Scontro Russia-Occidente: scenari di escalation
Una “exit strategy” dallo scacchiere ucraino sarebbe preferibile all’attuale conflitto potenzialmente in grado di sfociare in uno scontro nucleare. E poi c’è l’incognita mediorientale.
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Il mondo si sta avvicinando a un bivio molto pericoloso. L’Occidente continua a violare le cosiddette “linee rosse” del conflitto ucraino, che si era in parte autoimposto per scongiurare la possibilità di scivolare in uno scontro diretto con Mosca.
Kiev sta lentamente ma inesorabilmente perdendo la guerra, ed è proprio questa improvvisa presa di coscienza che sta spingendo i paesi occidentali a ignorare i limiti di sicurezza che in precedenza ritenevano di dover rispettare per impedire un allargamento del conflitto.
L’assunto occidentale di partenza era che una guerra Russia-NATO sarebbe rapidamente sfociata in un confronto nucleare. Di fronte all’ineluttabile declino delle capacità di difesa ucraine, i vertici militari e politici, in Europa e oltreoceano, sembrano aver smarrito questa consapevolezza.
Ucraina: le ragioni della sconfitta
Kiev manca di uomini e armi. La nuova campagna di mobilitazione sta registrando scarsi risultati. Gli ucraini non vogliono più combattere, e fanno di tutto per sottrarsi alla coscrizione.
I pochi che vengono arruolati spesso sono inadatti al servizio militare per ragioni di età o di salute, e vengono sommariamente addestrati prima di essere mandati al fronte, spesso semplicemente a morire.
Più in generale, l’Occidente ha perso la sfida della produzione bellica. Si prevede che le fabbriche russe sforneranno quest’anno circa 4,5 milioni di proiettili d’artiglieria, a fronte di una produzione complessiva di USA ed Europa pari a circa 1,3 milioni.
Un’altra arma micidiale dei russi è costituita dalle bombe plananti, vecchi ordigni che vengono dotati di ali e di un sistema di navigazione, diventando così in grado di colpire a notevoli distanze con effetti altamente distruttivi. Nel solo mese di marzo, la Russia ne avrebbe sganciati circa 3.000.
Nel frattempo, molte armi occidentali ad alta precisione si sono scontrate con le superiori capacità russe di guerra elettronica, che rendono tali armi del tutto inaccurate.
Mosca, intanto, sta smantellando la rete elettrica ucraina. Secondo il Financial Times, la Russia avrebbe messo fuori uso più di metà della capacità ucraina di produzione energetica. DTEK, la principale compagnia energetica privata ucraina, avrebbe perso circa l’86% della sua capacità produttiva a seguito dei bombardamenti russi.
Ma ciò che ha scatenato il panico in primo luogo fra le leadership europee, ed anche a Washington, è il nuovo fronte aperto dai russi il 10 maggio in prossimità di Kharkiv, la seconda città ucraina, situata nel nordest del paese.
Obiettivo del fronte di Kharkiv è creare una zona cuscinetto in prossimità del confine, in modo da impedire il continuo bombardamento ucraino della regione russa di Belgorod, ma anche sovra-estendere le forze ucraine.
Ancora una volta, Mosca non punta primariamente a conquistare territorio (e dunque non mira a prendere Kharkiv), quanto piuttosto ad aumentare le perdite inflitte all’esercito ucraino, in accordo con i principi della guerra di logoramento adottata dagli strateghi russi.
Crescente coinvolgimento occidentale
La risposta dei leader europei, addirittura in anticipo rispetto alla reazione di Washington, è stata di autorizzare l’Ucraina a colpire anche in territorio russo con le ami da loro fornite.
Il primo a compiere un passo in questa direzione è stato il ministro degli esteri britannico David Cameron, allorché il 2 maggio scorso ha affermato che “l’Ucraina ha il diritto” di utilizzare le armi britanniche a lungo raggio per colpire obiettivi in Russia, visto che Mosca a sua volta bombarda il territorio ucraino.
Si sono accodati il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Macron ha affermato che gli ucraini devono avere la possibilità di “neutralizzare i siti da cui provengono i missili russi”.
Le dichiarazioni di Scholz e Macron erano state precedute da un’analoga esortazione rivolta dal segretario della NATO Jens Stoltenberg ai partner europei di Kiev.
