“Bomba sporca” in Ucraina: una settimana vissuta pericolosamente
Per allontanare il pericolo della catastrofe è urgente avviare un percorso diplomatico.
Dopo circa cinque mesi di quasi totale assenza di contatti fra Russia e Stati Uniti, e in second’ordine fra Russia ed Europa, la scorsa settimana è stata caratterizzata da una serie rocambolesca di telefonate tra Washington e Mosca, e tra il Cremlino, Ankara e le altre capitali europee.
Le conversazioni hanno riguardato soprattutto il reciproco scambio di accuse fra Russia e Ucraina sulla possibilità di far detonare una “bomba sporca” (descritta più in basso nell’articolo) in Ucraina, per poi addossare all’avversario la colpa dell’accaduto e dar corso a una possibile escalation.
Tali contatti sono avvenuti mentre sia NATO che Russia si stavano dedicando alla preparazione e allo svolgimento delle proprie esercitazioni di guerra nucleare (Steadfast Noon e Grom, rispettivamente) – esercitazioni di routine da tempo programmate, che tuttavia accrescono inevitabilmente le tensioni e i rischi di errori di valutazione in una fase di scontro aperto tra i due fronti.
Queste esercitazioni hanno infatti avuto luogo dopo settimane di inasprimento di un conflitto ormai delineatosi sempre più chiaramente come uno scontro Russia-NATO. Esso ha visto Mosca rispondere alle controffensive ucraine, negli oblast di Kharkiv e Kherson, con una mobilitazione parziale di 300.000 riservisti e con l’ufficializzazione, tramite referendum, dell’annessione di quattro province ucraine.
A ciò ha fatto seguito il sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream, e la crescente insistenza con cui esponenti dell’amministrazione Biden hanno paventato una possibile catastrofe nucleare, ritraendo (erroneamente) un Cremlino “disperato e con le spalle al muro” che sarebbe pronto ad utilizzare l’arma nucleare.
Un incontro di emergenza a Washington
Lo scorso 18 ottobre, nel pieno della grave crisi di governo che stava assorbendo la Gran Bretagna, il ministro della difesa britannico Ben Wallace si è recato improvvisamente a Washington per un incontro di emergenza (del tutto non pianificato) con il segretario alla difesa USA Lloyd Austin, il capo degli stati maggiori riuniti Mark Milley ed altri alti ufficiali americani.
Oggetto dei colloqui erano, secondo fonti britanniche, non meglio specificate “comuni preoccupazioni di sicurezza” in Ucraina. Secondo il Telegraph, Wallace si è dovuto recare a Washington di persona a causa di timori sulla riservatezza delle comunicazioni fra il Pentagono e il ministero della difesa britannico.
Un’affermazione singolare, quest’ultima, poiché implicherebbe che la rete di comunicazioni del governo britannico è stata violata. Se ciò fosse vero, è molto strano che la notizia venga rivelata alla stampa.
Altrimenti bisogna presumere che il tema della discussione fosse talmente riservato da permettere la presenza di un numero limitatissimo di persone, in modo da evitare che perfino altri esponenti del governo di Londra ne venissero a conoscenza (anche comunicazioni telefoniche riservate possono invece dar luogo a una trascrizione, o essere accessibili ad altre persone).
Scambi di accuse
Tre giorni dopo quest’incontro riservato, il 21 ottobre, Lloyd Austin chiamava di propria iniziativa il ministro della difesa russo Sergei Shoigu,sottolineando l’importanza di mantenere canali di comunicazione durante l’attuale conflitto in Ucraina.
Non conosciamo gli altri contenuti della conversazione, ma due giorni dopo i due si sono parlati nuovamente, questa volta su richiesta di Shoigu. Il ministro della difesa russo, quello stesso giorno, aveva però già chiamato i suoi omologhi britannico, francese e turco per comunicare le preoccupazioni russe riguardo a possibili “provocazioni” tramite l’uso di una “bomba sporca” in Ucraina.
Secondo la controparte americana, durante il colloquio Austin avrebbe “rifiutato qualsiasi pretesto per un’escalation russa” in Ucraina. Meno di 24 ore dopo, lo stesso Austin ha telefonato al proprio omologo a Kiev, Oleksii Reznikov, per “reiterare che gli Stati Uniti rifiutano le pubbliche e false accuse della Russia sull’Ucraina e qualsiasi tentativo di usarle come pretesto per un’ulteriore escalation russa”.
