L’Ucraina esisterà ancora alla fine del conflitto?
La narrazione occidentale è sempre più lontana dalla realtà sul terreno
Lentamente ma inesorabilmente, sembra che la Russia stia vincendo la sfida militare ed economica lanciatagli dall’Occidente in Ucraina.
Le sanzioni al momento gravano più sull’economia dei paesi europei che su quella di Mosca, mentre sul terreno le truppe russe avanzano in maniera graduale ma costante, malgrado le armi inviate a Kiev dagli Stati Uniti e dall’Europa.
Senza dubbio, sul lungo periodo anche l’economia russa potrà soffrire, ma ciò difficilmente influirà su un conflitto che, salvo un ulteriore pericoloso coinvolgimento da parte occidentale, potrebbe risolversi nei prossimi mesi.
Abbiamo già visto come le narrazioni del conflitto propagandate da Russia e Occidente divergano radicalmente. Tuttavia, nelle ultime settimane la versione occidentale appare sempre più distante dalla realtà sul terreno.
Velleitarismo occidentale
In un editoriale insolitamente pubblicato sul New York Times alla fine di maggio, il presidente americano Joe Biden aveva affermato: “Vogliamo vedere un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera, con i mezzi per scoraggiare e respingere qualsiasi ulteriore aggressione”, aggiungendo che “ci siamo mossi rapidamente per inviare all’Ucraina un rilevante quantitativo di armi e munizioni affinché possa combattere sul campo di battaglia ed essere nella posizione più forte possibile al tavolo negoziale”.
Dal canto suo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in una recente intervista al Financial Times, ha ribadito che respingere le forze russe sulle posizioni occupate prima dell’invasione del 24 febbraio rappresenterebbe una “seria vittoria provvisoria” per l’Ucraina, ma la piena sovranità sull’intero territorio ucraino rimane l’obiettivo finale.
Le dichiarazioni di Biden e Zelensky appaiono paradossali poiché, se nulla interverrà ad alterare gli attuali equilibri, la posizione ucraina ad un eventuale tavolo negoziale continuerà ad indebolirsi, piuttosto che rafforzarsi, con il passare del tempo.
Per tragica ironia, Kiev in questo conflitto rischia di perdere tutto ciò che avrebbe potuto ottenere implementando gli accordi di Minsk ed accettando lo status neutrale del paese: l’integrità territoriale, la salvaguardia delle sue principali risorse economiche, e l’esistenza stessa dello stato ucraino.
Lo stesso Zelensky ha ammesso di recente che circa il 20% del territorio ucraino è ormai sotto il controllo russo. Le truppe di Kiev hanno quasi completamente perso la cittadina di Severodonetsk e la provincia di Luhansk.
I russi stanno impiegando con grande metodicità la loro arma più potente, l’artiglieria, per polverizzare le posizioni ucraine. Sono sempre più frequenti le notizie di soldati ucraini che si sentono abbandonati dai vertici militari a Kiev, in condizioni disperate, senza equipaggiamento ed armi.
Gli attacchi aerei e missilistici russi contro gli snodi ferroviari, le linee di rifornimento, i depositi di carburante e le basi militari nella parte occidentale del paese stanno logorando pesantemente le capacità di resistenza dell’esercito ucraino.
Verso l’annessione dei territori occupati?
Se i progressi militari dei russi nel Donbass sono già indicativi della piega che sembra aver preso il conflitto, è spostandoci a sudovest che possiamo farci un’idea più chiara del futuro che probabilmente attenderà l’Ucraina.
Nelle province meridionali di Kherson e Zaporizhzhia, sotto il controllo russo fin dai primi giorni dell’invasione, Mosca sta procedendo a ripristinare le infrastrutture economiche ed amministrative, e a ristabilire le normali condizioni di vita della popolazione.
Nelle principali città sono state insediate delle amministrazioni civili-militari, ed importanti rappresentanti del Cremlino vi si recano frequentemente. Ex funzionari delle precedenti amministrazioni locali, in particolare appartenenti all’ex Partito delle Regioni, al potere prima della rivolta di Maidan del 2014 ed ora messo al bando da Zelensky, sono stati coinvolti nei nuovi organismi amministrativi.
In Russia, nel frattempo, è già entrato nel vivo il dibattito sul futuro di questi territori. L’opinione prevalente è che ormai non si possa più tornare indietro, ed essi entreranno in un modo o nell’altro a far parte della Federazione russa.
Le autorità di Kherson non escludono la possibilità di organizzare un referendum per unirsi alla Russia. Intanto, il senatore russo Andrey Klishas, presidente della Commissione del Consiglio della Federazione per la legislazione costituzionale, ha dichiarato che i residenti di tutti i territori ucraini occupati dalle truppe di Mosca, non solo quelli del Donbass, hanno il diritto di decidere se rimanere con la Russia.
Il principale documento che chiarisce gli obiettivi a lungo termine del Cremlino è l’ordinanza del presidente Putin volta a garantire un percorso accelerato di acquisizione della cittadinanza russa per i residenti delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia. Lo scopo è anche quello di rassicurare gli abitanti di queste regioni sul fatto che esse faranno parte della Russia.
Molti residenti evitano infatti di lavorare con le nuove amministrazioni per non rischiare un’accusa di tradimento secondo la legge ucraina, che può comportare fino a 15 anni di carcere. Vi sono state anche limitate manifestazioni di protesta contro l’occupazione russa.
