Wagner, l’orchestra – Ascesa e declino
Un decennio di conflitto USA-Russia attraverso la storia di un gruppo di mercenari.
Il gruppo Wagner, solitamente definito come una compagnia militare privata (cioè come una compagnia di mercenari), è recentemente salito alla ribalta delle cronache per il suo ruolo nel conflitto ucraino, e in particolare nella battaglia di Bakhmut, e poi per l’effimero e maldestro colpo di mano tentato dal suo patrono e finanziatore, Yevgeny Prigozhin.
Il tentativo, conclusosi malamente con la capitolazione e l’esilio in Bielorussia di Prigozhin, probabilmente segnerà il declino della compagnia, almeno come la conosciamo oggi.
Ma la storia della Wagner si estende per quasi un decennio, intrecciandosi con le principali sfide che Mosca ha dovuto affrontare sullo scacchiere internazionale. Ripercorrere la parabola del gruppo significa anche ricostruire le fasi principali della contrapposizione fra Mosca e Washington su teatri che vanno dall’Ucraina alla Siria, alla Libia, e al continente africano – teatri che hanno segnato il drammatico deterioramento dei rapporti fra le due potenze.
Lo spartiacque delle rivolte arabe
Sebbene l’arrivo di Obama alla Casa Bianca avesse suscitato qualche effimera speranza in un miglioramento delle relazioni fra Stati Uniti e Russia, le rivolte arabe del 2011 avevano soffocato ogni aspettativa in tal senso.
Il rovesciamento di Gheddafi per mano della NATO, conclusosi con il macabro assassinio del leader libico, aveva travalicato la risoluzione 1973 dell’ONU che chiedeva l’imposizione di una no-fly zone esclusivamente a difesa dei civili. Tale risoluzione era stata approvata anche grazie all’astensione di Russia e Cina.
Sulla base di questa esperienza negativa, Mosca e Pechino avrebbero seguito un approccio più ostile nei confronti dell’Occidente durante la crisi siriana.
Tornato al Cremlino nel 2012 dopo l’avvicendamento con Medvedev, il presidente russo Vladimir Putin era inoltre profondamente irritato per quella che considerava una smaccata interferenza americana negli affari interni russi. Egli accusò il Dipartimento di Stato di aver attivamente sostenuto le proteste scoppiate a Mosca alla fine del 2011 dopo le elezioni parlamentari.
Putin era poi indignato non solo per l’esito dell’intervento NATO in Libia, ma per il comportamento complessivo degli Stati Uniti di fronte alla crisi dei regimi arabi.
Il Cremlino considerò un grave sbaglio la decisione americana di appoggiare i Fratelli Musulmani in Egitto dopo la caduta del presidente Mubarak, e criticò ancor più aspramente la scelta di utilizzare gruppi armati, spesso estremisti, nelle guerre civili in Libia e Siria.
In Siria, Washington intendeva semplicemente sottrarre all’Iran il suo più importante alleato regionale. A tal fine, gli USA si erano alleati con due fra i paesi più autoritari al mondo: Arabia Saudita e Qatar.
Sulla base di queste valutazioni, molti a Mosca giunsero a considerare gli Stati Uniti come una crescente fonte di instabilità globale. Questa sensazione culminò quando Obama fu sul punto di intervenire militarmente in Siria nel settembre del 2013.
“Omini verdi” in Crimea
Pochi mesi più tardi, la rivolta di Maidan sostenuta da Washington in Ucraina, e il conseguente rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych, furono visti in Russia come una nuova “rivoluzione colorata”, come l’ennesimo tentativo statunitense di destabilizzare altri paesi per perseguire i propri obiettivi geopolitici, e come l’ennesima conferma del rifiuto di una partnership con Mosca da parte degli USA e dei loro alleati europei.
L’insediamento a Kiev di un governo radicalmente ostile a Mosca comportava per i russi il rischio di perdere la strategica base navale di Sebastopoli in Crimea, e una seria compromissione dell’influenza russa nel Mar Nero e della possibilità di accedere al Mediterraneo.
Putin decise che non era possibile indugiare oltre. Allo stesso tempo, era necessario evitare uno scontro aperto con l’Occidente. Con un’operazione fulminea, misteriosi uomini in tenuta militare, ma senza insegne o mostrine (i cosiddetti “little green men”, come vennero chiamati dalla stampa anglofona, che invece in Russia vennero definiti “persone gentili” per la loro scarsa interferenza con la vita civile della popolazione) presero il controllo di punti chiave della Crimea.
