Dopo Bakhmut – Perché l’Ucraina non può vincere la guerra
Kiev non ha i mezzi per cambiare le sorti del conflitto, ma l’Occidente sta ponendo le basi per una sua possibile cronicizzazione, e forse per la distruzione dell’Ucraina.
La caduta di Bakhmut, in Donbass, rappresenta certamente una svolta importante, in una guerra di logoramento che è evidentemente destinata a durare ancora a lungo.
Essa è avvenuta mentre l’intero Occidente attende messianicamente la cosiddetta “controffensiva ucraina di primavera”, da tempo annunciata, e che più probabilmente (se mai avrà luogo) si dipanerà fra l’estate ormai imminente e l’autunno.
Il traguardo finale di tale controffensiva è riconquistare i territori controllati dai russi, respingendo le forze di Mosca oltre il confine. Ma gli obiettivi che concretamente potranno essere perseguiti sul terreno sono al momento più limitati.
Essi vanno dalla possibilità di inviare truppe fresche in Donbass per arrestare l’avanzata russa in corso, a quella di spezzare il corridoio terrestre che unisce il Donbass alla Crimea, all’eventuale (e velleitario quanto pericoloso) tentativo di sferrare un attacco alla Crimea stessa.
In attesa di lanciare la controffensiva vera e propria, Kiev continua a portare avanti una guerra “ibrida” e asimmetrica, fatta di azioni di sabotaggio e attentati in territorio russo, di attacchi con droni (perfino contro il Cremlino) spettacolari quanto inefficaci, e di brevi incursioni armate oltreconfine condotte da gruppi filo-ucraini, come è avvenuto in questi giorni a Belgorod.
Si tratta di azioni finalizzate a innervosire i vertici di Mosca, a spaventarne la popolazione, a colpire l’immaginario occidentale con l’ausilio dell’enorme copertura mediatica che ne danno i mezzi di informazione europei ed americani. Tali azioni hanno tuttavia scarso valore militare.
Diversi sono i fattori che hanno rinviato l’inizio dell’offensiva ucraina vera e propria. Tra essi figura certamente la battaglia per Bakhmut.
Caduta di Bakhmut
La città ha visto quasi dieci mesi di intensi combattimenti, iniziati lo scorso agosto, ed è uno dei maggiori insediamenti conquistati dalle forze russe dall’inizio della guerra. Essa era un importante snodo logistico per gli ucraini nel Donbass, ma anche un elemento cardine del sistema di fortificazioni difensive che l’esercito di Kiev aveva costruito nell’ultimo decennio in vista di uno scontro con la Russia.
A marzo, il presidente ucraino Zelensky aveva personalmente ordinato di inviare rinforzi a Bakhmut ammonendo che una caduta della città avrebbe aperto la strada a importanti avanzate russe verso Slavyansk e Kramatorsk, centri attraverso i quali passa l’ultima linea difensiva degli ucraini nel Donbass.
Anche da testimoni oculari ucraini, come l’ex giornalista di Deutsche Welle Konstantin Goncharov, la sanguinosa battaglia di Bakhmut è stata definita un “tritacarne” per lo spaventoso volume di fuoco dell’artiglieria russa, impiegata su una scala che non ha eguali rispetto ad altri punti del fronte.
I vertici militari di Kiev hanno inviato decine di migliaia di uomini a Bakhmut, perdendo molti dei loro soldati meglio addestrati. L’esercito russo ha subito perdite nettamente inferiori sia perché ha lasciato la parte più onerosa della battaglia al gruppo Wagner, una compagnia di mercenari con una robusta percentuale di ex carcerati, sia perché ha cambiato le proprie tattiche di guerra dopo la prima fase del conflitto.
Ciò è stato recentemente confermato da uno studio del Royal United Services Institute (RUSI), importante think tank britannico, che ha messo in evidenza come i russi siano passati da una guerra di manovra ad una guerra di posizione e di logoramento nella quale hanno sfruttato il vantaggio dell’enorme potenza di fuoco della loro artiglieria.
Problemi logistici della controffensiva ucraina
Altre concause del rinvio dell’offensiva ucraina sono le difficoltà logistiche incontrate nella consegna delle armi occidentali destinate a Kiev. In particolare, non è chiaro quanti degli ultimi carri armati promessi siano realmente giunti a destinazione.
A marzo, solo il 31% dei tank e il 76% degli altri veicoli corazzati da utilizzare nella controffensiva era giunto in mani ucraine, sebbene si ritiene che queste percentuali siano attualmente molto migliorate. I 31 carri armati Abrams di produzione americana tuttavia non arriveranno prima dell’autunno.
