Retroscena e implicazioni della “lite dello studio ovale” fra Trump e Zelensky
Mentre il presidente USA sembra determinato a intavolare un negoziato con Mosca, le élite politiche europee appaiono paradossalmente ostili a una pacificazione del vecchio continente.
Il disastroso incontro del 28 febbraio fra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca è una chiara conferma del fatto che delicate contrattazioni diplomatiche non devono essere condotte in pubblico.
Scontri verbali anche aspri, che possono aver luogo fra leader di governo durante colloqui a porte chiuse, hanno tutt’altro impatto se si verificano durante una conferenza stampa davanti alle telecamere di tutto il mondo.
L’incontro pubblico fra i due presidenti è stato evidentemente mal preparato, ma diverse indicazioni fanno ritenere che il problema sia sorto dalla malaccorta sovrapposizione di due questioni di calibro differente: un accordo per lo sfruttamento di minerali ed altre risorse naturali ucraine, e il raggiungimento di una pace duratura fra Mosca e Kiev.
La firma del primo non avrebbe dovuto creare particolari problemi dopo che l’iniziale bozza americana, che secondo alcune fonti equivaleva ad una sorta di “accordo capestro”, era stata riveduta per rassicurare il governo Zelensky.
Ma la visita del leader ucraino a Washington (incerta fino all’ultimo) era divenuta l’occasione per discutere ben altro tema, quello della composizione del conflitto fra Russia e Ucraina, che Trump sembra seriamente intenzionato a portare a casa.
Il disegno di Trump
Vari indizi fanno ritenere che il negoziato fra la Casa Bianca e il Cremlino stia procedendo più speditamente di quanto trapelato sui mezzi di informazione. Quantomeno, questa sarebbe la convinzione di Trump. Sulla carta, il presidente americano sarebbe intenzionato a concludere un accordo in tempi relativamente brevi.
A grandi linee, la strategia messa a punto dall’amministrazione Trump sembra perseguire i seguenti obiettivi: normalizzare i rapporti diplomatici e le relazioni commerciali con la Russia al fine di giungere ad un’intesa con Mosca che allenti il legame sino-russo consolidatosi in questi anni.
La strategia è stata definita una sorta di “mossa Nixon” al contrario, in riferimento alla decisione dell’allora presidente americano di aprire alla Cina con il suo storico viaggio a Pechino nel 1972 al fine di isolare l’Unione Sovietica.
Molti osservatori, probabilmente a ragione, ritengono che l’idea sia destinata al fallimento poiché, mentre allora Mosca e Pechino erano già in cattivi rapporti, oggi sono unite da una partnership strategica rinsaldata da profondi legami economici e commerciali.
In ogni caso, il primo passo della Casa Bianca per perseguire un simile obiettivo è porre fine al conflitto ucraino riconoscendo le preoccupazioni di sicurezza della Russia.
Vanno in questa direzione le recenti dichiarazioni del segretario alla Difesa Pete Hegseth secondo le quali l’Ucraina non entrerà mai nella NATO e dovrà rinunciare a riottenere i territori annessi da Mosca.
In secondo luogo, la NATO dovrà trasformarsi in una sorta di alleanza “dormiente”, all’interno della quale saranno gli europei a farsi carico della sicurezza del vecchio continente. Gli USA non usciranno dall’alleanza, ma svolgeranno solo un ruolo di supporto, rivolgendo invece la propria attenzione all’area del Pacifico.
Attivismo negoziale
Come ha scritto Samuel Charap, analista della RAND Corporation, la scelta più razionale è che gli USA ripartano dal negoziato condotto da Russia e Ucraina nel marzo 2022 e allora boicottato da inglesi e americani.
Già a febbraio, Trump aveva affermato che in ogni caso Zelensky non aveva carte da giocare, e che anzi la sua presenza ai negoziati non era necessaria, in quanto ritenuto uno che “rende molto difficile fare accordi”.