Il Cremlino inizialmente negò il coinvolgimento russo. La popolazione crimeana, con una componente russa vicina al 70%, passò dalla parte di Mosca. Il 50% delle forze armate ucraine presenti sulla penisola semplicemente defezionò schierandosi con i russi.
L’operazione, praticamente incruenta, fu una conferma della possibilità di impiegare con successo forze speciali, truppe irregolari, e compagnie militari private dissimulando il coinvolgimento diretto di Mosca, e minimizzando i rischi di un conflitto diretto con l’Occidente.
Uno dei principali ideatori ed esecutori dell’impresa fu Aleksey Dyumin, già vicecapo del servizio di sicurezza presidenziale, e poi delle forze speciali del GRU (l’intelligence militare russa).
Mobilitazione a fianco del Donbass
Nel frattempo, nella regione orientale del Donbass due terzi dei residenti avevano definito la rivolta di Maidan “un golpe armato, organizzato dall’opposizione [a Yanukovych] con il supporto dell’Occidente”. In queste zone il nuovo governo di Kiev non venne pertanto riconosciuto. Kiev rispose dichiarando una campagna “antiterrorismo” e inviando l’esercito.
Inizialmente, i ribelli del Donbass chiesero solo una maggiore autonomia all’interno dello stato ucraino. Le loro posizioni si inasprirono a causa del netto rifiuto del governo di Kiev e delle sue brutali tattiche militari.
Mosca, volendo assicurarsi che un’Ucraina guidata da un governo che le era ostile rimanesse debole, e volendo prevenire una capitolazione del Donbass, giocò un ruolo nell’organizzare i ranghi della ribellione.
Putin, tuttavia, non intendeva annettersi la regione. Il Cremlino appoggiò le rivendicazioni di maggiore autonomia dei ribelli, non le loro successive istanze separatiste, paradossalmente trovandosi a dover frenare le loro aspirazioni piuttosto che ad alimentarle.
Mosca cercava di evitare uno scontro frontale con l’Occidente, non voleva sottoporre l’economia russa all’impatto devastante di sanzioni occidentali paralizzanti, e sperava di ricucire i rapporti con l’Europa.
Perciò la sua azione in Donbass anche stavolta avvenne tramite l’impiego di forze speciali, truppe irregolari e mercenari, cercando di minimizzare il coinvolgimento ufficiale del governo.
Vi era poi anche una dimensione “volontaristica”, che coinvolgeva nazionalisti russi che non si riconoscevano nelle scelte “moderate” di Putin, i quali andarono a combattere a fianco dei “fratelli” del Donbass.
Prigozhin sostiene che fra questi gruppi vi erano volontari che lui stesso aveva finanziato ed organizzato. Era il primo nucleo di quello che sarebbe divenuto il gruppo Wagner.
“Plausible deniability”
Il gruppo tuttavia si consolidò grazie al diretto apporto dei vertici militari russi. Già da alcuni anni negli ambienti di Mosca aveva cominciato a farsi strada l’idea che fosse necessario creare “compagnie militari private” (CMP) che potessero compiere delicate missioni all’estero minimizzando il coinvolgimento del governo russo. Esse avrebbero potuto perseguire alcuni interessi nazionali garantendo a Mosca una “plausible deniability”.
L’intenzione era di imitare il modello delle CMP occidentali, dalla famigerata Blackwater, fondata dall’ex Navy Seal Erik Prince operando in paesi come Bosnia, Iraq e Afghanistan, alla Dyncorp, che aveva fornito servizi all’esercito americano in diversi teatri di guerra, alla britannica G4S.
In realtà, secondo la costituzione russa, sicurezza e difesa sono affari di esclusiva competenza dello stato, e dunque la creazione di compagnie militari private è in linea di principio illegale. E’ a seguito della crisi provocata dalla Wagner negli ultimi mesi che la Duma si è mobilitata per regolamentare meglio la questione, mentre finora le CMP venivano create sfruttando “scappatoie” legali.
Uno dei primi esempi di CMP russa, il Corpo Slavo, fu dispiegato in Siria nel 2013 con esiti alquanto negativi.
