Ucraina, i giorni dell’incertezza
Kiev sta perdendo la guerra. Il lancio russo del missile Oreshnik è un “game changer”. Ma, in attesa di Trump, USA e Gran Bretagna sembrano non voler cogliere gli ammonimenti di Mosca.
A partire dalla fine di ottobre, ed ancor più dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, l’amministrazione Biden ha cominciato ad alzare la posta in gioco in Ucraina.
Il 22 ottobre ha approvato un finanziamento di 800 milioni di dollari a favore dell’industria bellica di Kiev per la costruzione di droni a lungo raggio in grado di colpire in profondità il territorio russo.
L’8 novembre ha autorizzato il Pentagono a schierare ufficialmente contractor USA in Ucraina per mantenere in efficienza i sistemi d’arma americani in dotazione all’esercito di Kiev.
Nove giorni dopo, ha autorizzato l’impiego di missili USA a lungo raggio per colpire obiettivi in territorio russo.
E il 19 novembre ha annunciato che avrebbe fornito all’esercito ucraino mine antiuomo per rallentare l’avanzata delle truppe di Mosca, sebbene nel 2022 si fosse impegnata a limitarne l’impiego.
Biden ha anche cancellato 5 miliardi di debito al governo di Kiev, ed in generale sta compiendo ogni sforzo per rafforzare il più possibile l’Ucraina prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
Missili NATO contro la Russia
L’episodio che ha fatto più scalpore, in ogni caso, è costituito dall’autorizzazione a colpire il territorio russo con missili americani a lunga gittata.
Due giorni dopo, sei missili ATACMS sono stati lanciati contro un deposito di armi nella regione russa di Bryansk (cinque sarebbero stati intercettati).
A stretto giro di posta, è arrivato l’annuncio che Gran Bretagna e (seppur con meno convinzione) Francia avrebbero seguito l’esempio americano mettendo a disposizione i propri missili cruise (Storm Shadow e Scalp, rispettivamente) per colpire obiettivi in territorio russo.
Il 20 novembre, da 10 a 12 Storm Shadow colpivano un centro di comando nella regione russa di Kursk, dove le forze di Mosca stanno combattendo per ricacciare gli ucraini che avevano invaso la regione all’inizio dello scorso agosto. L’attacco avrebbe provocato diverse vittime.
Per mesi l’amministrazione Biden, malgrado le pressioni ucraine, si era astenuta dal fornire l’autorizzazione a colpire il territorio russo con gli ATACMS perché il Pentagono aveva valutato che, a fronte di limitati vantaggi dal punto di vista militare, vi era un rischio concreto di escalation della guerra.
Secondo valutazioni dell’intelligence USA, Mosca avrebbe potuto “estendere il conflitto” compiendo azioni di sabotaggio negli Stati Uniti e in Europa, ed eventualmente armando altre forze ostili all’Occidente come gli Houthi nello Yemen e l’Iran.
Lo stesso presidente russo Vladimir Putin, del resto, aveva ammonito che una tale autorizzazione avrebbe significato un diretto coinvolgimento della NATO nella guerra poiché questi missili possono essere lanciati solo da tecnici specializzati dell’Alleanza, sulla base di dati satellitari americani.
L’unica cosa che è cambiata, rispetto ad alcuni mesi fa, è l’elezione di Trump alla presidenza. La scusa ufficiale avanzata dalla Casa Bianca – in base alla quale la decisione di dare l’autorizzazione ad impiegare gli ATACMS per colpire obiettivi in territorio russo sarebbe conseguenza della scelta di Mosca di schierare truppe nordcoreane nella regione di Kursk contro gli ucraini – non sta in piedi.
In primo luogo, sebbene sia abbastanza assodato che alcune migliaia di soldati nordcoreani si stiano addestrando da qualche parte in Russia, non vi è alcuna prova che essi siano stati dispiegati a Kursk o abbiano preso parte ad azioni di combattimento.