Nel suo classico stile, Trump aveva aggiunto che Putin non avrebbe dovuto per forza negoziare un cessate il fuoco perché, se avesse voluto, avrebbe potuto ottenere “l’intero paese”.
Il 21 febbraio, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha dichiarato che “il presidente e la sua squadra sono molto concentrati nel proseguire i negoziati con entrambe le parti in causa per porre fine al conflitto, e il presidente è molto fiducioso che potremo farcela questa settimana”.
Un’affermazione probabilmente eccessiva, che forse faceva riferimento proprio al possibile incontro con Zelensky. Che i contatti fra Washington e Mosca fossero produttivi è stato però confermato, per certi versi, dallo stesso presidente russo Vladimir Putin.
In occasione di un discorso ai vertici dell’FSB (i servizi segreti esteri russi), quest’ultimo ha affermato che “i primi contatti con la nuova amministrazione USA suscitano alcune speranze”.
Il leader russo ha aggiunto che “i nostri partner dimostrano pragmatismo e una visione realistica delle cose, ed hanno abbandonato numerosi stereotipi, le cosiddette ‘regole’ e i cliché messianici e ideologici dei loro predecessori”.
Putin ha però ammonito che “non tutti sono contenti della ripresa dei contatti fra Russia e Stati Uniti. Una parte delle élite occidentali è ancora impegnata a mantenere l'instabilità nel mondo, e queste forze cercheranno di spezzare o compromettere il dialogo appena ripreso”.
Mosca rassicura Pechino
Altro elemento interessante è la tappa non prevista di Sergei Shoigu (già ministro della Difesa, attualmente alla guida del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa) a Pechino nel corso di un suo viaggio nel continente asiatico.
Shoigu ha incontrato il presidente Xi Jinping in persona e il ministro degli esteri Wang Yi. Da protocollo, è abbastanza inusuale che il leader cinese riceva una figura di secondo livello, seppur importante, come Shoigu.
La visita del funzionario russo è però avvenuta pochi giorni dopo una telefonata fra Putin e Xi, durante la quale il presidente cinese aveva lodato “i positivi sforzi [di Mosca] per disinnescare” la guerra in Ucraina.
Il quotidiano Global Times ha inoltre sottolineato che la visita di Shoigu è avvenuta “all’indomani di un incontro di sei ore fra le delegazioni americana e russa presso il Consolato USA di Istanbul”.
Il giornale ha riferito che Shoigu ha informato la leadership cinese “sugli ultimi sviluppi nei contatti Russia-USA” e sulla posizione russa in proposito.
Dai toni di grande apprezzamento della partnership sino-russa che sono stati usati sia dal Global Times che dal ministero degli esteri cinese, si evince che molto probabilmente Shoigu ha anche rassicurato Pechino sul fatto che un accordo con Washington non avrebbe in alcun modo intaccato la saldezza dei rapporti fra Russia e Cina.
I nodi vengono al pettine
E’ molto probabile che, in occasione delle visite del presidente francese Emmanuel Macron e del premier britannico Keir Starmer alla Casa Bianca, Trump abbia a sua volta aggiornato i partner europei sull’andamento dei negoziati con la Russia.
Ospitando il primo ministro inglese il 27 febbraio, il presidente americano aveva affermato che le trattative erano “molto avanzate”.
E’ dunque ipotizzabile che, ricevendo Zelensky il giorno successivo, egli intendesse non solo firmare l’intesa sullo sfruttamento dei minerali ucraini, ma informare il suo ospite dei progressi negoziali con Mosca e garantirsi il suo benestare a riguardo.
L’incontro è tuttavia sfociato in una lite senza precedenti in diretta televisiva, che ha gettato nel caos le relazioni tra Stati Uniti e Ucraina.
L’increscioso episodio ha portato all’allontanamento di Zelensky dalla Casa Bianca, alla mancata firma dell’accordo sui minerali, e alla sospensione degli aiuti militari a Kiev già approvati da Washington ma non ancora consegnati (una misura destinata dunque ad avere effetti solo sul medio periodo).
