Dopo il colpo di mano di Prigozhin, la Russia è davvero indebolita?
Il rischio maggiore per Mosca è che Washington riesca a far leva su malumori e tensioni interne.
In cosa è consistito esattamente l’effimero atto di forza compiuto dal leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin? Dal tentato golpe alla messinscena, infinite teorie sono state formulate su un evento che ancora presenta interrogativi e punti oscuri.
Ma, se le ripercussioni di questo episodio non sono ancora del tutto chiare, è ormai abbastanza evidente che si è trattato di un conflitto all’interno dell’apparato militare russo, uno scontro di potere che non aveva come obiettivo il rovesciamento del presidente Putin, ma è stato piuttosto un tentativo di forzarne la mano.
All’origine della crisi vi è la figura eccentrica ed imprevedibile di Prigozhin, l’eccessivo potere acquisito dalla sua compagnia militare, e la sua crescente rivalità con il ministero della difesa, ed in particolare con il suo massimo dirigente, Sergei Shoigu, e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov.
A complicare la questione, con la possibilità di renderla qualcosa di più di un episodio estemporaneo per quanto increscioso, vi sono i malumori e le tensioni che serpeggiano fra le varie componenti delle forze armate russe sulla gestione del conflitto ucraino.
Un’emanazione dell’esercito russo
La nascita del gruppo Wagner presenta lati misteriosi come il resto di questa storia. Nel creare le proprie compagnie militari private (CMP), i russi si ispirarono a quelle occidentali, viste come strumenti utili a dissimulare il ruolo degli stati di appartenenza in situazioni difficili e ambienti ostili. L’esempio classico è quello della famigerata Blackwater, che operò nell’Iraq occupato dagli americani.
Il gruppo Wagner si consolidò fra il 2014 e il 2015, quando mercenari russi andarono a combattere dapprima nella guerra civile divampata in Donbass, nell’Ucraina orientale, e poi in Siria. Il ricorso a queste formazioni consentiva a Mosca di porre un diaframma tra sé e focolai di conflitto particolarmente pericolosi a livello internazionale, e di tranquillizzare l’opinione pubblica in patria riguardo al livello di coinvolgimento del governo russo in tali conflitti.
La peculiarità del gruppo Wagner è che , più che una CMP, esso rappresenta una vera e propria partnership fra pubblico e privato, essendo letteralmente una costola dell’esercito russo. A livello militare, esso fu organizzato da Dmitry Utkin, veterano delle forze speciali del GRU (l’intelligence militare russa).
L’organizzazione non è una compagnia legalmente registrata in Russia. Nel 2015, l’esercito le assegnò una base di addestramento accanto ad una struttura delle operazioni speciali del GRU, nel sud del paese. Negli anni successivi il gruppo si è esteso anche in Africa (Repubblica Centrafricana, Mali, Libia, Sudan, ecc.).
Prigozhin, imprenditore nel catering e in altri settori, che si era già aggiudicato numerosi appalti pubblici, sarebbe stato contattato, secondo alcune fonti, proprio dallo stato maggiore russo per divenire patrono dell’organizzazione.
In cambio dei suoi investimenti nella Wagner, egli ottenne lucrosi contratti per fornire servizi alle forze armate. In conseguenza del suo carattere istrionico, Prigozhin è divenuto il volto pubblico dell’organizzazione (in contrasto con lo schivo Utkin), pur non possedendo alcuna formazione militare.
La sua biografia è alquanto peculiare. Dopo aver trascorso un periodo in prigione per rapina e frode negli ultimi anni dell’era sovietica, egli divenne un imprenditore di successo che gestiva ristoranti di lusso a San Pietroburgo. Verso la metà degli anni 2000, dopo aver ospitato Putin nei suoi ristoranti, Prigozhin si fece strada nella cerchia del presidente, organizzando eventi del Cremlino. Da qui l'appellativo di "cuoco di Putin" tanto diffuso in Occidente.
Prigozhin è stato dunque una figura importante della struttura informale del potere che tradizionalmente si affianca a quella ufficiale, burocratica e gerarchica, dello stato russo. Egli è tuttavia un personaggio atipico, che non ha propriamente fatto parte della cerchia più ristretta del presidente.
Dalla Siria all’Ucraina
I dissapori con il ministro della difesa Shoigu sono di vecchia data, risalendo ai tempi del dispiegamento del gruppo Wagner in Siria. Nel 2018, i suoi mercenari si resero protagonisti di un terribile scontro a fuoco con un avamposto di forze speciali americane presso l’impianto di gas Conoco nella provincia di Deir Ezzor.
L’intervento dell’aviazione americana lasciò sul terreno circa 200 combattenti Wagner. L’episodio rischiò di inasprire i già tesi rapporti fra Mosca e Washington, ed accrebbe le tensioni fra l’organizzazione di Prigozhin e l’esercito russo, il quale prese le distanze dall’attacco compiuto dal gruppo.
Naturalmente, la Wagner ha fornito numerosi vantaggi al governo russo, oltre a qualche grattacapo come quello sopracitato, essenzialmente garantendo a Mosca una “plausible deniability” nel dispiegare combattenti in zone di guerra, ma anche rappresentando una struttura “preconfezionata” per accrescere l’influenza russa negli stati che ospitavano il gruppo e ne ricercavano i servizi.
In Ucraina, però, i nodi sono venuti al pettine allorché le dichiarazioni sempre più infuocate di Prigozhin contro Shoigu e Gerasimov, e contro l’intera catena di comando dell’esercito, hanno complicato la gestione delle operazioni militari e condotto i rapporti sull’orlo della rottura.
A seguito delle crescenti tensioni fra Prigozhin e il ministero della difesa nella recente battaglia di Bakhmut in Ucraina, quest’ultimo, resosi conto della potenziale pericolosità di una compagnia militare pesantemente armata e con una propria catena di comando indipendente, ha deciso di correre ai ripari.
Con un decreto, ha ingiunto che i membri di tutte le CMP debbano firmare contratti direttamente con il ministero, di fatto sancendo l’integrazione di queste compagnie nell’esercito. Di fronte alla prospettiva di perdere uno dei suoi affari più lucrosi, Prigozhin ha tentato il tutto per tutto con un colpo di mano finalizzato a chiedere le dimissioni di Shoigu e Gerasimov.
Il gesto disperato di Prigozhin
Il leader del gruppo Wagner, che ha connessioni importanti fra i ranghi dell’esercito, aveva evidentemente confidato nell’appoggio di alcuni ambienti militari nei quali serpeggia un latente malcontento nei confronti del ministro della difesa, un non militare da taluni considerato inadatto a svolgere il proprio ruolo.
In passato, Prigozhin aveva detto apertamente che avrebbe voluto vedere Shoigu rimpiazzato dal generale Mikhail Mizintsev, il conquistatore di Mariupol, e Gerasimov sostituito dal generale Sergei Surovikin, che aveva saputo gestire in maniera ordinata il ritiro russo dalla riva destra del fiume Dnepr a Kherson, ed aveva supervisionato la campagna di bombardamenti contro le infrastrutture civili e militari ucraine. Né Mizintsev né Surovikin appartengono alla cerchia di Shoigu, avendo fatto carriera sotto il suo predecessore.
Un’altra figura che Prigozhin ha sempre visto di buon occhio è Alexei Dyumin, attuale governatore dell’oblast di Tula, ma in passato membro dei servizi segreti federali (FSB), poi responsabile del servizio di sicurezza presidenziale (cosa che in Occidente gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “guardia del corpo di Putin”), e vicecapo delle forze speciali del GRU, che nel 2014 giocarono un ruolo chiave nell’annessione della Crimea.
L’azione scomposta di Prigozhin, tuttavia, tradottasi in una specie di diktat al presidente Putin – e in una sfida nei confronti del leader russo – e la reazione di quest’ultimo che ha definito il colpo di mano della Wagner un “tradimento”, hanno spinto la maggior parte dei militari, dei politici e dei governatori a prenderne le distanze (a conferma del fatto che il potere di Putin non è mai stato messo in discussione).
Il generale Surovikin aveva addirittura pubblicato un videomessaggio già nella notte di venerdì 23 giugno, in cui invitava i combattenti del gruppo Wagner a fermarsi, in nome delle battaglie combattute insieme in Ucraina, e a non fare il gioco del nemico.
Prigozhin aveva infatti fatto precedere la sua azione di insubordinazione da gravi insinuazioni nei confronti dell’esercito, accusato di aver colpito un campo del gruppo Wagner uccidendo molti uomini. Egli aveva però accompagnato le accuse con un video di dubbia veridicità. In dichiarazioni ancora precedenti, egli aveva denunciato la cosiddetta “operazione militare speciale”, e l’intera politica russa in Donbass a partire dal 2014.
Il piano fallisce
Secondo alcune fonti, all’interno dello stesso gruppo Wagner Prigozhin non ha ottenuto pieno consenso. La maggior parte degli ufficiali sembra non aver appoggiato il suo piano, e la componente del gruppo che si è mossa verso Rostov e nel sudovest della Russia non superava le 4-5.000 unità (su un totale di effettivi che attualmente si aggira intorno ai 25.000 uomini). Ancor più esigua la colonna che da Rostov si è diretta verso Mosca.
In assenza di una “reazione a catena” di sostegno a Prigozhin tra le file dell’esercito e negli apparati dello stato, il colpo di mano del leader della Wagner era perciò destinato al fallimento fin dall’inizio.
