IN PILLOLE – L’accordo fra Iran e Arabia Saudita e il protagonismo diplomatico di Pechino, l’assedio di Bakhmut e il fronte del Donbass, la Zeitenwende tedesca resta sulla carta
Teheran e Riyadh riallacciano i rapporti diplomatici, le implicazioni della prossima caduta di Bakhmut, il riarmo tedesco per ora resta lettera morta.
L’accordo fra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina, e il nuovo protagonismo diplomatico di Pechino
Ucraina – Bakhmut e l’intero fronte del Donbass vedono la lenta ma costante avanzata russa
Zeitenwende, la “svolta epocale” che doveva portare al riarmo tedesco rimane sulla carta
L’accordo fra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina, e il nuovo protagonismo diplomatico di Pechino
Dopo sette anni di tensioni, di stallo negoziale e di guerre per procura, Iran e Arabia Saudita hanno raggiunto un importante accordo che ristabilisce i rapporti diplomatici fra i due paesi. Aspetto ancor più rilevante è che l’accordo è stato siglato a Pechino grazie alla mediazione cinese.
L’Iran sciita e l’Arabia Saudita, baluardo del sunnismo wahhabita, sono rivali storici che competono per la leadership del mondo islamico.
La rivalità irano-saudita si riverbera in numerosi conflitti e focolai di tensione dell’intera regione arabo-islamica.
Tale rivalità influenza le dinamiche in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Iraq, Siria, Libano, Palestina, e talvolta altre aree, dall’Asia Centrale all’Africa ed al Maghreb.
Il riallacciamento dei rapporti diplomatici è il risultato di anni di sforzi negoziali, dove la mediazione cinese è subentrata a quella dell’Iraq e di altri paesi (Oman, Giordania). Le relazioni fra Iran e Arabia Saudita erano interrotte del 2016.
In quell’anno, manifestanti iraniani assaltarono l’ambasciata saudita a Teheran, inferociti per la brutale esecuzione di 47 persone fra cui il religioso sciita Nimr al-Nimr, leader della minoranza sciita saudita, concentrata soprattutto nella Provincia Orientale del regno.
A seguito di ciò, Riyadh ruppe i rapporti con Teheran, già guastati dalle tensioni in molte delle già citate aree di conflitto, dalla Siria allo Yemen. La mediazione cinese ha raccolto i frutti dei precedenti sforzi negoziali, ma ha il merito di aver rotto l’impasse.
Pechino era ben posizionata per svolgere un importante ruolo di persuasione nei confronti di entrambe la parti. La Cina da sola copre il 30% degli scambi internazionali dell’Iran, ed è il principale acquirente del petrolio iraniano e di quello saudita.
Il successo diplomatico cinese dimostra che, mediando fra gli attori mediorientali senza schierarsi apertamente con nessuno di essi, si può aprire la strada verso un Medio Oriente maggiormente improntato alla cooperazione piuttosto che al conflitto alimentato dalla vendita di armi (come è invece avvenuto sotto la leadership regionale americana).
L’accordo segna anche il primo successo diplomatico di Pechino dopo l’annuncio, a fine febbraio, della Global Security Initiative, una piattaforma cinese per la risoluzione pacifica dei conflitti internazionali sulla base del multilateralismo.
Questo successo accredita ulteriormente Pechino come mediatore internazionale dopo l’annuncio della GSI e del documento programmatico sull’Ucraina, entrambi sminuiti da Washington.
La GSI rappresenta la proposta “in nuce” di un nuovo ordine mondiale, e allo stesso tempo testimonia la decisione di Pechino di acquisire un inedito ruolo politico a livello internazionale.
La Casa Bianca ha dichiarato di sostenere ogni sforzo volto a ridurre le tensioni in Medio Oriente, ma negli USA l’accordo mediato da Pechino è stato visto come un segnale che il disimpegno dell’America dalla regione favorisce i suoi avversari.
Segnali di preoccupazione anche in Israele, dove il riavvicinamento fra Riyadh e Teheran è visto come un fattore che indebolisce gli accordi di Abramo, volti a giungere a una normalizzazione dei rapporti fra Israele e paesi arabi.
Tali accordi, mediati dagli USA, cercavano di sfruttare la comune rivalità di Israele e paesi arabi nei confronti dell’Iran per creare un fronte anti-iraniano nella regione.
Per normalizzare i propri rapporti con Israele, l’Arabia Saudita ha chiesto a Washington stringenti garanzie di sicurezza e un contributo per sviluppare il proprio programma nucleare civile.
Il riallacciamento dei rapporti con Teheran non significa che Riyadh abbandonerà queste trattative con Washington, ma che i sauditi stanno seguendo sempre di più una politica estera indipendente, incentrata sui propri interessi, e non legata alla storica alleanza con gli USA
L’accordo mediato da Pechino segna solo un primo passo, che potrà portare a una riduzione delle tensioni in molti focolai di conflitto mediorientali, ma non implica automaticamente una pacificazione fra Riyadh e Teheran.