Lo stesso giorno, Mark Milley ha parlato telefonicamente con il capo di stato maggiore russo, generale Valery Gerasimov, concordando sulla necessità di tenere aperti i canali di comunicazione. Secondo l’agenzia di stato russa RIA, i due generali hanno “discusso la possibilità sollevata da Mosca che l’Ucraina usi una ‘bomba sporca’”.
Un’analoga conversazione si è tenuta fra Gerasimov ed il capo di stato maggiore britannico Tony Radakin.
A seguito di tutti questi contatti, i ministri degli esteri di USA, Francia e Gran Bretagna hanno emesso un comunicato congiunto in cui si ribadisce che “noi tutti rifiutiamo le accuse palesemente false della Russia secondo cui l’Ucraina si starebbe preparando ad usare una bomba sporca sul proprio territorio.”
“Il mondo”, prosegue il comunicato, “riconoscerebbe qualsiasi tentativo di usare questa accusa come un pretesto per un’escalation. Rifiutiamo inoltre qualsiasi pretesto per un’escalation della Russia”.
Lo stesso identico messaggio è stato riferito a voce dal segretario si stato USA Antony Blinken al suo omologo ucraino Dmytro Kuleba.
Sembrerebbe dunque che l’amministrazione USA si sia premurata in ogni modo di far sapere al governo di Kiev che avrebbe “rifiutato qualsiasi pretesto per un’ulteriore escalation russa”.
Sottomarini nucleari
Negli stessi giorni, si è verificato un altro evento degno di nota. Il 20 ottobre, è stata pubblicamente annunciata la visita del generale Michael Kurilla, capo dello U.S. Central Command, al sottomarino West Virginia, armato con missili nucleari, che per l’occasione è emerso in superficie nel Mare Arabico.
Il punto rilevante è però che, avendo tali vascelli lo scopo di assicurare una deterrenza nucleare, e soprattutto una second strike capability, rimanendo invisibili e non rivelando mai la propria posizione, il fatto che per l’occasione tale posizione sia stata resa pubblica lascia presupporre che ciò sia un chiaro messaggio rivolto a Mosca.
Dal nord del Mare Arabico, infatti, i missili nucleari statunitensi sono in grado di colpire le basi missilistiche russe di Orenburg e Omsk in un potenziale attacco volto a decapitare l’arsenale nucleare di Mosca.
Ci troviamo dunque in una fase di segnalazioni ed ammonimenti incrociati da parte di tutte le forze in campo, che denota la serietà della situazione.
Cos’è una “bomba sporca”
Una “bomba sporca” non è un ordigno nucleare, bensì un’arma formata da materiale radioattivo assemblato con esplosivo ad alto potenziale allo scopo di contaminare una vasta area con isotopi radioattivi.
Essa può contaminare un’area di alcune centinaia di metri di diametro, ma non ha un particolare valore militare. Può essere facilmente prodotta da chiunque possieda materiale radioattivo (non è necessario che sia materiale fissile) ed ha essenzialmente lo scopo di suscitare orrore e paura. In altre parole, una bomba sporca ha essenzialmente finalità terroristiche.
Due bombe sporche furono rinvenute a Mosca e in Cecenia, rispettivamente nel 1995 e nel 1998, e furono in entrambi i casi disinnescate dalle forze di sicurezza russe.
Gli Stati Uniti hanno a lungo temuto che al-Qaeda facesse detonare una bomba sporca sul suolo americano, ma ciò non è mai avvenuto.
Ordigni di questo tipo furono testati dall’Iraq nel 1987 (con l’obiettivo di usarli nella guerra contro il nemico iraniano) e da Israele fra il 2010 e il 2014. I risultati dei test israeliani tuttavia mostrarono che il danno posto agli esseri umani era relativamente contenuto, e che “il principale impatto di un simile attacco sarebbe di natura psicologica”.
Scenari di un intervento occidentale
Mosca ritiene, dunque, che l’impiego di una bomba sporca da parte ucraina, attribuendone la responsabilità ai russi, avrebbe lo scopo di isolare il Cremlino a livello internazionale e assicurare a Kiev un flusso di armi ancora maggiore da parte dell’Occidente, se non un intervento diretto di truppe NATO nel conflitto.