Vi è poi l’enorme sfida logistica legata alla gestione e alla manutenzione di sistemi d’arma differenti che provengono da diversi paesi “donatori”, e all’addestramento al loro utilizzo.
A seguito delle ingenti perdite subite dagli ucraini, e in particolare della scomparsa di veterani e soldati altamente addestrati, un altro problema di dimensioni via via crescenti è il reperimento e l’addestramento di nuove reclute.
Migliaia di soldati ucraini sono stati addestrati dalle truppe NATO, ma molti di loro, dopo aver fatto esperienza sul campo di battaglia, hanno messo in dubbio l’efficacia dell’addestramento occidentale, denunciandone la superficialità che non garantisce loro vantaggi in una situazione di combattimento reale.
L’addestramento, ridotto a poche settimane, non è ottimizzato per un conflitto ad alta intensità, e non viene fatta esperienza di fuoco vivo utilizzando i vari sistemi d'arma.
Provenendo da esperienze di conflitti a bassa intensità, al più contro miliziani e insorti male armati, gli stessi istruttori occidentali non hanno esperienza d’impiego di queste armi in scenari di combattimento reale contro una potenza militare di pari grado.
Campagna aerea russa
Vi è poi un ultimo fattore che, forse più di altri, sta ritardando la controffensiva ucraina. Esso è rappresentato dalla campagna di attacchi e bombardamenti russi finalizzati a distruggere depositi di armi e munizioni, riserve di carburante, hub logistici, snodi ferroviari e caserme. Sono state colpite Ternopil, Kharkiv, Mykolaiv, Dnipro, Odessa, Pavlograd, Kramatorsk, Konstantinovka, e molte altre città e villaggi.
Uno degli attacchi più impressionanti è stato quello che recentemente ha colpito un enorme deposito di armi e carburante a Khmelnitsky, nell’Ucraina occidentale, provocando una gigantesca esplosione (e forse la distruzione di ingenti quantità di proiettili all’uranio impoverito destinati ai carri armati britannici).
Prosegue inoltre la campagna di attacchi russi volti a disabilitare le sottostazioni della rete elettrica, che periodicamente lasciano al buio le città ucraine, ma che hanno anche lo scopo di ostacolare ulteriormente il funzionamento della macchina bellica ucraina.
Questa campagna di bombardamenti sta danneggiando gravemente la struttura logistica che dovrebbe supportare l’offensiva ucraina, e potrebbe seriamente comprometterne l’esito.
La Russia sta ugualmente distruggendo in maniera progressiva l’artiglieria di Kiev, non soltanto quella di produzione sovietica inizialmente in suo possesso (ormai praticamente annientata), ma anche gli obici e i pezzi di artiglieria semovente inviati dai paesi occidentali.
Deterioramento della difesa aerea ucraina
La capacità russa di colpire in profondità in territorio ucraino con droni, missili, bombe plananti ed altri sistemi d’arma è peraltro conseguenza del progressivo deterioramento dei sistemi di difesa aerea ucraini.
Tali sistemi sono tuttora in grado di tenere in buona parte lontani dai cieli ucraini gli aerei russi, ma sono sempre meno efficaci contro i missili ed altre armi a distanza (stand-off weapons). Kiev ha progressivamente esaurito i propri intercettori di fattura sovietica, che non sono rimpiazzabili essendo l’industria bellica ucraina ormai distrutta.
Da qui l’esigenza di ricorrere a sistemi occidentali: Patriot, NASAMS, IRIS-T, Hawk, ecc.. Ma questo variegato insieme di armi determina ancora una volta problemi di coordinamento logistico e rende meno efficaci le difese ucraine. A ciò si aggiunga il fatto che gli intercettori impiegati da alcuni sistemi, come i Patriot o i SAMP/T di produzione italo-francese, sono disponibili in quantità limitate a causa dei costi elevati e degli insufficienti livelli di produzione.
Nelle ultime settimane, Mosca è sembrata determinata a mettere seriamente alla prova le difese aeree ucraine, con attacchi multipli di droni e missili Kinzhal, Kalibr, X101 e X555. L’obiettivo russo è individuare le posizioni dei sistemi di difesa ucraini, e possibilmente distruggerli.
Il 16 maggio, uno scontro di questo tipo si è avuto nei cieli di Kiev e, sebbene al termine di una battaglia di propaganda e di dichiarazioni contrapposte, le ammissioni americane lasciano intendere che almeno un lanciatore Patriot sia stato distrutto da un Kinzhal ipersonico. I limiti del sistema Patriot non sono del resto una novità, avendo esso fornito prestazioni non all’altezza anche nella recente guerra dello Yemen.
