Il misterioso viaggio di Kissinger in Cina
L’arrivo di un ultracentenario nella capitale cinese segnala il serio deterioramento dei rapporti fra Washington e Pechino, ma anche uno scontro all’interno dell’establishment USA.

Se una figura storica come Henry Kissinger – segretario di stato ai tempi di Nixon che ha da poco superato la soglia dei cent’anni – ritiene, alla sua veneranda età, di dover affrontare il rischio di un viaggio aereo di 14 ore per parlare con la leadership cinese, deve probabilmente spingerlo una valida motivazione.
Tale motivazione è data essenzialmente dal peggioramento delle relazioni fra le due principali superpotenze mondiali.
Crisi fra due paesi economicamente interconnessi
Dopo la guerra commerciale avviata da Trump, l’amministrazione Biden ha ritenuto di preservare il primato tecnologico americano tagliando fuori la Cina dal mercato globale dei microchip più avanzati.
La Casa Bianca ha inoltre dato nuovo impulso a una strategia di accerchiamento nei confronti di Pechino incentrata sul rafforzamento dei rapporti militari con gli alleati degli USA in Asia e nel Pacifico. La Cina vuole che Washington riconsideri queste scelte, incluso l’appoggio sempre più aperto concesso a Taiwan.
Malgrado la crescente rivalità fra le due superpotenze, le loro economie rimangono fortemente interconnesse.
La Cina è tuttora il terzo partner commerciale degli USA, dopo Canada e Messico. Le importazioni statunitensi dalla Cina hanno toccato i 563,6 miliardi di dollari lo scorso anno. Pechino detiene ancora circa 1 trilione di dollari in buoni del Tesoro americano. E le principali compagnie USA (quelle quotate nell’indice Standard & Poor's 500) tuttora generano il 7,6% dei loro profitti in Cina (più del triplo di quanto ricavano in Giappone, Gran Bretagna e Germania messi insieme).
Ma gli sforzi volti a ridurre le tensioni fra i due paesi potrebbero essere ulteriormente compromessi qualora l’amministrazione Biden decidesse di imporre nuove restrizioni agli investimenti americani nelle compagnie cinesi che operano nei settori del quantum computing, dell’intelligenza artificiale e dei semiconduttori.
E’ dal 2019 che Kissinger mette in guardia sui rischi di una seconda guerra fredda, questa volta fra USA e Cina, che potrebbe rivelarsi peggiore della prima.
Rilanciare il dialogo?
Pur senza cambiare le proprie politiche, la Casa Bianca ha tentato recentemente di riavviare il dialogo pericolosamente interrotto con i cinesi.
Negli ultimi mesi, il segretario di stato Antony Blinken, il segretario al Tesoro Janet Yellen, e l’inviato speciale per il clima John Kerry, si sono recati a Pechino nel tentativo di ristabilire i contatti.
I risultati non sono stati incoraggianti. Dei tre, solo Blinken è stato ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping.
E lo stesso incontro con il segretario di stato USA, nel quale Xi sedeva a capotavola, fiancheggiato dai rappresentanti cinesi da un lato e quelli americani (fra cui lo stesso Blinken) dall’altro, ha lanciato un segnale di freddezza in netto contrasto con quello emanato dall’incontro amichevole, fianco a fianco, fra Kissinger e il presidente cinese, o addirittura dall’incontro ugualmente amichevole fra quest’ultimo e Bill Gates, giunto ad incontrare Xi pochi giorni prima di Blinken.
La ragione di tale freddezza, specificamente nei confronti dei rappresentanti dell’amministrazione Biden, è presto detta. Tali rappresentanti sono tutti giunti a Pechino sottolineando l’assoluta necessità che le due superpotenze dialoghino fra loro, tuttavia senza portare al tavolo alcuna nuova proposta né alcun cambiamento di posizione da parte statunitense.
La Yellen, ad esempio, non ha dato alcuna indicazione riguardo a una possibile disponibilità dell’amministrazione a rimuovere i dazi dell’era Trump, o le restrizioni all’esportazione di semiconduttori e di altra componentistica ad alta tecnologia, e neppure riguardo all’intenzione di non procedere con il piano di imporre ulteriori limitazioni agli investimenti USA in Cina.
Anzi, secondo alcune versioni, il segretario al Tesoro ha addirittura proposto condizioni ulteriormente svantaggiose per i cinesi.
Kissinger e i cinesi, un rapporto speciale
Di fronte all’apparente incomunicabilità tra la leadership cinese e quella americana, Pechino ha cercato canali alternativi. Ed esponenti dell’establishment USA non affiliati all’amministrazione o al Congresso, e scontenti dell’attuale linea politica statunitense, hanno cercato di fornirglieli.