Bisogna poi tener presente che le dinamiche locali contano in molti di questi conflitti. Nello Yemen, ad esempio, gli Houthi che combattono contro Riyadh sono attori indipendenti solo relativamente influenzati da Teheran. Riyadh dovrà negoziare direttamente con loro.
Ma bisogna pure considerare che una pacificazione dello Yemen è anche nell’interesse cinese, poiché garantirebbe la sicurezza dello Stretto di Bab el-Mandeb e della rotta marittima della Via della Seta.
La soluzione di questo ed altri conflitti, e la riduzione delle tensioni irano-saudite, può aprire la strada all’ingresso di Teheran e Riyadh nel gruppo dei BRICS, e potrebbe portare alla nascita del petroyuan, alternativa cinese al petrodollaro.
Nel suo inedito ruolo di mediazione, Pechino sembra intenzionata a fare sul serio.
La sicurezza energetica cinese è legata a doppio filo con la stabilità nel Golfo Persico. Dopo che la Cina ha mediato con successo il riallacciamento dei rapporti fra Iran e Arabia Saudita, è emersa una notizia ancor più rilevante.
Un vertice allargato fra Iran ed i 6 membri del Gulf Cooperation Council (GCC) avrà luogo più in là quest’anno a Pechino, ad ulteriore conferma del ruolo diplomatico di primo piano che la Cina intende assumere nella regione.
Intanto sono stati rivelati alcuni retroscena sull’accordo Iran-Arabia Saudita. Entrambi i paesi hanno fatto concessioni per giungere all’intesa.
I sauditi hanno accettato di abbassare i toni della copertura anti-iraniana di Iran International, emittente in lingua persiana finanziata da uomini d’affari sauditi, che ha svolto un ruolo rilevante a sostegno delle recenti proteste antigovernative in Iran, trasmettendo lungamente da Londra, e ora in procinto di trasferire i propri studi negli USA.
Gli iraniani, dal canto loro, si sono impegnati a smettere di incoraggiare gli attacchi in territorio saudita da parte dei ribelli Houthi dello Yemen.
La Cina ha fatto ricorso a incentivi economici nei confronti dell’Iran, permettendo a Teheran di accedere a parte dei 20 miliardi di dollari congelati nelle banche cinesi dopo la reimposizione delle sanzioni americane. L’Iran avrebbe anche chiesto maggiori investimenti cinesi nel paese.
Pechino dovrebbe inoltre giocare un ruolo di maggior rilievo nei negoziati sul nucleare iraniano.
Come segno dell’emergere di un nuovo mondo multipolare sganciato dall’egemonia anglo-americana, i partecipanti ai colloqui segreti tenutisi a Pechino hanno accettato di comune accordo di non impiegare l’inglese nelle trattative, ma di tenere colloqui e redigere documenti in arabo, in persiano e in mandarino.
Ucraina – Bakhmut e l’intero fronte del Donbass vedono la lenta ma costante avanzata russa
La roccaforte di Bakhmut (Artemovsk) è praticamente circondata dalle forze russe. L’artiglieria di Mosca ormai domina le strade che conducono a questa cittadina del Donbass. La sua caduta, ormai solo questione di tempo, avrà conseguenze rilevanti.
L’offensiva russa si sta combattendo su cinque-sei punti lungo un fronte di oltre 150 km che si estende dalla città di Kreminna nell’oblast di Luhansk fino a Vuhledar (Ugledar) in quello di Donetsk.
Al momento, la Russia ha l’iniziativa su questo fronte. Le riserve ucraine sono ridotte al minimo, anche a causa della scelta politica imposta di accumulare forze per un’offensiva di primavera contro il corridoio terrestre russo fra Crimea e Donbass.
Le zone più calde del fronte al momento sono la foresta fra Lyman e Kreminna, l’assedio di Bakhmut, e ancora più a sud la città di Vuhledar, che potenzialmente minaccia la linea ferroviaria che collega Donetsk a Mariupol e il corridoio terrestre verso la Crimea.
E’ importante poi tener presente le quattro linee difensive che gli ucraini hanno costruito nell’ultimo decennio in Donbass sfruttando le sue città, essenzialmente solidi complessi industriali di epoca sovietica.
La prima, che correva da Severodonetsk e Lysychansk a Popasna, fu sfondata dai russi la scorsa estate. Su questa linea, la prima città a cadere fu Popasna, seguita da Lysychansk a luglio.
Il fronte attuale corre lungo la seconda (Marinka, Piski, Avdiivka) e la terza linea difensiva (Siversk, Bakhmut, Toretsk), entrambe sotto crescente pressione da parte russa.
