Impasse militare e strategica dell’Occidente in Ucraina
Arroganza e impreparazione, e inadeguatezza dell’industria bellica, hanno portato Kiev e gli alleati occidentali a sopravvalutare le proprie forze. Il caso dei documenti trafugati del Pentagono.
la “sbornia” di propaganda del primo anno di conflitto in Ucraina, la quale ha fatto credere all’opinione pubblica occidentale che l’intervento russo era stato un totale fallimento, e che Mosca sarebbe stata sbaragliata militarmente sul campo, una realtà molto diversa sta emergendo, seppure a fatica, perfino sui media di grande diffusione.
Le forze russe stanno avanzando lentamente ma costantemente su tutto il fronte del Donbass, in particolare in corrispondenza della cittadina di Bakhmut, ormai sul punto di cadere, ma anche di Avdiivka, punto strategico da cui le forze ucraine bombardavano ininterrottamente Donetsk, capitale dell’omonima provincia.
La caduta delle linee difensive pesantemente fortificate di Siversk-Bakhmut-Toretsk e Marinka-Piski-Avdiivka (un risultato che i russi potrebbero raggiungere entro l’estate) costringerebbe gli ucraini a ripiegare sull’asse Kostantivka-Slavyansk-Kramatorsk, l’ultima linea difensiva del Donbass, e forse quella meno fortificata. In altre parole, l’attuale avanzata russa potrebbe portare, entro alcuni mesi, alla perdita di tutto il Donbass da parte delle forze ucraine.
Intanto la cosiddetta “controffensiva di primavera”, da tempo annunciata da Kiev con l’obiettivo di tagliare il corridoio terrestre russo che unisce la Crimea al Donbass, e forse addirittura di attaccare la Crimea stessa, non è ancora partita a causa di ritardi nella composizione delle nuove brigate ucraine, nella consegna degli armamenti occidentali, e nell’addestramento delle nuove reclute.
E, da qualche tempo ormai, trapelano voci su possibili dissidi fra Washington e il governo di Kiev. Il Pentagono ha fatto capire di ritenere l’annunciata controffensiva più importante di Bakhmut, la cui difesa a oltranza sottrae preziose risorse allo sforzo bellico in preparazione.
Ma i generali ucraini temono che la caduta di Bakhmut possa mettere a rischio la tenuta dell’intero del fronte del Donbass. Ciò costringerebbe Kiev ad inviare precipitosamente rinforzi che verrebbero sottratti alla controffensiva appena lanciata, o in fase di lancio, portandola al fallimento.
In altri termini, pur partendo da punti di vista diversi, Kiev e Washington si trovano entrambe di fronte a un serio problema di insufficienza di uomini e armi, che porta l’esercito ucraino a rischiare di perdere su uno o più fronti.
D’altra parte, la Casa Bianca ha ammonito il governo del presidente Zelensky che gli USA non potranno continuare a finanziare Kiev a questi livelli a tempo indeterminato. Secondo fonti dell’establishment americano, l’amministrazione sarebbe intenzionata ad attendere la controffensiva ucraina per poi ridefinire gli obiettivi dell’intera campagna, fra l’estate e l’autunno, in base all’esito di tale controffensiva.
A prescindere dai risultati, tuttavia, il punto chiave non è che gli USA smetteranno di sostenere l’Ucraina, ma che non sono in grado di assicurarle un vantaggio decisivo sul campo di battaglia. A un certo punto Washington sarà costretta a scegliere se puntare a un negoziato, oppure a un conflitto congelato. Sempre che lo svantaggio militare ucraino non si tramuti in rotta.
Ritorno alla realtà
Il divario fra propaganda e realtà traspare perfino da un recente editoriale di David Ignatius , giornalista del Washington Post noto per le sue connessioni con l’intelligence americana. L’articolo, dall’emblematico titolo “Why does this good moment for America feel so bad?”, elenca i presunti successi di Washington per poi ammettere che, a dispetto di essi, in Ucraina si è giunti a una fase di stallo.
Per Ignatius, il maggior successo dell’Occidente coincide con il “fallimento russo” in Ucraina (fallimento parziale e tutt’altro che definitivo, bisognerebbe aggiungere, alla luce dell’evoluzione del conflitto). Un risultato ottenuto “a buon mercato” dagli Stati Uniti, anche se – ammette il giornalista americano – al prezzo di “terribili sofferenze per i coraggiosi ucraini”.