Dal canto loro, Olanda e Danimarca hanno dichiarato che il raggio d’azione dei caccia F-16 che i due paesi si apprestano a fornire a Kiev non sarà limitato al territorio ucraino.
La Francia si prepara a sua volta ad inviare istruttori in Ucraina per addestrare le truppe di Kiev, mentre la premier estone Kaja Kallas ha dichiarato che “vi sono paesi che stanno già addestrando soldati [ucraini] sul terreno”.
A fine maggio, la stessa amministrazione Biden ha confermato di aver autorizzato Kiev ad usare armi USA per distruggere obiettivi militari in territorio russo, in prossimità del confine con la regione ucraina di Kharkiv, dov’è in corso l’offensiva di Mosca.
Sebbene l’autorizzazione americana sia limitata (Kiev non ha il permesso di colpire infrastrutture civili né di impiegare missili a lungo raggio come gli ATACMS per bersagliare obiettivi militari in profondità in territorio russo), essa rimane significativa.
L’Ucraina è stata invece autorizzata a fare ampio uso degli ATACMS per colpire obiettivi in Crimea. Con la piena assistenza dell’intelligence occidentale, Kiev sta mettendo a dura prova i sistemi di difesa aerea russi nella penisola.
Attacco al sistema russo di allerta precoce nucleare
Episodio ancor più inquietante è quello che ha visto droni ucraini colpire due radar (rispettivamente la stazione di Armavir nella regione meridionale di Krasnodar, e quella di Orsk nella regione di Orenburg) che fanno parte del sistema di allerta precoce nucleare che permette a Mosca di identificare e neutralizzare un eventuale attacco con missili balistici intercontinentali.
Sebbene non sia chiaro quali danni le due stazioni abbiano subito, ciò che è evidente è che simili attacchi non mettono in pericolo solo la Russia, ma il mondo intero.
Il danneggiamento di due sole stazioni radar (parte di un sistema complessivo che ne conta una decina), non permetterebbe infatti un attacco nucleare “decapitante” da parte degli USA contro Mosca, visto che i russi dispongono di una “second strike capability” difficilmente neutralizzabile.
Tale danneggiamento può però ridurre da circa 15 a 10 minuti i tempi entro i quali i russi devono decidere come rispondere ad un’eventuale aggressione, aumentando il rischio che essi scambino erroneamente un attacco convenzionale per un possibile attacco nucleare, con conseguenze terribili per il mondo intero.
Resta da capire se nelle operazioni che hanno danneggiato i due radar gli ucraini abbiano agito da soli, o sulla base di informazioni di intelligence occidentali.
Ambiguità americana
E’ evidente che il governo Zelensky, vedendosi militarmente a mal partito, ha ogni interesse a favorire un maggior coinvolgimento militare dei propri alleati occidentali nel conflitto.
Secondo fonti americane, l’amministrazione Biden avrebbe appreso con preoccupazione la notizia degli attacchi al sistema russo di allerta precoce nucleare, sebbene in passato l’intelligence occidentale abbia certamente aiutato gli ucraini a colpire obiettivi in territorio russo.
E’ difficile dire se tale “preoccupazione” sia genuina o fittizia. Ma che esistano dissidi e divergenze tra Kiev e Washington sembra essere confermato da diversi fatti.
Malgrado l’insistenza ucraina e gli appelli provenienti da ambienti politici europei ed americani , Biden ha recentemente ribadito che un ingresso di Kiev nella NATO non fa parte dei suoi piani.
Il presidente statunitense ha invece confermato che l’Ucraina continuerà a ricevere le armi che le permetteranno di “difendersi”, ed ha firmato un accordo di sicurezza, sulla falsariga di quelli già stipulati da diversi paesi europei, per placare l’irritazione di Kiev.
Altri fattori di tensione fra la Casa Bianca e il governo Zelensky sono dovuti alla notizia che gli USA diserteranno il “vertice di pace” organizzato dal presidente ucraino in Svizzera, ma anche alle purghe che Zelensky sta effettuando nel governo per rafforzare il suo controllo sull’esecutivo, talvolta a danno di uomini graditi a Washington.
Le tensioni fra Kiev e l’amministrazione Biden sono in buona parte dovute all’apparente “stanchezza” mostrata negli ultimi mesi dagli USA nei confronti della questione ucraina.