Un simile quantitativo di truppe, peraltro, non sarebbe in grado di alterare gli equilibri del conflitto, costituendo semmai un ulteriore grattacapo per i comandi russi. Le truppe di Mosca e quelle di Pyongyang non hanno infatti alcuna tradizione di esercitazioni militari congiunte, né tantomeno un’esperienza pregressa di combattimento coordinato in una guerra vera.
Ostacolare ogni tentativo negoziale
Dunque, pare logico concludere che la decisione di Biden di autorizzare attacchi con missili a lunga gittata sul territorio russo abbia essenzialmente una finalità politica piuttosto che militare, quella cioè di frapporre un ulteriore ostacolo all’annunciato tentativo di Trump di giungere ad una soluzione negoziata del conflitto.
Mike Waltz, candidato da Trump al ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha confermato che l’amministrazione entrante non ha ricevuto comunicazioni dalla Casa Bianca sulla decisione relativa agli ATACMS.
Si tratta dunque di una violazione del normale protocollo in base al quale i funzionari dell’amministrazione entrante vengono informati da quella uscente su scelte che riguardano la sicurezza nazionale, e spesso sono addirittura sollecitati ad esprimere un parere in proposito.
Il lancio di missili a lunga gittata contro obiettivi in territorio russo apre dunque una fase di ulteriore incertezza in Ucraina che si protrarrà almeno fino all’insediamento di Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio.
Questa fase segna un ulteriore coinvolgimento di alcuni paesi NATO nel conflitto, e presenta nuovi rischi di escalation a seconda degli obiettivi che tali paesi decideranno di colpire.
Come già accennato, la decisione ultima su quali obiettivi selezionare in territorio russo spetta infatti a USA, Gran Bretagna, ed eventualmente Francia, visto che sono questi attori ad avere il controllo sulle operazioni di lancio dei suddetti missili.
Tale fatto è per certi versi più rassicurante dell’eventualità che sia l’Ucraina ad impiegare questi vettori in piena libertà, visto che il governo di Kiev ha mostrato un chiaro interesse a creare le condizioni per un’escalation che risucchi la NATO in uno scontro diretto con Mosca.
Varie indicazioni fanno invece intendere che diverse limitazioni all’utilizzo di tali armi, in particolare nella selezione degli obiettivi, permangano. Ma il fatto che paesi NATO colpiscano direttamente con propri missili bersagli in territorio russo rappresenta in ogni caso un atto di guerra.
Da rilevare anche che l’amministrazione Biden non ha rilasciato una esplicita dichiarazione per spiegare le motivazioni di una decisione così rischiosa, se si eccettua la pallida scusa legata alle truppe nordcoreane.
Se il presidente americano avesse voluto tentare di intimidire Mosca con una mossa di questo genere, avrebbe avuto senso farlo tempo fa, e non a due mesi dalla scadenza del proprio mandato. Tanto più che, secondo fonti USA, in Ucraina vi sono appena una cinquantina di ATACMS, una quantità assolutamente non in grado di alterare l’andamento del conflitto, come ha ammesso lo stesso Segretario alla Difesa Lloyd Austin.
Ancor più singolare la scelta di un paese europeo come la Gran Bretagna di seguire l’esempio di Biden. Se il presidente russo Putin può avere qualche indugio ad alzare eccessivamente il livello dello scontro con Washington, sperando che con Trump sia possibile avviare un negoziato, Londra risulta certamente più esposta ad un’eventuale rappresaglia russa, e rischia allo stesso tempo di guastare i propri rapporti con l’amministrazione USA che si insedierà a gennaio.
Più in generale, l’Europa non ha alcuna speranza di poter continuare a sostenere l’Ucraina nel conflitto contro la Russia qualora gli Stati Uniti dovessero cessare il proprio appoggio militare a Kiev, visto che l’industria della difesa del vecchio continente non sarebbe assolutamente in grado di sopportare un simile sforzo bellico.