Ecco dunque spiegata la probabile ragione del viaggio di Kissinger a Pechino la scorsa settimana.
Per comprendere perché proprio lui, malgrado l’età avanzata, si sia incaricato di questa missione, è necessario ricordare il ruolo storico che l’ex segretario di stato ha giocato nelle relazioni sino-americane.
Fu lui che, incontrando il premier cinese Zhou Enlai nel 1971, aprì la strada alla storica visita di Nixon a Pechino l’anno successivo. Tale visita avrebbe dato inizio alla distensione tra Cina e Stati Uniti che all’epoca ebbe lo scopo primario di isolare l’Unione Sovietica.
Non bisogna dimenticare la controversa eredità politica di Kissinger: dal sostegno al golpe di Pinochet in Cile all’appoggio nascosto alle atrocità pakistane in Bangladesh, dall’incoraggiamento delle campagne segrete di bombardamento di Cambogia e Laos da parte di Nixon al generale disprezzo per i diritti umani.
Nonostante ciò, in Cina Kissinger è riverito come una figura chiave nel processo di normalizzazione dei rapporti fra Washington e Pechino. Egli, per certi versi, è rimasto più influente ed ascoltato in Cina che non in patria.
“Chimerica”
Kissinger giocò un ruolo non soltanto nella distensione sino-americana, ma anche nella progressiva integrazione della Cina nella nascente struttura della globalizzazione statunitense fondata sul modello neoliberista.
Secondo questo schema, Pechino cominciò a fornire prodotti a basso costo ai consumatori americani, mentre la domanda statunitense favoriva la crescita cinese basata sulle esportazioni.
L’enorme surplus di dollari derivante dall’export cinese veniva reinvestito da Pechino in titoli del tesoro americano, cosa che a sua volta permetteva a Washington di finanziare crescenti deficit di bilancio.
Questo singolare matrimonio fra la superpotenza statunitense ed il suo futuro rivale sarebbe stato battezzato “Chimerica” dagli accademici Niall Ferguson e Moritz Schularick nel 2007.
Con questo concetto – che faceva riferimento alla leggendaria chimera, creatura ibrida composta da parti di differenti animali – i due intendevano simboleggiare una relazione simbiotica che legava la crescita cinese basata sulle esportazioni al modello consumista americano.
Kissinger il globalista
Dopo aver concluso la sua esperienza di segretario di stato, Kissinger fu tra i principali promotori della nascente figura del “consulente diplomatico”, che avrebbe poi annoverato esponenti illustri come Madeleine Albright e Tony Blair.
Nel 1982, egli fondò la Kissinger Associates, società di consulenza che aprì le porte della Cina a numerose compagnie americane. Ciò che egli offriva ai suoi clienti era la possibilità di accedere alle stanze del potere, non solo a Washington ma anche a Pechino.
Kissinger è dunque divenuto un rappresentante a pieno titolo di quella classe globalista che include fasce importanti della finanza e dell’imprenditoria americane, le quali considerano la globalizzazione come un sistema da preservare, anche al prezzo di un relativo ridimensionamento della leadership globale degli Stati Uniti a vantaggio di una forma di convivenza con il gigante cinese.
Sebbene negli anni Kissinger abbia preso coscienza della potenziale minaccia che l’ascesa cinese rappresenta per gli interessi statunitensi, egli ha mantenuto una visione perlopiù benigna delle relazioni sino-americane, rifiutando un approccio conflittuale con Pechino che finirebbe per danneggiare gli interessi che egli rappresenta.
La diplomazia “alternativa” di Pechino
Ed è questa forse la principale ragione della grande popolarità di cui egli continua a godere in Cina. Le caratteristiche di Kissinger si conciliano mirabilmente con il tentativo di Pechino di rivolgersi a figure di spicco al di fuori del governo americano per tentare di promuovere il punto di vista cinese negli USA.
Mentre la leadership cinese ha accolto con riluttanza le visite dei rappresentanti ufficiali dell’amministrazione Biden, da mesi riceve con tutti gli onori a Pechino i dirigenti delle principali compagnie e gruppi finanziari USA (Microsoft, Tesla, Apple, JPMorgan, ecc.).
Con questi incontri, la Cina ha voluto evidenziare la radicata collaborazione economica che esiste fra i due paesi, e i rischi insiti nel tentativo di ridefinire le catene di fornitura globali.
