Le opposte narrazioni sull’attentato di Mosca: Stato Islamico o pista ucraina?
E’ possibile che i servizi ucraini abbiano organizzato l’attacco al Crocus City Hall, eventualmente servendosi della rete del terrorismo islamico come copertura?
A una settimana dal terribile attentato che ha visto uomini armati fare irruzione nel Crocus City Hall (un’affollata sala da concerto a Krasnogorsk, sobborgo di Mosca), aprire il fuoco contro gli spettatori, e incendiare la sala uccidendo circa 140 persone, sull’accaduto si sono consolidate due narrazioni contrapposte.
La prima è quella diffusa dai governi e dai media occidentali, secondo la quale la Russia è stata vittima di un attacco da parte di una specifica branca dello Stato Islamico (spesso indicato come ISIS) – quella che si fa chiamare “Stato Islamico della Provincia del Khorasan” (ISKP, secondo l’acronimo inglese più corretto, ma sono state usate anche altre sigle, come ISIS-K e IS-K).
La seconda è quella russa, la quale, pur non scartando del tutto la tesi dell’estremismo di matrice islamica, ritiene che i mandanti vadano ricercati a Kiev.
La narrazione occidentale sostiene che l’invasione russa dell’Ucraina avrebbe “distratto” Mosca da minacce come quella dell’estremismo islamico. Washington afferma anche di aver messo in guardia – invano – il governo russo, nei giorni precedenti l’attentato, sulla possibilità che luoghi affollati divenissero bersaglio di attacchi da parte di estremisti.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha appoggiato la versione americana, dichiarando alla stampa che “le informazioni in nostro possesso…così come quelle dei nostri principali partner, indicano in effetti che è stata un’entità dello Stato Islamico a istigare questo attacco”. Egli ha aggiunto che sarebbe “cinico e controproducente” per Mosca addossare la colpa all’Ucraina.
A queste dichiarazioni ha risposto pochi giorni più tardi Alexander Bortnikov, capo dell’FSB (i servizi segreti interni di Mosca), affermando che gli indizi preliminari puntano in direzione dell’Ucraina, con una possibile complicità di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Bortnikov ha ribadito che esiste una grande quantità di informazioni di dominio pubblico che “dimostra che l’Occidente e l’Ucraina intendono causare danni sempre maggiori al nostro paese”. A confermarlo, secondo il capo dell’FSB, “ci sono gli attacchi con droni, quelli con droni marini, e le incursioni di gruppi di sabotatori e di organizzazioni terroristiche nel nostro territorio”.
L’attribuzione delle responsabilità dell’attentato di Mosca è divenuta dunque un nuovo terreno di scontro fra Russia e Occidente, rischiando di inasprire ulteriormente la contrapposizione attorno al conflitto ucraino.
Una singolare rivendicazione
La dinamica dell’attacco terroristico presenta ancora punti oscuri, ma sono anche numerose le incongruenze attorno alla rivendicazione dell’attentato, sulla quale si fonda essenzialmente la narrazione occidentale.
La rivendicazione, infatti, non è giunta dall’ISKP, come sostenuto da gran parte dei giornali occidentali, ma dall’agenzia Amaq dello Stato Islamico (ISIS) attraverso un canale Telegram.
Il testo della rivendicazione è il seguente:
“Fonte di sicurezza all’agenzia Amaq: i combattenti dello Stato Islamico hanno attaccato un grande raduno di cristiani nella città di ‘Krasnogorsk’, alla periferia della capitale russa Mosca, uccidendo e ferendo centinaia di persone e provocando ingenti danni sul posto prima di ritirarsi in sicurezza verso le loro basi”.
Il testo dà l’impressione di un’azione che non è organizzata e coordinata dalla leadership del gruppo, ma che viene ad essa “comunicata”. Inoltre, è evidente che non si tratta di un’azione suicida.
Altro elemento peculiare – hanno osservato alcuni esperti di terrorismo islamico – è che il comunicato non specifica quale wilayah (cioè quale “provincia”) dello Stato Islamico abbia compiuto l’attentato.
Solitamente, gli attacchi eseguiti dall’ISIS in Russia, perlopiù di basso profilo, sono rivendicati dalla “Provincia del Caucaso”. Nessun attentato del calibro di quello al Crocus City Hall è stato in precedenza compiuto dall’ISIS in territorio russo.
