Holodomor, la grande carestia ucraina e la manipolazione della storia
Le campagne propagandistiche del passato e del presente inaspriscono il conflitto.
Lo scorso 26 novembre, l’Ucraina ha commemorato l’Holodomor, la grande carestia che fra il 1932 e il 1933 uccise 3-4 milioni di ucraini. La commemorazione di questo tragico evento è stata associata al conflitto attuale e all’odierna crisi alimentare internazionale.
Nel paese domina la tesi secondo cui l’Holodomor, che in lingua ucraina letteralmente significa “sterminio per fame”, sia stato il risultato di un piano genocida intenzionalmente orchestrato da Stalin nei confronti degli ucraini.
Nel 2006, Kiev ha ufficialmente riconosciuto l’Holodomor come un genocidio perpetrato dal regime sovietico ai danni del popolo ucraino. Nel corso degli anni, altri 17 paesi (molti dei quali nell’Europa dell’Est) hanno approvato mozioni che in varia misura condannano l’Holodomor come un atto di genocidio.
La scorsa settimana, anche in Germania è stata depositata in parlamento una mozione simile per attribuire all’Holodomor la stessa definizione. In Italia si sono registrate due iniziative analoghe, una promossa dal PD alcuni mesi fa, e una recentissima annunciata da Fratelli d’Italia.
In occasione della commemorazione ucraina, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva affermato che “novant’anni dopo l’Holodomor, il Cremlino sta di nuovo usando il cibo come arma”.
Proprio questo mercoledì, alcuni parlamentari tedeschi hanno ribadito l’esistenza di un parallelo fra la carestia del 1932-33 e gli eventi attuali, mentre la mozione tedesca sul genocidio veniva approvata dal parlamento.
Propaganda e verità storica
Gli storici hanno lungamente dibattuto sull’Holodomor, che è rimasto questione controversa e politicizzata per decenni. La tesi del “genocidio” è divenuta un’arma nelle mani dei nazionalisti ucraini (soprattutto nella diaspora in Canada e negli Stati Uniti) per condannare l’URSS.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in Ucraina l’Holodomor è divenuto materia di acceso dibattito fra nazionalisti e filorussi nella lotta per definire l’identità della nazione che aveva appena guadagnato l’indipendenza.
Tuttavia, soprattutto dopo aver esaminato gli archivi sovietici aperti agli storici dopo la fine dell’URSS, molti studiosi concordano sul fatto che l’Holodomor fu certamente una catastrofe di proporzioni storiche, di cui le politiche di Stalin furono in buona parte responsabili, ma non fu un genocidio intenzionalmente perpetrato ai danni degli ucraini.
La tesi secondo cui la carestia fu pianificata da Stalin, in particolare per stroncare le tendenze indipendentiste ucraine, si scontra con una serie di evidenze.
In primo luogo, la carestia non colpì solo l’Ucraina ma anche altri territori dell’Unione Sovietica, fino al Kazakistan. Le carestie erano episodi frequenti. Dalla fine della prima guerra mondiale agli anni ’20 del secolo scorso, Russia e Ucraina furono colpite più volte dalla fame e dalla scarsità di cibo, spesso accompagnate da epidemie.
La crisi del 1932-33 fu causata da condizioni meteorologiche sfavorevoli e cattivi raccolti, aggravati dalle campagne sovietiche di collettivizzazione e industrializzazione forzata.
La conseguenza fu che non vi era grano sufficiente, e la resa dei raccolti risultò molto più bassa delle previsioni ufficiali. La dirigenza sovietica, spesso non al corrente della realtà dei fatti, e ideologicamente consacrata a trascinare l'agricoltura sovietica nell’era industriale, non modificò i propri piani, addossando la colpa della scarsità di grano a sabotatori e “nemici di classe”.
Nel loro monumentale lavoro, gli accademici R. W. Davies e Stephen G. Wheatcroft hanno mostrato “le incertezze nei dati e gli errori commessi da un governo generalmente male informato ed eccessivamente ambizioso”.
Secondo i due storici, lo stato sovietico “non ha mostrato segni di un tentativo consapevole di uccidere gli ucraini in massa, ed ha messo in atto sforzi, seppur tardivi, volti ad alleviare la tragedia quando essa era divenuta evidente”.
Tuttavia, “le misure di soccorso adottate furono ovviamente tardive e non sufficienti a fare la differenza, e furono anche messe in atto in segreto, data la massima preoccupazione di coprire la catastrofe in corso”.
I due studiosi hanno anche mostrato che la carestia colpì le limitrofe province russe con uguale intensità, e che le affermazioni secondo cui la mortalità sarebbe crollata al di là del confine ucraino non sono corrette.
Una carestia “sovietica”
Un altro importante storico che ha approfondito la questione è Stephen Kotkin. Egli condanna la spietatezza delle politiche di Stalin, che semplicemente accusava i contadini di non voler lavorare. “La propaganda del regime rimproverava i profughi affamati che assediavano le città perché ‘si spacciavano per contadini collettivizzati in rovina’”.
Tuttavia, aggiunge Kotkin, la carestia non fu intenzionale. Essa risultò dalle politiche staliniane di forzata collettivizzazione-dekulakizzazione (i kulaki erano i contadini benestanti, che possedevano terreni e avevano alle proprie dipendenze altri contadini), ma anche dalla gestione spietata e incompetente delle campagne di semina e approvvigionamento, che posero il paese alla mercé di siccità e piogge torrenziali improvvise.
Secondo Kotkin, Stalin aveva realmente immaginato che l’aumento delle dimensioni delle fattorie, la meccanizzazione, e l’efficienza collettiva avrebbero accresciuto la produzione agricola. Per due volte egli si illuse (anche a causa di falsi rapporti da parte di impauriti esperti di statistica) che il paese si stava riprendendo.
Alla fine Stalin tentò di correre ai ripari, ma ciò non impedì la fame su vasta scala di fronte a condizioni climatiche avverse. Ciò però non implica che egli volesse intenzionalmente sterminare i contadini e – a maggior ragione – l’etnia ucraina.
In Kazakistan si ebbe una catastrofe analoga, e addirittura peggiore in termini complessivi, causata in questo caso dalle politiche staliniane di “denomadizzazione”. Più di 1,5 milioni di kazaki perirono, corrispondenti a circa un quarto della popolazione.
Questo, ed episodi analoghi in altri territori dell’URSS, confermano che non si trattò di una carestia “ucraina”, ma sovietica.
Bisogna poi considerare il contesto storico più ampio.
La rivoluzione russa del 1917 era stata seguita da una lunga guerra civile e dall’intervento armato di potenze straniere (fra cui USA, Gran Bretagna e Canada). Le distruzioni di quegli anni, insieme a una grave siccità, avevano portato alla carestia russa del 1921-22.
La modernizzazione e l’industrializzazione del paese erano perciò considerate dalla leadership sovietica essenziali per la sopravvivenza del socialismo in un ambiente internazionale ostile.
La collettivizzazione dell’agricoltura e un ambizioso programma di industrializzazione furono gli elementi principali del primo piano quinquennale varato nel 1929.
Per sostenere una rapida industrializzazione, l’URSS incrementò drasticamente le importazioni, in particolare di macchinari americani e britannici. Per pagarli, vendeva grandi quantitativi di grano e materie prime sui mercati internazionali.
Accusando Mosca di fare “dumping” volto a minare il capitalismo, gli Stati Uniti limitarono le importazioni sovietiche, la Francia impose sanzioni e la Gran Bretagna interruppe il commercio con l'URSS.