Capacità di adattamento russa
Le forze di Mosca hanno saputo adattarsi all’arrivo sul teatro ucraino di sistemi d’arma occidentali sempre nuovi – Brimstone, Hellfire, Harpoon, Javelin, HIMARS, GLSDB, JDAM, ecc. – armi le cui riserve si sono via via assottigliate, e che richiederanno alcuni anni per essere ricostituite.
I sistemi lanciarazzi HIMARS, ad esempio, avevano inizialmente creato problemi ai russi, costringendoli ad arretrare i loro centri di comando e controllo, a disperderli e a fortificarli. A quel punto, queste armi non hanno più costituito un grosso grattacapo per i russi, le cui difese hanno anzi incominciato ad intercettarli o a deviarli tramite contromisure di guerra elettronica.
I missili cruise “Storm Shadow” recentemente consegnati dagli inglesi, avendo una gittata notevolmente superiore (oltre 250 km) a quella degli HIMARS, rendono nuovamente vulnerabili i centri di comando russi. Questi ultimi sono però ora meglio difesi e maggiormente in grado di resistere a un attacco missilistico limitato.
Gli Storm Shadow, infatti, essendo più costosi e scarsi rispetto agli HIMARS, devono essere usati con parsimonia.
Gli F-16 avranno un impatto limitato
Neanche il prossimo arrivo di caccia F-16 dovrebbe cambiare gli equilibri del conflitto. Idealmente, l’Ucraina riceverà fino a 3 o 4 squadroni di F-16, ciascuno composto da 12 caccia, per un totale di non più di 40-50 aerei. Tenuto conto del loro numero limitato, essi non faranno altro che sostituire gli aerei di fabbricazione sovietica attualmente a disposizione degli ucraini, che vengono via via distrutti dai russi.
L’F-16 è un aereo vecchio, progettato negli anni ’70. Esistono versioni più recenti, ma comunque vulnerabili ai sistemi di difesa aerea russi. La versione più moderna e competitiva, l’F-16 Block 70/72, ha prezzi proibitivi (120 milioni di dollari). In gran parte, dunque, in Ucraina arriveranno vecchi F-16 rimessi in servizio.
I primi aerei non giungeranno prima dell’autunno, mentre molti non saranno consegnati prima del 2024 a causa dell’esigenza di organizzare la logistica e la manutenzione.
Per sfuggire ai sistemi di difesa aerea russi, gli F-16 forniti a Kiev si manterranno ben lontani dalla linea del fronte, e lanceranno missili ed altri ordigni dalle retrovie per colpire centri di comando, depositi di munizioni e linee di rifornimento.
A causa della loro autonomia di poco superiore ai 500 Km, essi potranno decollare solo da piste ucraine, ma ciò ne limita ulteriormente l’impatto, a causa della scarsità delle piste agibili e del rischio che esse vengano distrutte dai russi.
Industrie della difesa a confronto
Sebbene con il prolungarsi del conflitto anche i russi potranno cominciare ad avere maggiori difficoltà, il dato che sembra emergere è che l’industria bellica occidentale è entrata in crisi molto prima di quella di Mosca.
L’industria russa appare in grado di accrescere la produzione più velocemente di quella europea ed americana. Secondo fonti britanniche, ad esempio, Mosca quest’anno produrrà 2,5 milioni di proiettili d’artiglieria contro gli 1,7 dell’anno scorso.
Gli USA attualmente ne producono 180.000 all’anno, e puntano ad arrivare a 480.000 nel 2025.
Il fatto che la Russia sia ben attrezzata è stato segnalato recentemente da Bruno Kahl, capo dell’intelligence tedesca (BND), il quale ha affermato che Mosca ha equipaggiamento e munizioni sufficienti per condurre una guerra di lungo periodo.
Ad aprile, il generale Christopher Cavoli, comandante delle forze USA in Europa, aveva dichiarato di fronte alla Commissione delle forze armate della Camera dei rappresentanti, che le forze di terra russe sono oggi più numerose di quanto non lo fossero all’inizio del conflitto, avendo subito perdite contenute.
Un altro segnale negativo per l’Ucraina è che i nuovi pacchetti di aiuti militari americani non vengono più forniti sotto la Presidential Drawdown Authority, ma sotto l’Ukraine Security Assistance Initiative. Mentre nel primo caso le armi provengono direttamente dalle esistenti scorte americane, nel secondo esse devono essere prodotte dopo aver stipulato i relativi contratti con le compagnie del settore della difesa.