Un altro successo occidentale consisterebbe nella ritrovata “unità europea” sotto la forte leadership americana. Secondo Ignatius, indipendentemente da come finirà il conflitto, l’Occidente sarebbe più solido perché l’Europa si è liberata dalla dipendenza dall’energia russa.
Inoltre, la NATO sarebbe divenuta più forte grazie all’ingresso della Finlandia, e forse presto della Svezia, mentre il suo baricentro si è spostato a nordest verso la Polonia e i paesi baltici.
Gli USA si sarebbero rafforzati anche nei confronti della Cina, grazie al consolidamento della partnership di sicurezza con il Giappone e ad un (alquanto bizantino) accordo sulla costruzione di sottomarini nucleari raggiunto dall’AUKUS, raggruppamento che riunisce USA, Regno Unito ed Australia.
Di fronte a questi risultati se non altro opinabili, Ignatius riconosce che l’umore fra gli strateghi e gli esperti americani di politica estera è improntato al pessimismo, per le seguenti ragioni: l’amministrazione non ha articolato degli obiettivi chiari nel conflitto, e il presidente ucraino Zelensky ha posto delle condizioni negoziali difficilmente raggiungibili, ovvero la liberazione di tutti i territori occupati dai russi inclusa la Crimea.
In conseguenza di ciò, quella statunitense in Ucraina è una strategia per giungere al più ad uno stallo, non certo ad una vittoria. L’unica speranza americana è una controffensiva da parte di Kiev che respinga i russi quel tanto da permettere a Zelensky di persuadere gli ucraini ad avviare colloqui sulla Crimea ed altre spinose questioni.
Come si vede, siamo di fronte a obiettivi nebulosi e aleatori, per raggiungere i quali vi è una crescente consapevolezza, negli ambienti americani, che le risorse militari sono probabilmente insufficienti.
Il misterioso caso dei documenti del Pentagono
E’ il quadro tratteggiato anche dagli ormai famosi documenti trafugati del Pentagono, poi apparsi su alcuni social media. Da essi emerge che le difese fortificate russe e “le perduranti deficienze ucraine nell’addestramento e nelle forniture di munizioni probabilmente ostacoleranno i progressi ed aggraveranno le perdite durante l’offensiva” di Kiev in corso di pianificazione.
Dai documenti si evince che per la controffensiva ucraina sarebbero state approntate 12 brigate, 9 delle quali equipaggiate dalla NATO, mentre solo 3 sarebbero fornite indipendentemente da Kiev. Alla luce dei mezzi militari realmente consegnati, molte delle 9 brigate NATO sarebbero pesantemente sottodimensionate.
L’altro dato che emerge è la drammatica scarsità di munizioni di artiglieria: l’Ucraina sarebbe arrivata a sparare appena 1.100 colpi al giorno contro i 20.000 russi. Anche questo dato conferma una tendenza già accertata.
Ma il dato più allarmante per gli ucraini è la crescente crisi della sua difesa antiaerea. Kiev starebbe esaurendo le munizioni per i sistemi S-300 e BUK di era sovietica, ormai prodotte quasi solo in Russia. Agli attuali tassi di consumo, tali munizioni potrebbero finire addirittura entro i primi di maggio, lasciando senza protezione la maggior parte delle infrastrutture vitali del paese al di fuori della regione di Kiev.
Anche i sistemi antiaerei NASAMS e Iris-T forniti da USA, Norvegia, Canada e Germania sarebbero a corto di munizioni. Ciò potrebbe influire negativamente sulla capacità ucraina di ammassare truppe e di condurre una controffensiva.
Per questo motivo, all’inizio di aprile l’amministrazione Biden ha annunciato l’invio addizionale di intercettori e munizioni per la difesa antiaerea all’interno di un nuovo pacchetto di aiuti da 2,6 miliardi di dollari, finalizzato in parte anche a sostenere la pianificata controffensiva ucraina.
Fra i sistemi di difesa antiaerea inviati dall’Occidente spiccano i Patriot PAC-3 di produzione statunitense e gli Aster 30-SAMP/T di produzione italo-francese. Si tratta tuttavia di sistemi abbastanza nuovi, e ciò significa che le scorte di munizioni finora prodotte per essi sono relativamente esigue.