In occasione della visita di Bill Gates, incontrato da Xi pochi giorni prima di ricevere Blinken, il presidente cinese ha affermato che la Cina “ripone le proprie speranze nel popolo americano” riguardo alle relazioni fra le due superpotenze.
Che Bill Gates rappresenti il popolo americano è assai discutibile, ma il messaggio lanciato da Xi lasciava chiaramente intendere che Pechino ha rapporti problematici con il governo degli Stati Uniti, non con i suoi uomini d’affari o i suoi cittadini.
La stessa visita di Kissinger è stata densa di simbolismi. Egli ha avuto l’onore di parlare non solo con Xi e Wang Yi, il più alto rappresentante della politica estera cinese, ma anche con il ministro della difesa Li Shangfu che in precedenza si era rifiutato di incontrare il suo omologo americano Lloyd Austin (rifiuto dovuto al fatto che gli USA a loro volta si ostinano a non annullare le sanzioni imposte contro il ministro).
L’incontro fra Kissinger e Xi si è svolto nella pensione di stato Diaoyutai, a Pechino, esattamente lo stesso luogo in cui l’allora segretario di stato americano aveva incontrato il premier Zhou Enlai nel 1971.
Il significato di questa scelta è stato spiegato il giorno prima da Wang Yi allorché ha detto all’ospite statunitense che la politica americana ha bisogno “di una saggezza diplomatica nello stile di Kissinger, e di un coraggio politico nello stile di Nixon”.
In altre parole, la Cina auspica un ritorno allo spirito di collaborazione che animava i rapporti sino-americani durante la distensione degli anni ‘70. I tentativi di Washington di cambiare, contenere, o addirittura sopprimere la Cina sono destinati al fallimento – ha chiarito Wang Yi.
La frattura fra globalisti e sostenitori del primato statunitense
E’ tuttavia improbabile che simili appelli possano far breccia a Washington. A distanza di cinquant’anni, i rapporti fra i due paesi sono profondamente mutati. La Cina non è più un’economia insignificante da integrare nel mercato globale per sfruttarne l’enorme manodopera a basso costo, ma il primo avversario economico, politico, e militare di un’America in declino.
E nei circoli politici di Washington (così come al Pentagono, nella CIA e nel complesso militare-industriale) non vi è alcuna disponibilità ad una rinnovata apertura nei confronti di Pechino. Semmai, vi è una crescente convergenza, fra repubblicani e democratici, attorno alla convinzione che la Cina sia un rivale da contenere con ogni mezzo.
Si tratta di una convergenza che addirittura precede Trump, risalendo al cosiddetto “pivot verso l’Asia” di Obama ed al suo (fallito) progetto di creare due enormi aree di libero scambio, nell’Atlantico e nel Pacifico, per isolare Cina e Russia.
Tale convergenza certamente contrasta con alcuni grandi interessi industriali e finanziari americani a cui Kissinger ha inteso dar voce con il suo viaggio.
Lo stesso Kissinger, tuttavia, appare più isolato a Washington che a Pechino. La Casa Bianca ha tenuto a sottolineare di essere al corrente del suo viaggio, aggiungendo però che Kissinger si era recato nella capitale cinese in veste di privato cittadino.
Un concetto ribadito dal dipartimento di stato, che ha affermato che Kissinger si era recato a Pechino di sua iniziativa, e non stava agendo per conto del governo degli Stati Uniti.
Il portavoce della Casa Bianca John Kirby ha inoltre espresso il rammarico dell’amministrazione per il fatto che “un privato cittadino” abbia ricevuto, da parte cinese, un’accoglienza più amichevole rispetto a quella riservata ai rappresentanti del governo americano.
In conclusione, dunque, difficilmente la visita di Kissinger incoraggerà la riapertura di un dialogo costruttivo fra Washington e Pechino.
L’urgenza del suo viaggio ha semmai evidenziato una frattura all’interno dell’establishment statunitense.
Si tratta di una spaccatura fra coloro che, pur di salvaguardare il primato americano, sono pronti a rimettere in discussione la globalizzazione, e addirittura a tornare ad una logica di contrapposizione fra blocchi, e coloro i quali invece, pur di preservare la globalizzazione, sarebbero disposti a scendere a compromessi con Pechino.
Al momento, è il primo schieramento che sembra avere la meglio negli USA.
Con l’articolo di oggi Intelligence for the People si ferma per riprendere fiato durante il mese di agosto. Le pubblicazioni riprenderanno regolarmente a settembre!
(Nel frattempo, chi mi segue su Twitter o Telegram mi trova – in maniera un po’ più saltuaria – lì!)
Vi ringrazio per avermi seguito finora, e vi auguro una serena estate.