Wagner, tra realtà e leggenda
Le prime unità del gruppo Wagner avrebbero operato in Crimea e poi in Donbass, nel 2014, sotto il diretto controllo del GRU. Il fondatore militare del gruppo sarebbe Dmitry Utkin, un ex tenente colonnello delle forze speciali (Spetsnaz) del GRU che aveva preso parte alle guerre cecene, e poi aveva partecipato alla spedizione del Corpo Slavo in Siria.
In realtà non è chiaro se Utkin abbia fondato il gruppo Wagner di propria iniziativa, o se sia una sorta di “uomo immagine” (seppur molto schivo, data la carenza di informazioni sul suo conto) di un’organizzazione più probabilmente diretta emanazione del GRU.
Allo stesso modo, secondo alcune fonti, lo stesso Prigozhin, finanziatore dell’organizzazione, sarebbe stato contattato dallo stato maggiore russo perché assumesse quel ruolo.
Le reali origini della Wagner sono inevitabilmente alquanto oscure, e non è chiaro se alcune notizie siano vere o leggendarie. Così, ad esempio, si vocifera sulle inclinazioni di estrema destra di Utkin, e sul suo nome in codice “Wagner” dovuto alla predilezione per il compositore tedesco, da cui avrebbe origine il nome dell’organizzazione.
I membri e i sostenitori della Wagner chiamano il gruppo “l’orchestra”, e i suoi combattenti “musicisti”. L’organizzazione ha ottenuto una base nella città di Molkino, nel distretto di Krasnodar (Russia meridionale), una struttura utilizzata anche dal GRU. A trasportare i combattenti della Wagner sui diversi teatri di guerra è l’aviazione militare russa. Essi vengono curati e assistiti negli ospedali militari russi.
Come ho scritto nel mio precedente articolo sul recente colpo di mano condotto da Prigozhin,
La peculiarità del gruppo Wagner è che , più che una CMP, esso rappresenta una vera e propria partnership fra pubblico e privato, essendo letteralmente una costola dell’esercito russo.
Allo stesso tempo, l’appeal di cui la compagnia gode rispetto all’esercito regolare sta nel fatto che essa garantisce salari più elevati. Ciò dipende dal fatto che la Wagner instaura anche rapporti di affari e traffici – spesso illeciti – nei teatri in cui opera, e dunque dispone di molteplici fonti di finanziamento.
Impedire la caduta di Damasco
A partire dalla fine del 2015, l’organizzazione fu pienamente coinvolta nel conflitto siriano.
Damasco era l’ultimo alleato di Mosca nel mondo arabo, e un importante mercato per la sua industria bellica. Inoltre, la Siria ospitava nel porto di Tartus l’unica base navale russa nel Mediterraneo.
Ma le ragioni del Cremlino andavano al di là di questi interessi. Dopo aver combattuto per anni insurrezioni islamiche armate in Afghanistan e Cecenia, era attraverso questa lente che Mosca interpretava le rivolte arabe.
La decisione dell’Occidente di appoggiare movimenti islamici ed anche gruppi estremisti armati in queste rivolte era considerata dalla Russia un grave errore, se non qualcosa di peggio.
Il Cremlino temeva che, a causa della posizione della Siria e dei suoi legami etnici e confessionali con la regione, l’instabilità prodotta dalla guerra nel paese avrebbe potuto espandersi al di là dei suoi confini. La stabilità dello stesso Caucaso russo avrebbe potuto risentirne.
Mosca era inoltre determinata a impedire l’ennesimo cambio di regime in un paese alleato, il cui unico esito sarebbe stato quello di espandere l’ordine mondiale a guida americana a scapito delle potenze non allineate con Washington.
Dopo le missioni compiute in Ucraina in tutta segretezza, il conflitto siriano rappresentò il debutto pubblico della Wagner in qualità di forza combattente e “marchio di qualità” dell’intervento russo.
Mosca aveva pianificato una missione “leggera” in Siria, incentrata soprattutto sulla forza aerea, con un pugno di forze speciali sul terreno. L’obiettivo era minimizzare i costi e le perdite al fine di non allarmare l’opinione pubblica in patria, oltre che contenere il rischio di uno scontro diretto con le forze USA dispiegate nel paese.