Alcuni analisti hanno suggerito che la Casa Bianca ha interesse a prolungare il conflitto con Mosca, mandando tuttavia avanti gli europei ed evitando in ogni modo di lasciarsi coinvolgere direttamente nello scontro.
Saranno gli europei a “testare” la propensione russa a reagire all’escalation occidentale. Lo scacchiere a cui Washington rivolge più attentamente lo sguardo è il Pacifico.
L’atteggiamento americano è evidentemente ambiguo. Mentre Macron si appresta ad inviare istruttori francesi in Ucraina, il capo degli Stati maggiori riuniti USA, generale Charles Brown, ha dichiarato che “al momento non ci sono piani per portare istruttori statunitensi” nel paese.
Ma in un’altra occasione lo stesso Brown, riferendosi alla possibilità che la NATO invii addestratori in Ucraina, aveva detto che “alla fine ci arriveremo”. Egli si riferiva a istruttori europei, piuttosto che statunitensi?
Resta il fatto che l’escalation occidentale accresce i rischi di una reazione russa senza porre realmente rimedio alle ragioni per cui Kiev sta perdendo la guerra: la scarsità di uomini, armi, e munizioni.
Già da tempo l’Ucraina compie attacchi in territorio russo facendo ricorso al proprio arsenale. Il fatto che ora lo faccia impiegando armi europee ed americane non modifica gli equilibri del conflitto, come hanno osservato alcuni analisti USA, ma accresce il coinvolgimento occidentale e il rischio di uno scontro diretto fra Mosca e l’Occidente.
La Germania “gendarme” d’Europa
C’è da chiedersi cosa faranno i paesi europei che dovessero schierare in Ucraina istruttori o addirittura truppe regolari, quando le loro forze verranno colpite dai russi, come Mosca ha assicurato che farà.
Macron ha detto che la Francia sta lavorando per “finalizzare una coalizione” di paesi NATO disposti a inviare truppe in Ucraina per addestrare i soldati di Kiev. Se queste forze saranno attaccate, l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica non si applicherebbe, ma ciò sarebbe sufficiente a scongiurare un’escalation?
Gli USA, in ogni caso, non sarebbero obbligati a intervenire, ed è probabile che eviteranno di scivolare in un pericolosissimo scontro diretto con Mosca.
Secondo lo Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP), think tank tedesco con sede a Berlino, indipendentemente dalla vittoria di Trump o di Biden alle presidenziali USA del 5 novembre, nel 2025 probabilmente si registrerà una significativa riduzione delle attività militari americane in Europa.
Entrambi gli attuali candidati presidenziali daranno la priorità alla preparazione di un’eventuale guerra con la Cina per Taiwan, rispetto all’appoggio all’Ucraina nel conflitto con la Russia.
Secondo il think tank, il compito di “garantire” la sicurezza dei paesi NATO e UE nei confronti della Russia spetterà alla Germania. Berlino sarà il “gendarme” degli USA in Europa (idea che non piace alla Francia di Macron). Il riarmo tedesco deve avvenire in quest’ottica.
Secondo il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, la Germania deve essere “pronta per la guerra entro il 2029” perché “non dobbiamo credere che Putin si fermerà ai confini dell’Ucraina una volta arrivato fin lì”.
In altre parole, secondo Pistorius, la sete di conquista di Mosca sarebbe così insaziabile che i russi sarebbero disposti a rischiare un conflitto nucleare con la NATO fra 5-8 anni, quando avranno ricostituito il loro esercito dopo la logorante guerra con l’Ucraina.
Un affare per una ristretta élite industriale
Malgrado tutti gli ammonimenti sulla minaccia rappresentata dai “terribili” russi, l’aumento delle spese militari della Germania finora non si è tradotto in una maggiore preparazione dell’esercito tedesco.
Qualcuno però ci ha guadagnato. Il prezzo delle azioni di Rheinmetall, colosso dell’industria bellica tedesca, è aumentato di più del 500% dall’inizio del conflitto ucraino nel febbraio del 2022.
E’ interessante notare che circa il 25% dell’azionariato del colosso tedesco è nelle mani di grandi gruppi finanziari americani: BlackRock, Bank of America, Goldman Sachs, Capital Group, ed altri.
A ciò si aggiunga che Berlino ha stipulato 380 contratti con imprese del complesso militare-industriale americano, per un valore di circa 25 miliardi di dollari.