Kiev verso la sconfitta
Ma è lo stesso calcolo di Biden ad essere disperato. Anche volendo, gli Stati Uniti non sarebbero in grado di rimpinguare adeguatamente le scarse riserve di ATACMS di cui dispone l’Ucraina, perché essi stessi ne hanno un numero limitato.
Questa osservazione rientra nel discorso più ampio sui limiti dell’industria bellica di Washington e sulle scarse disponibilità dei suoi arsenali.
Semplicemente, la base industriale statunitense non riesce a tenere il passo con i molteplici impegni militari di Washington all’estero. Essa non ha modo di soddisfare il fabbisogno ucraino di proiettili d’artiglieria da 155 millimetri, di missili per la difesa aerea di Kiev, e di altri armamenti.
Vi è poi un problema ancor più insolubile che è quello della scarsità di soldati, a cui l’Ucraina non può porre rimedio.
Fin dall’inizio del conflitto, era prevedibile che Kiev, potendo contare su una popolazione numericamente molto inferiore a quella della Russia, avrebbe finito per esaurire gli uomini in grado di servire nell’esercito.
La necessità di controllare un fronte così esteso, e le enormi perdite subite, fanno sì che l’Ucraina non abbia più il tempo necessario per addestrare adeguatamente le proprie reclute.
La Casa Bianca sta esercitando forti pressioni su Kiev affinché abbassi a 18 anni l’età minima per poter essere chiamati alle armi. Ma diminuire ulteriormente l’età del reclutamento servirebbe solo a rendere ancor più impopolare il governo ucraino, fornendo al tempo stesso solo carne da cannone del tutto impreparata alle terribili condizioni del fronte.
A causa di questa situazione, nelle ultime settimane diversi media occidentali di ampia diffusione hanno ammonito che il fronte ucraino avrebbe potuto collassare sotto la pressione della spinta militare russa.
Le forze di Mosca stanno avanzando da Kupiansk, nella regione di Kharkiv, a Kurakhovo, un centro la cui caduta potrebbe rivelarsi fatale per la tenuta di Pokrovsk, altro snodo chiave nell’oblast di Donetsk.
E il governo ucraino teme perfino un’imminente offensiva russa sulla città di Zaporizhzhia. Nel frattempo, nella regione russa di Kursk, le truppe ucraine hanno perso più del 40% dell’esiguo territorio conquistato ad agosto.
Mosca ha ripreso con estremo vigore la propria campagna di bombardamenti volta a degradare la rete elettrica ucraina, con conseguenze che potrebbero essere molto pesanti per la popolazione civile ma anche per il funzionamento della macchina bellica ucraina.
La situazione è talmente grave per Kiev da spingere ormai numerosi responsabili americani ad ammettere privatamente che entro alcuni mesi il governo ucraino sarà costretto comunque a negoziare con Mosca, ed a cedere una parte dei propri territori.
Nuova dottrina nucleare russa
Mosca ha replicato con durezza agli attacchi missilistici occidentali in territorio russo.
In risposta a tali attacchi, Putin ha firmato la versione revisionata della dottrina nucleare russa che abbassa la soglia dell’impiego di armi atomiche da parte di Mosca.
In particolare, la nuova versione afferma che il Cremlino può fare ricorso all’arma nucleare anche nel caso di un’aggressione contro la Russia e/o la Bielorussia (paese alleato di Mosca) con armi convenzionali tale da rappresentare una “minaccia critica alla loro sovranità e/o integrità territoriale”.
Un altro inedito caso che prevede la possibilità di ricorrere alla forza nucleare da parte di Mosca è quello dell’impiego di armi atomiche, o di altre armi di distruzione di massa, da parte di un avversario contro formazioni militari e/o infrastrutture della Federazione Russa situate al di fuori del territorio della Russia.