David Petraeus, generale in pensione ed ex direttore della CIA, ha recentemente dichiarato al giornale francese L’Express che, di fronte a un’azione particolarmente “scioccante e orribile” perpetrata dalla Russia in Ucraina, gli Stati Uniti ed altri paesi “potrebbero reagire in un modo o nell’altro, ma come una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti, e non come una forza della NATO”.
E’ interessante notare che la presenza di forze USA e NATO in Germania, Polonia e Romania in linea teorica suggerisce che un pretesto potrebbe essere sfruttato per far entrare truppe nell’Ucraina occidentale e meridionale – in particolare a Odessa.
Va altresì rilevato che tali forze sono al momento del tutto insufficienti a fronteggiare le truppe russe. Il recente dispiegamento della 101 ͣ divisione aviotrasportata in Romania – 4.700 unità di fanteria leggera in realtà giunte a rimpiazzare l’82 ͣdivisione aviotrasportata – non rappresenta un rafforzamento dell’attuale schieramento di forze americane ed occidentali.
Replicare il “modello siriano” (schierando in territorio ucraino una forza USA “simbolica” volta a scoraggiare un attacco da parte degli avversari – in questo caso i russi – sulla base del timore di incorrere in un intervento americano più massiccio) appare estremamente rischioso nel contesto ucraino.
Rimane da ricordare, tuttavia, che il governo Zelensky ha ripetutamente dato l’impressione di cercare proprio un coinvolgimento diretto degli USA e della NATO nel conflitto, un’eventualità che i russi vogliono chiaramente scongiurare.
Scenari nucleari
A loro volta, il governo Zelensky e i paesi occidentali che lo sostengono hanno accusato Mosca di voler impiegare una bomba sporca, addossando la responsabilità a Kiev, per giustificare un’escalation militare (eventualmente tramite l’impiego di una bomba nucleare tattica) nel paese.
Va tuttavia considerato che il ricorso ad un’arma nucleare tattica – anche ad un ordigno a basso potenziale – implicherebbe rischi enormi per Mosca, non giustificabili dall’attuale situazione militare. La recente campagna contro la rete elettrica ed altre infrastrutture strategiche ucraine conferma che la Russia dispone di armamenti convenzionali altamente distruttivi, che non comportano i rischi di stigmatizzazione internazionale e di escalation nucleare determinati dal ricorso all’arma atomica.
Inoltre Mosca è ben lontana dal perdere questa guerra. I recenti bombardamenti russi hanno distrutto il 40% della rete elettrica ucraina. La mobilitazione dei 300.000 riservisti è stata completata. Dopo le controffensive ucraine, il fronte si è relativamente stabilizzato e nuovi rinforzi russi sono giunti a difesa della città di Kherson.
Il Cremlino, dunque, nutre tuttora fiducia nella possibilità di vincere questo conflitto con mezzi convenzionali.
Ci si chiede, quindi, per quale motivo esponenti dell’amministrazione Biden continuino ad alimentare le tensioni, ammonendo ripetutamente che la Russia potrebbe impiegare una bomba nucleare tattica in Ucraina sebbene ogni evidenza indichi che sarebbe un’azione controproducente, e sebbene la stessa intelligence USA affermi che non vi è alcuna prova concreta del fatto che il Cremlino si stia apprestando ad impiegare tali armi.
La crisi di Cuba deve insegnarci qualcosa
Le vicende di questa settimana, e l’ininterrotta fase di escalation che ha caratterizzato gli ultimi due mesi, ci ricordano l’estrema pericolosità di questo conflitto ed il rischio continuo che esso si estenda al di là dell’Ucraina.
Le tensioni, le minacce, e le reciproche accuse di questi giorni dovrebbero aver chiarito agli occhi di tutti che un errore di valutazione fatale è sempre possibile. La possibilità di un’escalation nucleare, fino a poco tempo fa considerata un tabù, è ora materia di dibattiti quotidiani.
Proprio sessant’anni fa, il 27 ottobre del 1962, al culmine della crisi di Cuba una serie di errori umani, di valutazioni sbagliate e di decisioni militari avventate portò gli USA sul punto di attaccare l’isola, rischiando di sprofondare il mondo nella catastrofe nucleare. La crisi attuale ha probabilmente già superato il livello di pericolosità di quella di sessant’anni fa.
L’unico modo per allontanare il rischio della catastrofe è avviare un percorso diplomatico che porti a una de-escalation e ad un possibile sbocco negoziale del conflitto. La crisi ucraina non ha altra via d’uscita.