L’agenzia Amaq ha poi pubblicato un secondo comunicato. Esso è corredato da una foto (evidentemente nel frattempo pervenuta all’agenzia) nella quale appaiono i quattro attentatori, con i volti coperti e per di più sfocati (altro fatto singolare, forse mai verificatosi in precedenza, ad eccezione dell’attentato dello scorso 3 gennaio a Kerman in Iran, anch’esso rivendicato dall’ISIS).
In nessuno dei due comunicati lo Stato Islamico offre una motivazione specifica a giustificazione dell’attacco. I quattro uomini apparsi nel secondo annuncio sono stati identificati come gli esecutori materiali dell’attentato, poi arrestati dalle forze di sicurezza russe, in quanto indossavano gli stessi abiti. E’ emerso che tutti e quattro sono di nazionalità tagika.
Analogie
Tali incongruenze sono state sottolineate anche da Mina Al-Lami, esperta di movimenti jihadisti e responsabile di BBC Monitoring, la quale ha inoltre evidenziato interessanti analogie con l’attentato del 3 gennaio a Kerman.
La portata dell’attacco di Mosca è paragonabile a quello di Kerman: il primo ha provocato circa 140 vittime, il secondo quasi un centinaio. In entrambi i casi l’ISIS ha colpito in paesi nei quali non ha una presenza significativa. Ed entrambi gli attentati rappresentano colpi propagandistici di grande portata per lo Stato Islamico, essendosi verificati dopo un’annata alquanto magra di successi per il gruppo.
Ma si possono rilevare altre analogie oltre a quelle descritte da Al-Lami.
La strage di Kerman, provocata da due attentatori suicidi, falcidiò la folla che si stava recando alla tomba del generale Qassem Soleimani (comandante delle forze Quds della Guardia Rivoluzionaria iraniana) allo scopo di commemorare il quarto anniversario della sua uccisione per mano americana.
In quel caso, la rivendicazione tardò ad arrivare. Essa giunse solo dopo che era trascorso più di un giorno dall’attacco, sotto forma di un comunicato dell’agenzia Amaq dell’ISIS che mostrò una foto dei due attentatori con i volti coperti e sfocati.
Neanche in quell’occasione Amaq attribuì l’operazione a una specifica branca dello Stato Islamico, sebbene essa sarebbe stata successivamente assegnata all’ISKP dagli americani.
Similmente a quanto avvenuto nel caso russo, emerse un reportage del Wall Street Journal secondo il quale Washington aveva fornito a Teheran precise informazioni di intelligence per metterla in guardia sull’attacco imminente. Teheran smentì seccamente, accusando invece Israele e gli USA (pronti, secondo gli iraniani, a cooptare gruppi secessionisti e terroristici nel paese per i propri scopi di destabilizzazione) di essere i mandanti dell’attentato.
Fonti dell’intelligence USA affermarono che, in base a informazioni incontrovertibili in loro possesso, la strage di Kerman era stata compiuta dall’ISKP (anche in quell’occasione, i due attentatori erano di nazionalità tagika).
Nel caso dell’attacco di Mosca, Washington ha analogamente affermato di aver preavvertito il Cremlino che militanti dell’ISIS erano determinati a colpire la Russia, e fonti del governo statunitense hanno dichiarato di non aver ragione di dubitare della rivendicazione dello Stato Islamico.
Diatriba fra Washington e Mosca
Secondo Mosca, le informazioni trasmesse da Washington erano del tutto generiche. I giornali americani hanno però accusato il presidente russo Putin di aver respinto gli avvertimenti degli USA definendoli “provocatori”.
Fonti citate dal New York Times avrebbero poi ammesso che “il rapporto di inimicizia tra Washington e Mosca ha impedito ai funzionari statunitensi di condividere qualsiasi informazione non strettamente necessaria sull’attentato, nel timore che le autorità russe potessero scoprire le loro fonti e i loro metodi di intelligence”.
E’ anche importante ricordare che, lo scorso 7 marzo, l’ambasciata USA in Russia aveva emanato un allarme di sicurezza nel quale si affermava che il proprio personale stava “monitorando notizie secondo cui estremisti hanno piani imminenti di colpire grandi assembramenti a Mosca, inclusi i concerti”.