Com’è andato veramente l’incontro
I mezzi di informazione hanno trasmesso sostanzialmente gli ultimi dieci minuti del colloquio, mettendo in evidenza gli attacchi portati da Trump e dal vicepresidente J.D. Vance contro Zelensky, e spingendo alcuni a parlare addirittura di un’imboscata premeditata ai danni del presidente ucraino.
Ma una visione integrale dell’incontro, protrattosi per circa 49 minuti, porta a formulare una valutazione alquanto differente. Per 40 minuti, il dialogo si era mantenuto su toni pacati facendo tuttavia emergere le divergenti posizioni del leader ucraino e del presidente americano.
Trump ha addirittura esordito lodando l’impegno di Kiev nel conflitto, e il valore dei soldati ucraini. Zelensky, fin dall’inizio del suo intervento, ha però insistito sulla necessità che Washington fornisca garanzie di sicurezza all’Ucraina (garanzie che Trump aveva ripetutamente rifiutato di concedere già prima dell’incontro).
Il presidente ucraino ha aggiunto (minuto 3:40) che contava sugli USA per “fermare Putin”, da lui definito “un assassino e un terrorista”, sostenendo che non possono esserci “compromessi con un assassino riguardo ai nostri territori”.
Zelensky ha successivamente ribadito (minuto 15:10) che la questione più importante è se gli USA e i suoi alleati possano “fermare Putin” e “far ritirare le truppe russe dalla nostra terra”.
Trump , dal canto suo, ha affermato chiaramente che dal suo punto di vista la prima necessità è giungere ad un accordo di pace con Mosca, ritenendo (minuto 20:10) che le garanzie di sicurezza costituiscano “il 2% del problema”.
Il presidente americano ha lasciato intendere che, secondo lui, non solo l’accordo sullo sfruttamento delle risorse di Kiev, e dunque la presenza di lavoratori americani sul suolo ucraino, costituirebbe una garanzia di sicurezza, ma più in generale il riallacciamento dei rapporti diplomatici e commerciali con Mosca garantiranno che non vi sarà una ripresa delle ostilità.
Zelensky ha risposto (minuto 23:20) che “un cessate il fuoco non funzionerà” perché Putin non avrebbe mai rispettato gli accordi, e che un sostegno USA ai contingenti europei che verranno schierati in Ucraina è “cruciale”.
La discussione è infine degenerata dopo il 40° minuto, allorché è intervenuto il vicepresidente Vance affermando che “la via per la pace e la prosperità” comporta “impegnarsi nella diplomazia”.
Zelensky ha risposto sostenendo che Putin avrebbe violato ogni accordo in passato (sebbene sia stato il presidente ucraino a non implementare gli accordi di Minsk sotto la pressione dei nazionalisti ucraini) e domandando a Vance: “Di che diplomazia sta parlando, J.D.?”
Visioni inconciliabili
Il nocciolo della questione sta dunque nel fatto che, mentre l’amministrazione Trump vuole una soluzione negoziata del conflitto, Zelensky non intende scendere a patti con la realtà che l’Ucraina sta perdendo la guerra, e pare disposto ad acconsentire al massimo ad un suo congelamento (non ad una sua risoluzione) monitorato da forze NATO con esplicite garanzie di sicurezza fornite da Washington.
Trump ha tuttavia fatto capire che, o gli USA negozieranno una fine della guerra in tempi brevi, oppure si chiameranno fuori dal conflitto: “O farete un accordo o ce ne andiamo”.
La Casa Bianca, inoltre, rifiuta di fornire garanzie di sicurezza potenzialmente in grado di trascinare gli USA in uno scontro diretto con la Russia.
D’altra parte va rilevato che nessun presidente americano si è mai impegnato a combattere direttamente per Kiev. Il predecessore di Trump, Joe Biden, ha più volte categoricamente escluso l’invio di truppe USA in Ucraina.