Nel frattempo, i soldati tedeschi continuano a mancare dell’equipaggiamento più basilare, dai giubbotti antiproiettile, alle giacche invernali, agli elmetti, secondo un recente rapporto del Bundestag.
Il riarmo tedesco (ed europeo) è dunque in primo luogo un grande affare per una ristretta élite industriale, spesso legata a doppio filo con i gruppi dell’industria bellica e della finanza americana.
Agitare lo spauracchio russo serve ad arricchire il grande capitale USA, con la partecipazione delle élite imprenditoriali europee, a scapito di tutti gli altri. E’ il modello neoliberista applicato alla guerra.
Bluff o escalation?
Si potrebbe dunque pensare che tutto l’allarmismo attorno alla Russia, recentemente alimentato dalle pompose celebrazioni dello sbarco in Normandia (in occasione delle quali Biden ha dichiarato che “non ce ne andremo perché, se lo facessimo, l’Ucraina verrà sottomessa e la cosa non finirà qui […] I vicini dell’Ucraina saranno minacciati, tutta l’Europa sarà minacciata”), sia per certi versi una grande psyop, un grande bluff.
L’intento sarebbe da un lato quello di spingere la Russia a rinunciare ai propri obiettivi in Ucraina per timore di un coinvolgimento diretto della NATO, e dall’altro quello di ricattare le popolazioni occidentali (che vogliono a grande maggioranza una soluzione negoziata del conflitto) con l’arma della paura, costringendole a sottostare allo schema del riarmo a scapito del welfare e dello sviluppo civile dei loro paesi.
Non bisogna però sottovalutare due elementi a tale proposito.
1) Da un lato la presenza di gruppi di potere, in ambito militare e politico sia in Europa che oltreoceano, che puntano davvero a un conflitto su vasta scala pur di preservare l’egemonia americana ed occidentale di fronte al nascente mondo multipolare.
In base a questo scenario, l’Occidente dovrebbe prepararsi a combattere contemporaneamente non su due, ma su ben tre fronti. Attualmente gli USA sono già impegnati in due conflitti, in Ucraina e a Gaza. Il terzo fronte che si prospetta all’orizzonte è quello con la Cina per Taiwan.
Perché gli USA possano disporre di forze sufficienti in Medio Oriente e nel Pacifico, gli europei dovranno necessariamente farsi carico del fronte contro la Russia (il riarmo europeo dunque letteralmente rende possibile lo scenario di una terza guerra mondiale).
2) Dall’altro, è illusorio ritenere che la grande “psyop” occidentale sia sufficiente a far capitolare il Cremlino. Dal punto di vista russo, quella in Ucraina è una guerra esistenziale nella quale Mosca ha già sacrificato decine di migliaia di soldati.
La Russia semplicemente non può permettersi di rinunciare a obiettivi chiave come la difesa della Crimea, la neutralità dell’Ucraina, e in generale l’esigenza di tenere la NATO il più possibile lontana dai confini russi.
La risposta di Mosca arriverà
La percezione occidentale che Mosca non risponderà al costante superamento delle “linee rosse” in Ucraina è pericolosamente illusoria. Negli anni recenti, quando la Russia è stata messa con le spalle al muro, ha sempre risposto.
Lo ha fatto nel 2014, quando prese il controllo della Crimea in risposta al golpe appoggiato dagli USA che aveva rovesciato il presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovych insediando a Kiev un governo nazionalista e violentemente antirusso.
Lo ha fatto nel 2022, quando invase l’Ucraina in risposta alla continua infiltrazione della NATO nel paese, e alla prospettiva di un’offensiva ucraina volta a schiacciare definitivamente il Donbass.
Di fronte all’autorizzazione occidentale concessa a Kiev sull’impiego di armi NATO per colpire obiettivi in territorio russo, Mosca ha risposto compiendo esercitazioni che simulano l’uso di armi nucleari tattiche. Diversi paesi europei hanno definito con leggerezza tali esercitazioni una “minaccia poco credibile”.
Il Cremlino ad ogni modo farà ricorso a questo tipo di armi solo come estrema risorsa. Esiste un intero ventaglio di risposte convenzionali a cui la Russia può ricorrere prima di pensare all’arma nucleare.
I russi possono innanzitutto intensificare gli attacchi convenzionali in territorio ucraino, accelerando la distruzione di obiettivi militari, infrastrutture strategiche, ed eventualmente degli uffici governativi a Kiev.