Altrove in Ucraina è in corso una caccia ai “collaborazionisti”. I servizi di sicurezza di Kiev arrestano e sottopongono a duri interrogatori coloro che sono sospettati di appoggiare l’offensiva russa. Vi sono stati casi di sequestri e torture. Può essere sufficiente dissentire dal governo per essere accusati di simpatie filo-russe.
I territori controllati da Mosca non sono al sicuro da incursioni ed azioni di sabotaggio ucraine. Tali azioni, a Melitopol e in altre zone, hanno preso di mira posti di comando, linee ferroviarie, stazioni radar, ma anche “collaborazionisti” delle autorità filo-russe.
Disconnessione economica
Le regioni occupate dai russi cominciano a essere progressivamente disconnesse dai sistemi di comunicazione, di pagamento delle pensioni, e dai terminali ATM dello stato ucraino, mentre gli operatori russi (società telefoniche, banche, catene commerciali e farmaceutiche) stanno gradualmente subentrando.
Ciò facilita l’insediamento delle nuove amministrazioni e la complessiva penetrazione dell’economia russa.
Nella provincia di Kherson, i residenti stanno cominciando a ricevere pensioni, salari ed altri pagamenti in rubli, mentre iniziano ad essere disponibili provider internet, radio e canali televisivi russi.
Altro intervento chiave dell’occupazione militare di Mosca è stato il ripristino delle linee ferroviarie, che permettono il flusso di merci e persone dalla Russia a Kherson e alla Crimea attraverso il Donbass. Evento altrettanto simbolico e importante è la riattivazione dell’acquedotto che da Kherson rifornisce la Crimea, il quale era stato bloccato nel 2014 dalle autorità di Kiev dopo che la Russia aveva occupato la penisola.
Un’area strategica
Le regioni di Kherson e Zaporizhzhia hanno un’importanza strategica, per numerose ragioni. Oltre a far parte del corridoio terrestre che unisce la Crimea alla regione russa di Rostov, l’area che va dal Donbass alla costa meridionale che si affaccia sul Mar Nero (incluso il porto di Odessa) è molto ricca dal punto di vista industriale ed agricolo.
Nelle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina si trova la metà del petrolio del paese, il 72% del suo gas naturale, e la quasi totalità delle riserve di carbone. La maggior parte dei minerali, ed in particolare delle cosiddette “terre rare” cruciali per le moderne tecnologie, è ugualmente situata in queste zone.
Da quest’area proviene anche una parte rilevante della produzione agricola ucraina, tra cui grano, orzo, mais e girasole.
Se l’Ucraina dovesse perdere queste regioni, il suo Pil, che già quest’anno dovrebbe ridursi di circa il 45% a causa del conflitto, ne uscirebbe enormemente ridimensionato.
Novorossiya
Storicamente, questa fascia di territorio nell’Ucraina sudorientale fu sottratta dall’impero russo al khanato di Crimea, divenendo nel 1764 una nuova provincia imperiale sotto il nome di Novorossiya (Nuova Russia). Il porto di Odessa fu fondato trent’anni dopo dall’imperatrice Caterina la Grande, divenendo nel XIX secolo la quarta città dell’impero.
Queste regioni passarono nel 1918 allo stato ucraino, che però fu parte integrante dell’Unione Sovietica fino al 1991. Al 1954 risale invece la decisione del leader sovietico Nikita Khrushchev di incorporare la penisola di Crimea, a maggioranza russa, nello stato ucraino.
Nel 2014, le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk, che non avevano riconosciuto il governo insediatosi a Kiev all’indomani della rivolta di Maidan, avevano riesumato il concetto di “Novorossiya”, inteso come confederazione delle due repubbliche.
L’idea fu però abbandonata l’anno successivo, anche sotto la pressione del Cremlino, in favore degli accordi di Minsk, che avrebbero dovuto segnare la riconciliazione delle due autoproclamate repubbliche con il governo centrale in cambio della concessione di una notevole autonomia.
Un tragico paradosso
Dopo il 2014, per otto anni Mosca ha cercato di raggiungere una soluzione di compromesso con il vicino ucraino.
La mancata implementazione degli accordi di Minsk, e il rifiuto di Kiev di adottare uno status di neutralità, sono tra le principali cause del conflitto in corso. A posteriori, si può dire che l’accettazione di quelle condizioni sarebbe stata per lo stato ucraino molto più vantaggiosa dell’attuale confronto bellico, che rischia di determinarne letteralmente la fine.
A seconda di come evolverà la situazione sul campo, dopo aver rafforzato il controllo sul corridoio terrestre fra il Donbass e la Crimea, Mosca potrebbe addirittura puntare allo strategico porto di Odessa, per congiungersi poi alla Transnistria, sottraendo all’Ucraina l’intera fascia costiera.
Kiev si troverebbe così a governare un paese privato dell’accesso al mare, e della parte più ricca e produttiva dei suoi territori. Mosca, dal canto suo, consoliderebbe enormemente il suo predominio nel Mar Nero.
Ciò naturalmente potrebbe accadere solo dopo lunghi mesi di conflitto, e dopo battaglie probabilmente ben più sanguinose di quella di Mariupol. E’ però evidente che, con il proseguire delle operazioni belliche, la posizione negoziale del governo di Kiev è destinata a indebolirsi progressivamente – non a rafforzarsi, come vorrebbe la retorica occidentale e dello stesso Zelensky.
L’insistenza a rimanere su posizioni massimaliste rischia di tradursi, per il governo di Kiev, in una sconfitta disastrosa. Una sconfitta che l’Occidente non potrà impedire se non vorrà imbarcarsi in un’ulteriore escalation militare che stavolta potrebbe davvero mettere a rischio la stabilità mondiale.