Nessun altro membro NATO, del resto, ha schierato direttamente proprie forze a difesa di Kiev, ed anche ora la proposta di Gran Bretagna e Francia di dispiegare propri uomini sul suolo ucraino è subordinata all’eventuale fornitura di garanzie di sicurezza da parte americana.
Gli europei si illudono tuttora di poter strappare simili garanzie a Trump, e lo hanno confermato all’inconcludente incontro di Londra del 2 marzo.
Sebbene il piano di pace di Trump sia tuttora poco chiaro e probabilmente ancora da definire nei suoi dettagli fondamentali, esso sembra in sostanza accogliere l’idea di un’Ucraina neutrale richiesta da Mosca.
Gli europei e lo stesso Zelensky, invece, insistono sul pericoloso “malinteso”, creato in questi anni di conflitto dalla propaganda occidentale, secondo il quale la Russia avrebbe invaso l’Ucraina non perché si sentiva minacciata dall’espansionismo della NATO e dalla progressiva infiltrazione dell’Alleanza nel paese vicino, ma per le ambizioni “imperialistiche” di Putin il quale vorrebbe riconquistare i possedimenti sovietici.
Sulla base di questa contraffazione, l’Ucraina andrebbe perciò difesa con le armi. Non basterebbe la neutralità del paese a scongiurare un nuovo conflitto.
Il paradosso europeo
Nel frattempo la distruzione dell’Ucraina prosegue. I leader europei non sembrano preoccuparsi della necessità di porre fine alla guerra il prima possibile, né del fatto che più essa si prolungherà, peggiore sarà la posizione negoziale nella quale Kiev verrà a trovarsi.
Essi non paiono neanche comprendere che, se gli USA smetteranno di assistere l’Ucraina, le forze di Kiev andranno verso una sconfitta catastrofica, come hanno scritto analisti del calibro di Anatol Lieven e George Beebe.
Le élite politiche del vecchio continente sembrano parimenti rifiutare il fatto che le maggiori possibilità di prosperità per l’Europa deriverebbero da una pacificazione dell’Eurasia. Esse preferiscono la prospettiva del riarmo, che “giustifica” il permanere della logica dell’emergenza e dell’austerità.
Vi è poi la possibilità che l’Unione Europea approfitti di quest’ennesima “crisi” per operare un ulteriore accentramento di potere a spese dei paesi membri, questa volta nel settore della difesa.
I governi europei colgono il divario ideologico che li separa dall’amministrazione Trump e si sentono minacciati dal sostegno che essa accorda alla cosiddetta “destra populista”. Tali governi inoltre competono con Washington per accaparrarsi le risorse naturali dell’Ucraina. Dal loro punto di vista, anche l’iniziativa di pace della Casa Bianca va pertanto scartata.
I commentatori europei scrivono articoli allarmistici sulla fine dell’alleanza euro-atlantica e sul fatto che gli USA sarebbero ormai un “nemico dell’Occidente” (trovando eco, naturalmente, anche a Washington presso quell’area dell’establishment ostile al nuovo presidente).
Ancora una volta, dunque, le classi dirigenti del vecchio continente sembrano pronte a spingere i propri paesi verso un aggravamento della crisi invece di indirizzarli verso una pacificazione e una rinascita dell’Europa.
Nessuna delle parti in causa sembra avere un perfetto aggancio al piano di realtà, mentre la Russia guarda l'Occidente confondersi e dividersi.
Sul piano umano, che anche se non nominato da nessuno conta parecchio a livello di dialogo fra leader, l'arroganza facilona di Trump credo sarebbe un elemento di disturbo anche al tavolo con Putin, qualora Lavrov e Rubio non facessero un ottimo lavoro, tale da richiedere solo una stretta di mano e reciproci sorrisi finali.
Grazie, se ne sono lette tante che occorreva uno sguardo meditato.
Grazie per l'analisi. Trovi che ci siano similitudini tra la situazione attuale e quella che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale?