostrando che la NATO non è uno strumento difensivo, ma di aggressione, che più volte ha calpestato i diritti umani, e che ha messo in pericolo la democrazia all’interno degli stessi paesi aderenti all’organizzazione.
Calpestare la democrazia per battere il comunismo
Fin dai primi anni dell’Alleanza, USA, Francia ed altri paesi membri si impegnarono in sanguinose guerre in Indocina, Corea, Algeria e altrove. La NATO appoggiò golpe in Grecia, Turchia, e contro governi nazionalisti e di sinistra in Africa e America Latina pur di combattere l’influenza sovietica.
In collaborazione con la NATO e i servizi segreti di numerosi paesi membri, la CIA e l’intelligence britannica crearono una rete clandestina (“stay behind”) di eserciti anticomunisti nell’Europa occidentale.
Essi avevano il compito di manipolare l’opinione pubblica (con strumenti che andavano dalla propaganda al terrorismo) per impedire l’emergere di qualsiasi forza che minacciasse l’impianto capitalistico e l’orientamento atlantico di questi paesi.
Tali eserciti segreti operarono in gran parte dell’Europa, dal Portogallo alla Turchia. La rete italiana, soprannominata Gladio, venne alla luce nel 1990.
Il ramo tedesco, chiamato Bund Deutscher Jugend (Lega della Gioventù Tedesca), era infiltrato da ex nazisti e membri delle SS.
Reinhard Gehlen, responsabile dell’intelligence nazista sul fronte orientale, fuggito a Washington nel settembre del 1945 con l’aiuto dei servizi segreti statunitensi, fu successivamente fatto rientrare in Germania dove, con finanziamenti USA, cominciò a gestire la cosiddetta “organizzazione Gehlen”, embrione di quello che sarebbe poi divenuto il principale servizio di intelligence della Germania Ovest – il Bundesnachrichtendienst (BND).
Circa 4.000 agenti nazisti furono reintegrati nella rete di Gehlen sotto la supervisione della CIA, secondo la nota inchiesta del giornalista investigativo Eric Lichtblau.
Nessuna coesistenza
In realtà, non solo secondo storici radicali, ma anche secondo uno storico ortodosso come John Lukacs, già al termine del suo primo decennio di vita la NATO poteva essere considerata obsoleta, essendo i sovietici in ritirata in Europa.
Ma già prima, lo stesso Stalin si era dimostrato un realista, determinato a seguire una politica delle sfere di influenza piuttosto che un messianismo espansionista come quello dei primi rivoluzionari comunisti.
La dirigenza sovietica aveva ereditato dalla Russia zarista l’idea di un equilibrio fra potenze in Europa, ovvero di un modus vivendi fra Stati che rinunciavano ad imporre la propria volontà sui paesi rivali.
Questa idea si estrinsecò nel concetto sovietico di “pacifica coesistenza tra due sistemi”, e successivamente in quello di “sicurezza indivisibile” (in base al quale il contraente di un accordo non può rafforzare la propria sicurezza a spese di quella della controparte) portato avanti dall’attuale leadership russa.
Incurante dell’approccio sovietico, a partire dal 1961 Washington decise di schierare missili nucleari Jupiter a medio raggio in Turchia, in grado di raggiungere tutte le principali città occidentali dell’URSS, incluse Mosca e Leningrado. La mossa americana fu all’origine della crisi di Cuba dell’anno seguente.
Con la fine della Guerra Fredda, che vide la dissoluzione del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, e il ritorno della Russia e degli altri paesi ex sovietici al modello capitalista, la NATO tuttavia non si sciolse.
Al contrario, l’Alleanza inaugurò le proprie operazioni “fuori area”, a partire dalla Iugoslavia. Nel 1999, essa bombardò la Serbia senza mandato ONU, e in violazione del diritto internazionale, favorendo la secessione del Kosovo.
Dopo l’11 settembre, la NATO invocò per la prima volta l’articolo 5 di mutua difesa, ed occupò l’Afghanistan, conducendo una guerra che si sarebbe protratta per vent’anni, portando alla distruzione del paese, e infine al ritorno dei Talebani.
Paesi NATO hanno preso parte, direttamente o indirettamente, alle guerre in Iraq, Libia, Siria e Yemen, che hanno stravolto il già fragile tessuto mediorientale.
Nel frattempo l’Alleanza ha avviato la propria inarrestabile espansione. Sebbene la Guerra Fredda si fosse conclusa con un compromesso, per Washington la Russia emersa dalle ceneri dell’URSS era una potenza sconfitta. Come tale non aveva voce in capitolo.
Malgrado il crescente disagio di Mosca, dunque, la NATO si è estesa fino a includere quasi tutti i paesi dell’Est, passando così da 12 a ben 32 membri.
Nel frattempo, Mosca dovette tollerare nel 2002 il ritiro americano dal Trattato ABM (Anti-Ballistic Missile) che garantiva un equilibrio nella deterrenza nucleare. Successivamente, gli USA avrebbero schierato missili antibalistici in Romania e Polonia. E nel 2019 si sarebbero ritirati dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) dopo aver accusato la Russia di aver più volte violato l’accordo.
Ucraina, un “ariete” contro Mosca
Ma l’episodio più grave, nel rinnovato deterioramento dei rapporti con Mosca dopo la fine della Guerra Fredda, fu la decisione del presidente George W. Bush di spingere la NATO a dichiarare, al vertice di Bucarest del 2008, che l’Ucraina e la Georgia sarebbero divenute membri dell’Alleanza.
Ciò avvenne dopo che il suo omologo russo Vladimir Putin aveva messo in guardia il fronte occidentale, nel famoso discorso di Monaco dell’anno precedente, sui rischi che un’alterazione degli equilibri in Europa avrebbe comportato.
La dichiarazione del vertice di Bucarest, inoltre, fu formulata sebbene l’Ucraina, al raggiungimento dell’indipendenza nel 1991, avesse assunto l’impegno di “diventare uno stato permanentemente neutrale che non partecipa a blocchi militari”.
Questa promessa era stata successivamente inserita nella costituzione, che dunque impegnava l’Ucraina a uno status di neutralità.
A partire dalla rivolta di Maidan del 2014, NATO e Russia sarebbero definitivamente entrati in rotta di collisione. Ed è almeno da allora che i paesi dell’Alleanza hanno proceduto a costruire una loro narrazione fittizia del conflitto.
La Russia è stata perciò accusata di aver invaso la Crimea, senza però citare il fatto che il cambio di regime operato a Kiev, con il sostegno di Washington e in spregio di ogni accordo raggiunto con Mosca, al culmine di un pluriennale processo di infiltrazione americana in Ucraina a supporto delle forze nazionaliste e antirusse, aveva di fatto posto fine alla neutralità del paese.
L’invasione russa del 2022 è stata definita una “aggressione non provocata”, tacendo sulla continua infiltrazione delle strutture NATO in Ucraina (tramite esercitazioni militari congiunte, costruzione di capacità navali, invio di istruttori ed armi), e occultando il fatto che dal 2015 la CIA ha addestrato forze speciali e agenti dell’intelligence di Kiev, e che Stati Uniti, Canada e Regno Unito, hanno armato e addestrato in Ucraina gruppi paramilitari, spesso di orientamento neonazista, che si sono macchiati di crimini di guerra nella sanguinosa offensiva contro i separatisti del Donbass.
Analogamente, i leader occidentali denunciano l’imperialismo e l’espansionismo russo, senza minimamente citare l’impressionante avanzamento dell’Alleanza Atlantica avvenuto in questi anni verso i confini russi, e dichiarano che le ambizioni di Mosca vanno al di là dell’Ucraina, senza riconoscere che i vertici russi non hanno né la volontà né i mezzi per proiettare la propria forza militare molto al di là del proprio confine.
Impero neoliberista
Ma, dopo il crollo del blocco comunista, mentre la NATO inglobava progressivamente i paesi dell’ex Patto di Varsavia, un’altra trasformazione epocale avveniva in Europa occidentale: il progressivo smantellamento delle socialdemocrazie.
La NATO è divenuto anche uno strumento per imporre il modello neoliberista. Il 25 marzo 1997, l’allora senatore Joe Biden enunciò le condizioni per l’adesione della Polonia all’Alleanza:
“Il piano di privatizzazione di massa rappresenta un passo importante per dare al popolo polacco una partecipazione diretta al futuro economico del proprio paese. Ma non è questo il momento di fermarsi. Credo che anche le grandi imprese statali dovrebbero essere messe nelle mani di proprietari privati, in modo che possano essere gestite tenendo conto di interessi economici piuttosto che politici... Imprese come le banche, il settore energetico, la compagnia aerea statale, il produttore pubblico di rame, e il monopolio delle telecomunicazioni, dovranno essere privatizzati”.
La transizione occidentale verso un modello neoliberista senza regole ha impoverito la classe media europea, creando una spaccatura sempre più profonda fra essa e le élite al potere.
Queste ultime, agitando lo “spauracchio russo”, ora promuovono un’ulteriore alterazione del contratto sociale, ventilando una progressiva militarizzazione dell’economia e delle società europee.
Già a metà dello scorso anno, il New York Times titolava che “Il ‘dividendo della pace’ è finito in Europa. Ora arrivano i duri compromessi”.
Pochi giorni fa, il Financial Times ha ribadito che “per militarizzarsi quanto è necessario, l’Europa ha bisogno che i suoi cittadini sopportino tasse più alte o uno stato sociale più contenuto”.
Un’Europa militarizzata è anche, inevitabilmente, un luogo in cui non sono più le masse ad ispirare, attraverso il voto, la condotta delle leadership politiche, ma sono queste ultime che sempre più si sforzano di plasmare il consenso.
Che sia questa la ricetta per un rinnovato successo europeo è ovviamente illusorio. Semmai tale ricetta ci pone di fronte alla prospettiva di un progressivo impoverimento economico, di nuove fratture sociali, di un’ulteriore crisi della democrazia, e di accresciuti rischi di destabilizzazione continentale.
In poche parole siamo nella m… fino al collo. Se all’inizio mi dispiaceva ora il non aver avuto figli mi dà quasi sollievo pensando a che mondo gli lascerei… 😢