Ritrovatosi solo, Prigozhin è stato costretto a trattare la resa, ma la facilità con cui ha preso il controllo del distretto militare meridionale, e dell’intera città di Rostov, ha destato in alcuni il sospetto che qualche connivenza ci sia stata.
Secondo altre versioni, però, Shoigu e i suoi fedelissimi nell’esercito erano già a conoscenza del piano di Prigozhin, e lo avrebbero lasciato agire al fine di attirarlo in un vicolo cieco.
La capitolazione del leader della Wagner, ormai isolato, è avvenuta tramite la mediazione del presidente bielorusso Lukashenko. Sebbene Putin avesse affermato di aver scelto fin dall’inizio di non schiacciare con la violenza la ribellione di Prigozhin per non versare sangue russo in patria, Lukashenko si è attribuito il merito della soluzione pacifica della crisi.
Secondo altre testimonianze russe di alto livello, tuttavia, il presidente bielorusso avrebbe fatto solo da intermediario, mentre la vera trattativa sarebbe avvenuta fra il leader del gruppo Wagner ed esponenti del governo russo.
Fra questi, un ruolo di primo piano l’avrebbe giocato proprio il governatore di Tula Alexei Dyumin, in buoni rapporti sia con Prigozhin che con il presidente Putin.
Soluzione senza spargimento di sangue
Ad ogni modo, scongiurare un bagno di sangue, negoziando un accordo di compromesso, era probabilmente l’unica via per evitare di aprire una ferita profonda nel cuore della società russa.
Sabato 24 giugno, a Rostov, mentre Prigozhin occupava il Distretto militare meridionale, c’era molta gente che inneggiava al gruppo Wagner ed allo stesso tempo a Putin. I combattenti del gruppo sono visti come eroi in Russia, e non c’è contraddizione con il sostegno al capo del Cremlino.
La scelta di negoziare un compromesso con Prigozhin, sebbene in Russia abbia fatto storcere il naso ad alcuni che volevano vedere il leader dell’organizzazione duramente punito, ha probabilmente evitato una crisi peggiore.
Il leader della Wagner ha perso la sua scommessa ed è stato costretto all’esilio in Bielorussia. La sua richiesta di sostituire Shoigu e Gerasimov è stata apparentemente ignorata. Egli ha ottenuto la cancellazione della pesante incriminazione di “insurrezione armata” contro di lui, ma il presidente russo ha accennato alla possibilità che indagini per corruzione si aprano nei suoi confronti.
Come ha dichiarato Putin, i membri della Wagner potranno seguire il loro leader in Bielorussia, oppure firmare contratti con il ministero della difesa, o tornare alle rispettive famiglie.
Complessivamente, l’organizzazione sarà depotenziata, sia perché diversi combattenti lasceranno i suoi ranghi, ma soprattutto perché lo stato smetterà di fornirle armi pesanti e non le permetterà di agire in maniera indipendente in altri paesi.
Ricompattare il fronte interno
Se possibile, il presidente russo potrebbe aver acquisito ulteriore popolarità con la soluzione incruenta di questa crisi. Le insidie per lui, sebbene indirette, vengono tuttavia dall’interno della gerarchia statale e militare.
I sospetti di collaborazionismo che il colpo di mano di Prigozhin ha suscitato nei confronti di alcuni esponenti dell’esercito potrebbero avere strascichi che non vanno sottovalutati in una fase delicatissima della storia russa, in cui Mosca sta combattendo una pericolosa guerra per procura contro l’intero schieramento della NATO.
Molti si sono chiesti se Prigozhin abbia avuto contatti con servizi segreti stranieri prima di avviare la sua azione. Non è da escludere ma, come abbiamo visto, l’accaduto sembra essere conseguenza principalmente di dinamiche interne.
Quel che è certo, però, è che gli USA ed altri paesi occidentali cercheranno di sfruttare le fratture aperte da questa crisi per indebolire Mosca, se il Cremlino non saprà adottare tempestivamente le necessarie contromisure.
Un primo esempio a questo proposito è dato dalle insinuazioni che l’intelligence americana ha formulato, tramite il New York Times, nei confronti di Surovikin. Secondo tali insinuazioni, il generale russo sarebbe colluso con Prigozhin e ne avrebbe sostenuto il piano, malgrado il video di condanna pubblicato dallo stesso Surovikin nelle prime fasi del colpo di mano.
Se Washington riuscirà a far leva sulle tensioni interne che l’azione di Prigozhin ha inevitabilmente acuito, potrebbe creare dei problemi alla Russia. La destabilizzazione interna, e il “cambio di regime” a Mosca, sono qualcosa che molti esponenti dell’establishment americano continuano a sognare e perseguire. L’incidente di Prigozhin, anche se forse solo estemporaneo, ha inevitabilmente rinfocolato le speranze di quanti puntano a questo obiettivo.
Una versione abbreviata di questo articolo è uscita sul Fatto Quotidiano
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