Ad attirare particolarmente l’attenzione è l’articolo 11, in base al quale “l’aggressione contro la Federazione Russa e/o i propri alleati da parte di un qualsiasi Stato non-nucleare, con la partecipazione o il supporto di uno Stato nucleare, è considerata come un attacco congiunto da parte di entrambi”.
Questo articolo è fondamentale poiché attribuisce una comune responsabilità all’Ucraina, ai paesi non-nucleari della NATO, ed alle potenze nucleari dell’Alleanza (USA, Gran Bretagna e Francia). Kiev risulta perciò legata, da tale dottrina, alla potenziale minaccia atomica rivolta alla Russia e/o alla Bielorussia dalle tre potenze nucleari della NATO.
Oreshnik cambia le regole del gioco
Il Cremlino non si è limitato soltanto ad approvare una nuova dottrina nucleare, ma ha risposto sul campo con il lancio di un nuovo missile ipersonico denominato Oreshnik, che ha colpito la fabbrica Yuzhmash nella città di Dnipro, un impianto sotterraneo fortificato di era sovietica che produce missili, satelliti e motori spaziali.
Oreshnik è un missile balistico di raggio intermedio (5.500 km) in grado di ospitare 6 testate, ciascuna delle quali può rilasciare fino a 6 submunizioni.
Sebbene i missili balistici di questo tipo siano normalmente progettati per ospitare testate nucleari, Oreshnik può anche farne a meno: il suo segreto è la capacità di raggiungere una velocità di Mach 10 (pari a 10 volte la velocità del suono, ovvero oltre 3 km al secondo).
Piombando a velocità ipersonica sul proprio obiettivo, un missile di questo tipo è in grado di accumulare un’energia cinetica tale da penetrare in profondità anche strutture fortificate polverizzandole, grazie alle temperature sprigionate.
Secondo Ted Postol, esperto americano che ha lungamente lavorato presso il Massachusetts Institute of Technology, si tratta di un’arma “completamente nuova”. I messaggi inviati dal Cremlino rivelando questo missile di nuova concezione sono molteplici.
In primo luogo Mosca ha dimostrato che non stava bluffando quando ha minacciato una risposta commisurata all’attacco di missili occidentali sul suolo russo.
Secondariamente, Oreshnik rappresenta una risposta all’uscita americana dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) nel 2019. Nel luglio di quest’anno, gli USA avevano annunciato che avrebbero dispiegato missili nucleari di raggio intermedio in Germania entro il 2026.
Mosca ha anticipato Washington, introducendo però un’arma convenzionale di nuova concezione in grado di colpire quasi ovunque in Europa in meno di 20 minuti, e praticamente impossibile da intercettare a causa della sua velocità ipersonica e della sua manovrabilità. Utilizzato in maniera massiccia, questo missile di nuova generazione può avere effetti paragonabili a quello delle armi nucleari tattiche (ma senza l’inconveniente delle radiazioni).
Oreshnik è anche una risposta all’apertura ufficiale, da parte degli USA, della base di Redzikowo in Polonia. Essa ospita il sistema missilistico Aegis Ashore, in grado di intercettare missili balistici a breve e medio raggio, ma anche di lanciare missili Tomahawk armati con testate nucleari capaci di arrivare su Mosca in pochi minuti.
I russi hanno ora aggiunto questa base alla propria lista di obiettivi prioritari. Oreshnik è fra i possibili candidati in grado di distruggerla.
Infine quest’arma può rappresentare un messaggio inequivocabile rivolto ai leader ucraini nascosti nei loro bunker a Kiev.
Dopo che due nuovi attacchi con gli ATACMS hanno colpito una batteria antimissile S400 ed una base aerea a Kursk, Putin ha ammonito che i centri decisionali di Kiev potrebbero diventare un bersaglio dei missili Oreshnik, sottolineando che gli ucraini hanno più volte lanciato attacchi contro Mosca e San Pietroburgo.