Massacro a Deir ez-Zor
La vera forza russa sul terreno era dunque rappresentata dal gruppo Wagner che, secondo alcune fonti, arrivò a dispiegare quasi 2.000 combattenti nel paese mediorientale. Furono gli uomini della compagnia a combattere al fianco delle truppe siriane e iraniane per conto del presidente siriano Bashar al-Assad.
Tra il 2016 e il 2017, quest’ultimo accettò di pagare una “front company” della Wagner controllata da Prigozhin per i servizi militari della compagnia. L’accordo garantiva a quest’ultima anche un quarto degli introiti provenienti dai giacimenti di gas e petrolio che essa avrebbe liberato per conto del governo di Damasco.
Questo schema tuttavia provocò un pericolosissimo incidente e un massacro di combattenti della Wagner nel febbraio 2018, allorché truppe della compagnia si scontrarono con un avamposto americano nella regione di Deir ez-Zor.
Secondo alcune fonti russe, fra cui Kommersant, la sera del 7 febbraio un gruppo composto da 250-600 combattenti di formazioni siriane filogovernative, rinforzate da decine di uomini della Wagner, avanzò verso i giacimenti di gas e petrolio della regione controllati dai curdi e dagli americani.
L’obiettivo, appoggiato da alcuni uomini d’affari locali (secondo altre fonti, sarebbe stato coinvolto anche il miliardario russo Gennady Timchenko, attivo in Siria nel settore energetico), era di impadronirsi di alcuni di questi impianti per gestirne i profitti.
La colonna di uomini e mezzi si diresse verso l’impianto di gas Conoco, che era però sorvegliato da un avamposto di forze speciali americane. Trovandosi in seria inferiorità, queste ultime avvertirono il comando russo attraverso la preposta linea telefonica di “deconfliction”. Tale linea era stata istituita fra russi e americani proprio allo scopo di evitare incidenti che avrebbero potuto portare ad una pericolosa escalation tra le due superpotenze.
Avendo il comando russo negato che truppe di Mosca stessero muovendo contro l’impianto Conoco, l’avamposto statunitense chiese l’aiuto della propria aviazione, che intervenne facendo strage degli attaccanti. Decine di uomini della Wagner sarebbero rimasti uccisi nel massacro.
Prigozhin contro Shoigu e Gerasimov
Secondo la versione pubblicata dallo stesso Prigozhin, la Wagner avrebbe invece avvertito in anticipo il comando russo dell’operazione imminente, e avrebbe perfino ottenuto la promessa di ricevere copertura aerea se fosse stato necessario.
Secondo Prigozhin, sarebbe stato il capo di stato maggiore Valery Gerasimov a fermare ogni intervento dell’aviazione in supporto della colonna di forze siriane e russe, senza tuttavia avvisare la compagnia. Il leader della Wagner sostiene di non aver mai ricevuto spiegazioni sull’improvviso ripensamento del comando russo, né da parte di Gerasimov né da parte del ministro della difesa Sergei Shoigu.
Un’altra fonte russa afferma che il piano, inizialmente appoggiato dal comandante delle forze aerospaziali russe in Siria, Sergei Surovikin, sarebbe stato bruscamente rifiutato da Gerasimov, furioso per il fatto che truppe irregolari in combutta con una cricca di uomini d’affari volessero porre le forze armate russe al servizio dei propri interessi, rischiando fra l’altro di provocare un serio incidente militare fra Mosca e Washington.
Il massacro di Deir ez-Zor è all’origine del deterioramento dei rapporti fra Prigozhin da un lato e Shoigu e Gerasimov dall’altro, una crisi che avrebbe accompagnato la storia del gruppo Wagner negli anni successivi, e si sarebbe aggravata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per giungere alla definitiva rottura con il colpo di mano orchestrato da Prigozhin il 23-24 giugno scorso.
Queste tensioni, tuttavia, non avrebbero impedito un’ulteriore espansione delle attività della Wagner negli anni successivi.
La Wagner in Africa
La crisi con l’Occidente maturata nel 2014 aveva spinto Mosca a cercare di stringere rapporti economici e commerciali con i paesi del cosiddetto “Sud del mondo”, dall’Asia, all’America Latina, all’Africa.
In Africa, in particolare, Russia e Cina potevano trarre vantaggio dal fallimento di decenni di politiche neocoloniali e militariste condotte in quel continente dai paesi europei e dagli Stati Uniti.