Guerra Fredda, campagna antisovietica, e antirussa
Negli anni successivi, tuttavia, mentre all’interno dell’URSS si tendeva a negare che la carestia del 1932-33 avesse del tutto avuto luogo, in Occidente i fattori climatici ed il contesto internazionale ostile vennero ignorati, mentre fu enfatizzata la presunta motivazione “anti-ucraina” delle politiche staliniane responsabili della catastrofe.
La campagna tesa a descrivere la carestia come un genocidio intenzionale fece la sua prima comparsa sulla stampa nazista nel 1933, per poi essere ripresa in Gran Bretagna e negli Stati Uniti negli anni successivi.
L’obiettivo era quello di isolare l’Unione Sovietica, ma anche di scoraggiare la crescente militanza della classe lavoratrice durante la Grande Depressione.
Tra i principali promotori di questa campagna furono poi i nazionalisti ucraini giunti a migliaia in Nord America nel secondo dopoguerra, tra cui molti simpatizzanti e collaborazionisti nazisti (ne ho parlato diffusamente in questo articolo).
Ironia vuole che tali nazionalisti, inizialmente radicatisi nella Galizia orientale negli anni ’30, provenivano da un territorio che non era ancora parte dell’Ucraina e dell’Unione Sovietica all’epoca dell’Holodomor.
Il loro interesse a promuovere la campagna sull’Holodomor in chiave antisovietica coincideva tuttavia con quello della propaganda occidentale contro Mosca ai tempi della Guerra Fredda.
Pur rimanendo sempre viva, tale campagna ha registrato un nuovo revival ai tempi della presidenza Reagan, per poi giungere fino ai nostri giorni.
L’interpretazione dell’Holodomor predominante in Occidente è figlia di questa campagna, che non solo attribuisce a Stalin un intento chiaramente genocida, ma tende ad ingigantire il numero delle vittime della carestia portandolo a 7 o addirittura 10 milioni (dunque superiore all’Olocausto ebraico).
In Canada, che ospita una numerosa diaspora ucraina con una forte componente nazionalista, l’Holodomor è riconosciuto per legge come un atto di genocidio “deliberatamente pianificato ed eseguito dal regime sovietico sotto Joseph Stalin, per distruggere sistematicamente le aspirazioni del popolo ucraino a un’Ucraina libera e indipendente”.
Chrystia Freeland, vicepremier e ministro delle finanze canadese, ha costantemente sostenuto la causa dell’Holodomor (i nonni materni della Freeland fuggirono dall’Ucraina nel 1939, e lei li descrisse come “esuli politici con la responsabilità di mantenere viva l'idea di un'Ucraina indipendente”; il nonno fu caporedattore di un giornale nazista nella Polonia occupata).
Come hanno sottolineato diversi accademici – tra cui John-Paul Himka, che casualmente è proprio uno zio della Freeland – molte delle narrazioni sulla carestia come genocidio, promosse dai nazionalisti ucraini, sono soffuse di antisemitismo. Gli ebrei – che in realtà furono tra le vittime dell’Holodomor – in queste narrazioni vengono identificati con i comunisti e descritti come complici dello sterminio dell’etnia ucraina.
La narrazione dell’Holodomor come genocidio intenzionale è promossa anche negli Stati Uniti da think tank come l’Atlantic Council ed esponenti neocon come Anne Applebaum, che ha scritto il libro “Red Famine: Stalin's War on Ukraine”.
Manipolazione del passato e del presente
Tuttavia, come ho già accennato, gli storici che hanno esaminato gli archivi sovietici non hanno trovato traccia dell’esistenza di un piano (o del semplice desiderio) di Stalin e del suo alto comando di sterminare il popolo ucraino.
Secondo Wheatcroft, lo stesso Robert Conquest – lo storico che rese popolare la teoria del genocidio nel suo libro The Harvest of Sorrow: Soviet Collectivization and the Terror-Famine – ha in qualche modo ammorbidito le sue posizioni quando sono state condotte nuove ricerche d'archivio dopo la fine dell'Unione Sovietica.