Prospettive di pace e scenari allarmanti
In attesa dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, le prospettive di pace non sembrano dunque rosee, tanto più che l’Occidente non pare intenzionato a cogliere gli ammonimenti russi.
Nei giorni scorsi, Mosca si era nondimeno detta disponibile ad avviare negoziati di pace, enunciando alcune condizioni irrinunciabili per la Russia fra le quali spicca la neutralità dell’Ucraina.
Le difficoltà appaiono tuttavia numerose, dalla definizione delle concessioni territoriali che Kiev dovrebbe accettare, alle garanzie di sicurezza che dovrebbero esserle fornite, alla demilitarizzazione del paese a cui difficilmente Mosca vorrà rinunciare.
Né sono a prima vista incoraggianti le nomine di Trump che andranno a comporre un team di politica estera costituito in gran parte da falchi, sebbene talvolta stufi del conflitto ucraino. Fra tali nomine, l’ultima in ordine di tempo è quella del generale in congedo Keith Kellogg a inviato speciale per l’Ucraina.
Kellogg ha formulato un piano di pace, ma ha anche recentemente dichiarato che il lancio di missili ATACMS in territorio russo ha assicurato a Trump ulteriore potere contrattuale in un futuro negoziato con Putin.
A questi elementi di incertezza bisogna aggiungere l’enorme diffidenza ormai maturata da Mosca nei confronti degli Stati Uniti. Una diffidenza che ha spinto il ministro degli esteri Sergei Lavrov a dichiarare pochi giorni fa che una soluzione diplomatica è ancora lontana, tanto più che “Washington e i suoi satelliti sono ancora ossessionati dall’idea di infliggere una sconfitta strategica alla Russia”.
In questa stessa direzione va un recentissimo comunicato stampa dell’SVR, l’intelligence estera di Mosca, secondo il quale la NATO starebbe addirittura pianificando di inviare un contingente di 100.000 uomini in Ucraina, in guisa di forza di pace.
L’obiettivo sarebbe quello di “congelare il conflitto” (probabilmente puntando sulla persuasione che Mosca non attaccherebbe queste truppe per non correre il rischio di scatenare un terzo conflitto mondiale), e di provvedere al riarmo dell’Ucraina attraverso la ricostruzione della sua industria bellica.
Secondo il comunicato, la NATO starebbe già allestendo centri di addestramento in Ucraina che dovrebbero accogliere la mobilitazione di almeno un milione di uomini, grazie ad un’opera di reclutamento delegata sostanzialmente alle forze nazionaliste del paese.
Le truppe NATO dispiegate sarebbero polacche, rumene, tedesche e britanniche, e dovrebbero spartirsi il controllo di diverse zone del paese.
Resta da comprendere quanto sia attendibile un simile scenario, ma se non altro esso è indicativo del livello di sfiducia e sospetto che regna attualmente a Mosca nei confronti dell’Occidente.
È un disastro fin dall’inizio, che avrà come ricaduta solamente un indebolimento dell’Europa, in balia degli USA come non mai dal punto di vista militare e che prima o poi pagherà per la mentalità guerrafondaia di questi a cui noi siamo totalmente impreparati. In più, ulteriore beffa sopra il danno, arriveranno pure i dazi all’export…
Ad aumentare l'incertezza della situazione dobbiamo enumerare anche l'iniziativa del Parlamento Ue contro ogni iniziativa diplomatica con Mosca impedendo anche i passi diplomatici di ogni singolo membro Ue. Da rammentare inoltre anche il sì alle armi a lungo raggio a Kiev. Questo avventurismo europeo è sempre più frutto di una totale incapacità di comprendere in primo luogo la realtà militare, e, in secondo, di manifestare il proprio vassallaggio verso gli USA. Forse a Mosca conviene sfruttare la situazione dell'impreparazione occidentale utilizzando massicciamente il nuovo missile in modo da impedire qualsiasi reazione da parte ucraina. La situazione è esplosiva.