Mosca non era in grado di offrire i capitali di cui disponeva Pechino, ma poteva fornire assistenza in alcune attività economiche, soprattutto nel settore estrattivo, e garantire servizi nel settore della sicurezza.
Era in questo settore che la Wagner poteva giocare un ruolo. Il dispiegamento della compagnia in Sudan e nella Repubblica Centrafricana risale alla fine del 2017, segnando un’importante evoluzione del gruppo.
In questi paesi la Wagner non operava in ruoli di combattimento, ma come “fornitore di sicurezza”, addestrando le forze locali, sorvegliando siti sensibili, garantendo l’incolumità di rappresentanti governativi.
Anche in questi paesi, Prigozhin ha intessuto i propri affari e stretto nuovi accordi, relativi al diritto di sfruttamento di alcuni depositi di metalli preziosi, al traffico di diamanti, ma anche a servizi di consulenza politica. In generale, si tratta di accordi che hanno rilevanza minima per l’economia russa, ma che servono a finanziare in primo luogo la Wagner.
I numeri stessi del gruppo in Africa sono molto contenuti. Mosca parla di circa 2.000 istruttori nella Repubblica Centrafricana e circa 400 mercenari in Mali. La compagnia è presente anche in Mozambico e Libia.
In Libia, in particolare, Mosca mantiene contatti con numerosi attori del paese, dove spera di ricostruire i rapporti storici interrotti con la guerra civile e l’intervento NATO. Mosca, ad ogni modo, ha corteggiato soprattutto il generale Khalifa Haftar, attore dominante nella Libia orientale, dove anche la Wagner registra una presenza.
Dalla gloria al declino?
In patria, i combattenti della Wagner hanno goduto di crescente popolarità , culminata con il conflitto ucraino e la battaglia di Bakhmut, che ha visto la compagnia protagonista assoluta della liberazione della città.
Gli uomini della Wagner sono considerati degli eroi, e vi è una vasta filmografia sulle gesta del gruppo, la cui diffusione addirittura valica i confini della Russia.
Dopo il colpo di mano orchestrato da Prigozhin il 23-24 luglio, con il consenso di pochissimi ufficiali del gruppo e il sostegno di una frazione limitata dei suoi combattenti, il futuro della Wagner è divenuto improvvisamente incerto. La compagnia è destinata probabilmente ad un parziale declino.
Già le prime misure governative si sono abbattute sull’impero di Prigozhin. Concord, la compagnia di catering di proprietà del leader della Wagner, ha perso i suoi lucrosi contratti con il ministero della difesa.
Simbolicamente, l’insegna presso il sontuoso quartier generale della Wagner a San Pietroburgo è stata rimossa. I siti di notizie che operavano sotto l’ombrello del Patriot Media Group (a capo del cui consiglio di amministrazione fino a maggio figurava lo stesso Prigozhin) sono stati bloccati.
Le operazioni di reclutamento della compagnia sono state sospese per un mese. Nel frattempo, rappresentanti del governo russo hanno contattato i leader della Siria e di diversi paesi africani per comunicare loro che il gruppo Wagner non opererà più in maniera indipendente nei loro paesi.
Allo stesso tempo, non c’è da attendersi che le compagnie militari private – e la stessa Wagner – in Russia scompariranno. Nel loro ruolo esse sono difficilmente sostituibili. Diversi settori della politica estera russa sono tuttora legati alla Wagner.
Lo stesso Prigozhin non sembra essere una persona particolarmente braccata, e continua a godere di una notevole libertà di movimento. Il presidente bielorusso Lukashenko, che aveva deciso di ospitarlo in esilio, ha recentemente riferito che egli ha lasciato il territorio bielorusso ed è nuovamente a San Pietroburgo.
Il leader della Wagner starebbe negoziando con le autorità di Mosca la dissoluzione del suo impero commerciale.
E’ recentissima la notizia secondo cui Putin ha invitato e incontrato al Cremlino 35 comandanti e leader della compagnia, incluso lo stesso Prigozhin, lo scorso 29 giugno, per discutere di quanto accaduto e del futuro della compagnia.
Intanto immagini satellitari suggeriscono che campi potenzialmente in grado di ospitare migliaia di combattenti Wagner sarebbero in costruzione in Bielorussia.
Ma la pagina più celebrata, e allo stesso tempo controversa, del gruppo potrebbe essersi chiusa. Forse.
Analisi eccellente, come sempre del resto!