Ciò significa che i flussi di armi americane verso l’Ucraina sono destinati ad assottigliarsi.
Controffensiva ucraina e risposta russa
E’ in queste condizioni che l’Ucraina dovrebbe condurre la propria controffensiva, un’operazione di grande complessità organizzativa che richiederebbe operazioni coordinate su vasta scala da parte di soldati male addestrati e con una limitata esperienza sul campo. E tutto ciò, disponendo di una copertura aerea quasi inesistente, di una limitata difesa aerea, e con un’insufficiente scorta di munizioni d’artiglieria.
Ad attendere le forze ucraine vi è un imponente sistema di linee difensive fortificate che include trincee in cemento armato, bunker, fossati anticarro e campi minati. Secondo stime ucraine, vi sono 300.000 soldati russi attualmente in Ucraina, e almeno altri 150.000 in territorio russo in prossimità del confine.
La controffensiva ucraina dovrebbe essere composta da 12 brigate per un totale di 50.000 uomini, con 1.500 veicoli corazzati e 230 tank. Gli ucraini rischiano però di compiere avanzate di alcuni chilometri al prezzo di perdite ingenti, che li esporrebbero a terribili contrattacchi russi.
Velleitarismo americano
Malgrado la difficilissima situazione sopra descritta, e a dispetto dei citati ammonimenti di personalità come il generale Cavoli ed il capo dell’intelligence tedesca Bruno Kahl, negli ambienti politici e dell’intelligence di Washington è diffusa la convinzione che Kiev abbia delle possibilità di successo.
Questa convinzione è accompagnata dalla persuasione che le forze di Mosca in Ucraina siano in realtà logorate e fiaccate da ingenti perdite, come ha sostenuto la stessa Avril Haines, direttore del National Intelligence.
Da parte di Washington vi è dunque una forte pressione nei confronti di Kiev affinché i piani della controffensiva vengano messi in atto. Che l’Ucraina riconquisti almeno una parte dei territori controllati da Mosca viene considerato un prerequisito essenziale per aprire un eventuale negoziato.
Allo stesso tempo, si fa parzialmente strada la consapevolezza che le riconquiste ucraine saranno quantomeno molto limitate, e che bisogna prepararsi ad una guerra lunga, se non ad un conflitto congelato.
Verso il vertice NATO di Vilnius: conflitto a oltranza
In vista del vertice NATO di Vilnius del prossimo luglio, crescono le pressioni degli ambienti più belligeranti affinché i paesi occidentali forniscano concrete “garanzie di sicurezza” all’Ucraina o addirittura permettano l’adesione di Kiev all’Alleanza.
Mentre la piena adesione alla NATO rimarrà quasi sicuramente un “sogno nel cassetto” di Kiev ancora per lunghi anni, l’orientamento che sembra prevalere è quello di stipulare con l’Ucraina un accordo di sicurezza sul “modello israeliano”.
Un accordo di questo tipo assicurerebbe a Kiev una “road map” per l’adesione sul lungo periodo, accompagnata da un flusso garantito e costante di armi tecnologicamente avanzate per difendersi contro la Russia sul breve e medio periodo.
L’obiettivo del cosiddetto “Kyiv Security Compact” sarebbe quello di continuare la guerra contro Mosca allo stesso tempo prevenendo la possibilità che la NATO diventi direttamente parte del conflitto con la Russia.
L’accordo verrebbe modellato sulla “relazione speciale” esistente fra Washington e Israele che ha reso Tel Aviv il primo destinatario mondiale degli aiuti militari USA. In base all’ultimo accordo decennale, Washington si è impegnata a fornire 38 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele fra il 2019 e il 2028.
Gli USA sarebbero il primo garante dell’accordo di sicurezza con Kiev, che includerebbe anche Gran Bretagna, Germania e Francia. In questo approccio, colpisce la determinazione americana ad integrare l’Ucraina, de facto se non de jure, nelle strutture NATO escludendo allo stesso tempo ogni possibilità di compromesso con Mosca.
Se si ricorda che proprio la progressiva integrazione di Kiev nella NATO fu all’origine del conflitto, ci si rende conto che Washington pone così le basi per la cronicizzazione dello scontro con la Russia, ma anche per la possibile distruzione dell’Ucraina da parte di Mosca.
Nell’impossibilità di giungere ad una soluzione negoziata, la Russia viene infatti inevitabilmente spinta a cercare una vittoria totale sul campo di battaglia, con conseguenze potenzialmente molto gravi per il paese vicino, e con maggiori rischi di un allargamento del conflitto.