Eventuali truppe occidentali in territorio ucraino saranno senz’altro considerate “obiettivi legittimi”, ed eventualmente anche infrastrutture militari nei paesi vicini qualora fossero coinvolte nel conflitto, ad esempio ospitando gli F-16 donati all’Ucraina (i quali, come i russi hanno più volte sottolineato, hanno potenzialmente la capacità di trasportare armi nucleari).
Un’altra opzione per Mosca è quella di distruggere il sistema di sorveglianza NATO sul Mar Nero (che ha un ruolo chiave soprattutto a supporto degli attacchi ucraini in Crimea), in particolare colpendo i droni americani RQ-4 Global Hawk.
Infine, il presidente russo Putin ha affermato cripticamente che, così come i paesi occidentali forniscono armi a lungo raggio all’Ucraina per colpire il territorio russo, Mosca potrebbe fornire le stesse armi ad altri attori pronti a colpire obiettivi occidentali nel mondo.
Il pensiero va immediatamente ai membri del cosiddetto “asse della resistenza” filoiraniano, dagli Houthi nello Yemen alle milizie iraniane in Iraq e Siria, che hanno già attaccato le basi militari americane nella regione.
L’incognita mediorientale
Vi è tuttavia un altro scenario che potrebbe rivelarsi favorevole a Mosca, senza che quest’ultima debba muovere un dito: la conflagrazione del fronte tra Israele e Hezbollah in Libano, con conseguente possibile coinvolgimento di Siria e Iraq.
Alla luce della recente escalation sul confine libanese, dove Hezbollah sta infliggendo un crescente numero di perdite (in termini di uomini, ma soprattutto di infrastrutture militari) a Israele, la possibilità esiste.
Sembrano confermarlo gli insistenti appelli americani nei confronti dello Stato ebraico affinché accetti un cessate il fuoco a Gaza, eventualmente raffreddando anche il fronte libanese, e i ripetuti ammonimenti, rivolti sempre a Tel Aviv, a non intraprendere una campagna militare su vasta scala contro Hezbollah.
In uno scontro armato con il movimento sciita libanese, potenzialmente complicato dal fronte ancora aperto a Gaza, Israele rischia di trovarsi a mal partito, soprattutto a causa delle capacità missilistiche di Hezbollah, enormemente superiori a quelle di Hamas, e in grado di devastare le infrastrutture israeliane.
L’eventuale estendersi del conflitto a Siria e Iraq, con la possibile destabilizzazione della fragile Giordania, che ospita una strategica base americana, metterebbe a rischio una componente importante dell’infrastruttura militare statunitense nella regione.
Qualora gli USA e i paesi europei dovessero accorrere a “salvare” Israele, fornendo armi e supporto logistico, l’Ucraina verrebbe a trovarsi con una disponibilità di armamenti e munizioni molto inferiore a quella attuale, già drammaticamente insufficiente.
Uno scenario di questo tipo, naturalmente, accrescerebbe il pericolo di destabilizzazione internazionale, aumentando le variabili di rischio in maniera difficilmente controllabile.
“Congelare” il conflitto
Pertanto, così come è urgente giungere ad un cessate il fuoco a Gaza, per alleviare la drammatica emergenza umanitaria nella Striscia, ma anche per scongiurare i rischi di un allargamento della guerra, Stati Uniti e paesi europei farebbero altrettanto bene a pensare ad una “exit strategy” dal conflitto ucraino.
Ritenere che un progressivo disimpegno occidentale dallo scacchiere ucraino porterebbe alla disfatta di Kiev è semplicemente ridicolo. Mosca non ha alcun interesse ad impadronirsi dell’intero paese, con l’onere di dover governare regioni completamente ostili ai russi.
In assenza di una pace vera, la Russia si accontenterebbe più probabilmente di una zona demilitarizzata in territorio ucraino, che garantisca la sicurezza delle regioni russe confinanti, in presenza di un tacito accordo in base al quale l’Occidente si impegnerebbe a non riarmare l’Ucraina.
Un conflitto congelato non sarebbe di certo la soluzione ideale, ma è pur sempre preferibile all’attuale rischio di escalation, potenzialmente in grado di sfociare in uno scontro nucleare.
Come sempre, analisi realistica ed obiettiva.