Anche in questo caso, dunque, il consumo ucraino porterà facilmente all’erosione degli arsenali occidentali, come già avvenuto per altri sistemi d’arma, tanto più se si tiene conto che gli attuali livelli di produzione sono insufficienti. Il Pentagono acquista solo 230 intercettori PAC-3 all’anno, mentre Francia e Italia hanno da poco firmato contratti per la produzione di 700 missili Aster che saranno consegnati nei prossimi anni.
Autenticità controversa
Si è discusso a lungo sull’autenticità dei documenti trafugati, e il parere di osservatori ed esperti non è unanime. Vale la pena tuttavia fare alcune osservazioni prendendo in esame i possibili scenari.
A sostegno della tesi secondo cui i documenti sarebbero (almeno in parte) autentici, vi è l’incredibile minuzia di particolari e la varietà dei dati che essi contengono, i quali tratteggiano un quadro coerente e privo di contraddizioni, e soprattutto in armonia con una serie di informazioni già note da altre fonti (come vedremo nel prosieguo dell’articolo).
In questo caso, è stato suggerito che i documenti potrebbero essere stati trafugati da esponenti del Pentagono che si oppongono all’attuale linea della Casa Bianca, preferendole la ricerca di una soluzione negoziata – qualcosa di simile potrebbe essersi già verificato in occasione delle rivelazioni divulgate dal giornalista investigativo Seymour Hersh sul presunto sabotaggio dei gasdotti Nord Stream per mano degli Stati Uniti.
L’esistenza di una “fronda” all’interno dell’amministrazione non deporrebbe certo a favore della stabilità interna e della credibilità internazionale di Washington.
Oppure, come le notizie più recenti lascerebbero intendere (ma la cautela è d’obbligo) potrebbe trattarsi di un “cane sciolto”, cosa già accaduta in passato. L’FBI ha infatti arrestato Jack Teixeira, un ventunenne impiegato nella sezione dell’intelligence dell’Air National Guard del Massachusetts, che avrebbe trafugato i documenti per poi pubblicarli su una chat privata.
Nel caso in cui i documenti fossero invece un falso divulgato per confondere gli avversari di Washington, si tratterebbe di un tentativo alquanto disperato da parte americana, compiuto al prezzo di guastare i rapporti con una serie di paesi alleati.
Nei documenti sono infatti presenti rivelazioni compromettenti per alcuni paesi tradizionalmente schierati con gli USA (da Israele, la cui agenzia del Mossad avrebbe incoraggiato le proteste contro il governo Netanyahu, a Francia e Gran Bretagna, che schiererebbero forze speciali sul territorio ucraino, agli Emirati Arabi Uniti, la cui intelligence avrebbe stretto legami con quella russa a danno degli USA).
Nel complesso, dunque, l’affaire dei documenti trafugati rappresenta l’ennesimo episodio imbarazzante che, in entrambi gli scenari appena citati, non rafforza di certo il prestigio di Washington.
Inadeguatezza dell’industria bellica occidentale
Come accennato, a sostegno dell’autenticità (di almeno una parte) dei documenti vi è il quadro, certamente scoraggiante per Kiev e per gli USA, ma coerente nei dettagli e nel suo insieme, che essi tratteggiano sulla situazione militare dell’Ucraina e dell’Occidente. Un quadro che era già noto agli addetti ai lavori, e che può essere in gran parte ricostruito facendo ricorso a fonti esterne a tali documenti.
In particolare, l’allarme sulla carenza di munizioni e sugli insufficienti rifornimenti inviati a Kiev era stato già lanciato a metà dello scorso anno. Uno studio del britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies (RUSI) ammoniva che un conflitto ad alta intensità come quello ucraino avrebbe comportato un incredibile consumo di equipaggiamento, veicoli e munizioni, richiedendo quindi una vasta base industriale per rimpiazzare questo materiale.
I paesi occidentali – ricordava lo studio – hanno negli anni ridimensionato la propria capacità industriale militare, sacrificando la quantità in favore di efficienza e qualità. Ma “questa strategia si basa su ipotesi errate riguardo al futuro della guerra”, influenzate dai conflitti a bassa intensità combattuti recentemente dall’Occidente (contro avversari come i Talebani, l’ISIS, ed altri attori non-statuali).
Attualmente – concludeva il rapporto – l’Occidente non ha la capacità industriale per combattere un conflitto su vasta scala.