Wheatcroft scrive che, posto di fronte ai nuovi dati forniti da lui e Davies, Conquest affermò che non era sua opinione che Stalin avesse “inflitto di proposito la carestia del 1933. No. Quello che sostengo è che, con la risultante carestia ormai incombente, egli avrebbe potuto evitarla, ma anteponendo ‘l'interesse sovietico’ a quello di nutrire gli affamati, ne fu consapevolmente complice”.
Sembra dunque evidente che ci troviamo davanti a un caso di manipolazione della storia, finalizzata a mantenere un clima di aspra contrapposizione, dapprima nel contesto della Guerra Fredda, e ora del conflitto Russia-Ucraina e del rinnovato scontro fra Mosca e l’Occidente.
Allo stesso modo, appare fuorviante fare paragoni fra l’Holodomor e la questione del grano ucraino nel contesto dell’odierna crisi alimentare internazionale, come hanno fatto Ursula von der Leyen, alcuni politici tedeschi ed europei, e lo stesso governo ucraino.
Crisi alimentare e questione del grano
Se in primo luogo va sottolineato che le due situazioni storiche non sono affatto paragonabili, va anche evidenziato che l’attuale crisi alimentare precorre il conflitto ucraino, avendo la sua origine nella progressiva disgregazione delle catene di fornitura controllate dalle grandi multinazionali agroalimentari dopo la crisi del 2008.
Il deterioramento delle catene di fornitura fu accompagnato dall’aumento dei prezzi petroliferi, dall’esplosione della domanda dei biocarburanti (che sottraggono risorse al settore alimentare), dai crescenti costi di spedizione, dalla speculazione finanziaria, dalla crisi pandemica e dalle avverse condizioni climatiche.
Le sanzioni imposte alla Russia dopo lo scoppio del conflitto hanno ulteriormente aggravato tale crisi, essendo Mosca il primo esportatore mondiale di grano e fertilizzanti.
Inoltre, la Russia ha raggiunto con l’Ucraina, la Turchia e l’ONU, un accordo per l’esportazione del grano ucraino dai porti del Mar Nero a partire dallo scorso 1° agosto.
Come denunciato dal Cremlino, tuttavia, solo poco più del 20% del grano esportato dall’Ucraina è andato a paesi “bisognosi” (cioè a reddito medio-basso), mentre oltre il 75% ha raggiunto paesi a reddito medio e alto.
Infine, mentre il grano ucraino viene esportato, un blocco navale di fatto, da parte dell’Europa, impedisce tuttora l’esportazione dei fertilizzanti russi.
La prestazione dei servizi di trasporto, trasbordo e commercio da parte di società europee, e qualsiasi servizio correlato (operazioni assicurative, finanziarie e di intermediazione e assistenza tecnica), sono infatti vietati, anche se i fertilizzanti vengono inviati a paesi terzi (la Russia assicura il 45% delle forniture mondiali di nitrato di ammonio).
Le sanzioni europee, quindi, vanno a colpire i paesi più bisognosi del terzo mondo. La sospensione dei citati servizi europei per il transito verso paesi terzi ha conseguenze per molti paesi africani, implicando carenza di fertilizzanti, declino della produzione agricola, e aggravamento della fame.
Tacendo su questa incresciosa situazione di cui l’UE è direttamente responsabile, la von der Leyen ha invece accusato la Russia di “usare il cibo come arma”, e lodato l’iniziativa promossa dal presidente ucraino Zelensky, in coincidenza con la commemorazione dell’Holodomor, per inviare 40.000 tonnellate di grano ucraino ai paesi più poveri dell’Africa.
E’ superfluo osservare che nel corso di una guerra le operazioni propagandistiche sono la norma, ma la manipolazione della storia ha conseguenze pericolose e di lungo periodo, che inaspriscono gli antagonismi e allontanano la soluzione negoziata dei conflitti.
Grazie , come sempre molto chiaro e utile a focalizzare e contestualizzare sulla base delle evidenze storico l'attualita'.