L’importanza di Marinka e Avdiivka, dove i russi hanno fatto molti progressi, sta nella loro vicinanza alla città di Donetsk. Da queste due città l’artiglieria ucraina è in grado di bombardare la capitale di una delle due autoproclamate repubbliche del Donbass.
Anche nei confronti di Avdiivka i russi stanno procedendo a una manovra di accerchiamento, non dissimile da qualle compiuta a Bakhmut. Notizie recenti parlano della presa russa di Krasnohorivka, a nord di Avdiivka.
Alla propaggine settentrionale della terza linea difensiva, i russi stanno spingendo da Kreminna verso la foresta di Serebryansʹkyy dopo aver avuto a lungo difficoltà in questa zona (la foresta era un problema per le forze russe inizialmente esigue nell’area).
Grazie ai sopraggiunti rinforzi, i russi intendono controllare la foresta, anche impadronendosi della riva sud del fiume Donets, per poi chiudere la sacca di Siversk e infine puntare su Lyman.
Ma è a Bakhmut che le cose stanno più rapidamente volgendo al peggio per l’esercito ucraino. Fino al mese scorso Zelensky ripeteva che Kiev non avrebbe rinunciato a Bakhmut, e tuttora l’esercito sta inviando rinforzi verso la città, in quello che però appare un ultimo disperato tentativo.
Malgrado ciò che dice la stampa occidentale, Bakhmut ha importanza strategica, essendo al crocevia di 4 importanti strade e 3 linee ferroviarie. La città era uno snodo chiave per il controllo della regione.
La caduta di Soledar e della vicina stazione ferroviaria di Silj per mano delle forze mercenarie della compagnia russa Wagner ha tagliato la connessione fra Bakhmut e Siversk, facendo perdere gran parte della rilevanza di Bakhmut per gli ucraini.
L’operazione russa è stata attentamente pianificata per attirare a Bakhmut un gran numero di forze ucraine, causando gravi perdite all’esercito di Kiev nel tentativo di difendere questo snodo cruciale.
Essendo Bakhumt ormai virtualmente accerchiata, la terza linea difensiva ucraina sta anch’essa per crollare, costringendo le forze di Kiev a ripiegare sulla quarta ed ultima linea difensiva (Kostantivka, Slavyansk e Kramatorsk) in Donbass, che è anche la più fragile.
La lunga guerra di logoramento in Donbass è costata a Kiev perdite ingenti. In assenza di eventi esterni in grado di alterare le dinamiche in atto, in primavera, con gli ultimi sforzi per difendere le rimanenti posizioni nella regione, e il tentativo forse velleitario di un’offensiva a sud, gli ucraini potrebbero giocarsi le ultime carte dal punto di vista militare.
Zeitenwende, la “svolta epocale” che doveva portare al riarmo tedesco rimane sulla carta
Un anno fa, il cancelliere tedesco Olaf Scholz pronunciò un importante discorso al Bundestag nel quale annunciava la Zeitenwende, la “svolta epocale” che avrebbe portato al riarmo tedesco. Al momento di questa svolta non vi è traccia.
Secondo i critici del cancelliere tedesco, Scholz ha deluso le aspettative non essendovi alcun segnale che la Germania si accinga ad assumere un ruolo negli affari internazionali commisurato al suo peso economico.
Lo scorso dicembre, Scholz scrisse su Foreign Affairs che la Germania sarebbe divenuta una dei principali garanti della sicurezza in Europa. Finora le sue parole sono rimaste lettera morta.
Scholz sostenne che Berlino avrebbe speso più del 2% del PIL per il rafforzamento delle forze armate, e aveva annunciato la creazione di un fondo di investimento di 100 miliardi di euro, il doppio del bilancio annuale della difesa, per la Bundeswehr (le forze di difesa).
Il fondo è stato creato, ma nessuno di questi soldi è stato speso. Nel frattempo le riserve tedesche di munizioni sono così ridotte che si esaurirebbero in pochi giorni in un conflitto militare. Secondo i funzionari della difesa ci vogliono 20 miliardi di euro per ricostituirle.
Berlino ha fornito molti sistemi d’arma all’Ucraina, ma il governo è stato criticato perché al momento non vi sono piani per rimpiazzarli.
Nel frattempo, la consegna all’Ucraina dei tank Leopard 2 di fattura tedesca da parte di diversi paesi europei rischierebbe di infliggere un ulteriore colpo alla Germania, i cui tempi per la consegna di nuovi Leopard oscillano fra i 2 e i 2 anni e mezzo.
Gli USA stanno infatti proponendo a molti paesi europei i propri tank Abrams 1 sulla base di una partnership industriale di lungo periodo. Ogni paese che li accetterà farà perdere una corrispondente quota di mercato alla Germania.