Gli faceva eco pochi mesi più tardi un articolo apparso sul National Interest, che poneva l’accento su “due gravi problemi di sicurezza nazionale” che avrebbero potuto compromettere gli sforzi dell’amministrazione Biden per sostenere militarmente l’Ucraina: le inadeguate scorte di munizioni, e “le difficoltà che la base industriale del settore della difesa deve affrontare per aumentare rapidamente la produzione di armamenti di importanza cruciale”.
“È stato a lungo riconosciuto sia all'interno che all'esterno del governo”, proseguiva l’articolo, “che l'inventario di munizioni del Pentagono, in particolare di armi di precisione, è insufficiente a sostenere un conflitto ad alta intensità che duri più di pochi mesi. Né la base industriale per le munizioni né le catene di approvvigionamento sono in grado di rifornire rapidamente le scorte esaurite, o aumentare la produzione di sistemi d'arma di importanza cruciale. È necessaria un'azione immediata per affrontare questi due problemi”.
Cosa che però non è avvenuta con la dovuta celerità. In Ucraina il conflitto è divenuto essenzialmente uno scontro di artiglieria, con le forze di Kiev che si sono trovate ad essere bersagliate da 20.000 granate e razzi al giorno. Gli ucraini hanno inizialmente risposto con oltre 7.000 proiettili al giorno, poi ridottisi progressivamente.
Gli Stati Uniti attualmente producono 180.000 proiettili da 155 mm all’anno, mentre l’Europa ne ha prodotti circa 300.000 lo scorso anno. Questa produzione, complessivamente, ammonta a mala pena a tre mesi di consumo da parte delle forze ucraine.
Washington ora vuole arrivare a produrre fino a un milione di queste munizioni all’anno, ma gran parte della nuova capacità produttiva non sarà disponibile prima del 2024, o addirittura del 2028.
Un problema ancor più pressante è rappresentato dalle munizioni guidate, come i Javelin e gli Stinger. Anche ai nuovi ritmi di produzione, rimpiazzare gli 8.500 Javelin consegnati all’Ucraina richiederà circa 7 anni, mentre per sostituire i 1.600 Stinger ricevuti da Kiev ci vorranno più di 6 anni.
Problemi analoghi incontra la produzione di munizioni per i sistemi lanciarazzi HIMARS, che passerà dai 10.000 ai 14.000 razzi, ma non prima del 2024.
La difficoltà sta nella fragilità delle catene di fornitura, nella scarsità di manodopera specializzata, nella difficoltà di reperire semiconduttori e componentistica. In Europa, a questi problemi si aggiunge la frammentazione dell’industria bellica, poiché i diversi paesi tendono a proteggere le proprie compagnie nazionali.
Il crescente costo dei materiali e dell’energia, e la dipendenza dalle importazioni da paesi terzi, limiteranno ulteriormente la ripresa della produzione bellica europea.
La via ineludibile del negoziato
Malgrado un bilancio della difesa che supera abbondantemente gli 800 miliardi di dollari l’anno, gli USA dissipano queste risorse su fronti troppo numerosi (negli anni passati soprattutto in Afghanistan e Medio Oriente), in progetti eccessivamente sofisticati e costosi, e in una colossale burocrazia militare.
La riduzione delle scorte di munizioni lascia gli Stati Uniti particolarmente esposti di fronte all’eventualità di un ulteriore conflitto, che potrebbe vedere Washington scontrarsi con la Cina su Taiwan.
Nel 2022, il Center for Strategic and International Studies (CSIS) condusse una simulazione di guerra che ipotizzava un’invasione anfibia cinese di Taiwan nel 2026. La simulazione rivelò che gli USA avrebbero esaurito alcuni essenziali tipi di munizioni di precisione e a lunga gittata in meno di una settimana.
Un rapporto del CSIS ha confermato che gli Stati Uniti non sono pronti per un conflitto armato con la Cina.
Alla luce di queste considerazioni, in Ucraina il tempo non gioca a favore dell’esercito di Kiev, che già adesso è costretto a razionare l’uso delle munizioni di artiglieria, a rimpiazzare le perdite con uomini scarsamente addestrati, ed a contare su una difesa antiaerea sempre meno efficace.
Ritardare ulteriormente la ricerca di una soluzione negoziata del conflitto potrebbe portare Kiev sull’orlo di una pesante sconfitta militare, e Washington a dover scegliere tra un umiliante fallimento ed un coinvolgimento ancor più diretto degli USA e dei propri alleati. Un coinvolgimento che, lungi dal garantire una vittoria all’Ucraina, spingerebbe il mondo a un passo dal baratro.