Il comunicato ammoniva i concittadini americani in Russia che un attacco avrebbe potuto verificarsi nelle successive 48 ore. L’ammonimento era stato riportato anche dall’ambasciata britannica.
Molti in Russia sono rimasti sorpresi dalla rapidità con cui l’amministrazione USA ha puntato il dito contro lo Stato Islamico subito dopo l’attentato, dichiarando che l’Ucraina non era in alcun modo coinvolta nell’azione terroristica, e facendo riferimento a una rivendicazione proveniente da una fonte, come l’agenzia Amaq dell’ISIS, che andrebbe attentamente verificata prima di essere considerata affidabile.
Perfino alcuni media occidentali hanno riconosciuto che la rivendicazione dello Stato Islamico sarebbe “impossibile da verificare”.
Comunicati contraddittori
Una dichiarazione tardiva dell’ISKP, emersa ben tre giorni dopo l’attentato, afferma che “l’attacco di Mosca” sarebbe una vendetta per i membri dello Stato Islamico uccisi dai bombardamenti russi in Siria.
Ma altri esperti hanno fatto notare che non vi è necessariamente correlazione fra la propaganda online di questi gruppi e gli attacchi realmente compiuti. E il fatto che gli attentatori siano tagiki non implica necessariamente il coinvolgimento dell’ISKP, come alcuni hanno postulato, poiché cittadini tagiki hanno militato anche nello Stato Islamico in Iraq e in Siria.
In una successiva “dichiarazione speciale”, in occasione del 10° anniversario del “Califfato” stabilito dallo Stato Islamico fra Iraq e Siria, un portavoce dell’ISIS ha lodato l’ISKP per i suoi attacchi degli ultimi anni, ma ancora una volta non ha associato l’ISKP né all’attacco di Mosca né a quello di Kerman, che sono stati citati in una sezione separata della dichiarazione.
Stato Islamico e ISKP: due marchi in franchising
L’ISIS, che fra il 2014 e il 2016 aveva controllato ampi tratti di territorio a cavallo fra Iraq e Siria, si è progressivamente indebolito. Dal 2019, il gruppo ha perso il suo territorio e i suoi principali leader.
Lo Stato Islamico, pur mantenendo tuttora una presenza in questi paesi, è sopravvissuto trasformandosi, al pari di al-Qaeda, in un’organizzazione globale che agisce come un marchio a cui gruppi – o perfino lupi solitari – che operano nei più svariati paesi, dall’Asia all’Africa, possono affiliarsi.
I gruppi affiliati hanno tuttavia principalmente obiettivi locali, o al più regionali.
L’ISKP (Stato Islamico della Provincia del Khorasan) emerse nel 2015, mentre lo Stato Islamico era al culmine della sua forza, come rete di alleanze fra gruppi fuoriusciti dai Talebani afghani e pakistani, ed altre formazioni militanti dell’Asia Centrale (il Khorasan, da cui il gruppo prende il nome, è una regione storica che include l’Afghanistan, l’Iran nordorientale, e parte delle repubbliche centrasiatiche).
L’ISKP è dunque principalmente un avversario dei Talebani ma, al pari dell’ISIS, è più che altro un marchio, un’organizzazione decentralizzata e opportunistica pronta ad accogliere chiunque voglia agire in suo nome.
Come ha scritto Amira Jadoon, altra esperta di terrorismo jihadista, la mera associazione dell’ISKP all’attacco al Crocus City Hall, “indipendentemente dal fatto che esso sia direttamente o indirettamente coinvolto, rafforza la reputazione del gruppo”.
E’ anche importante osservare come sia facile che tali formazioni vengano infiltrate da servizi segreti locali o anche internazionali.
Non va dimenticato che la stessa al-Qaeda emerse dalla mobilitazione dei mujahideen afghani, arabi e di altre nazionalità, organizzata alla fine degli anni ’80 del secolo scorso dalla CIA, insieme ai servizi segreti di Pakistan e Arabia Saudita, per combattere i sovietici in Afghanistan.
Dopo il ritiro USA dall’Afghanistan nel 2021, membri dell’intelligence e delle forze armate afghane che sono stati formati e addestrati dagli americani, ritrovatisi senza stipendio e braccati dai Talebani, si sono arruolati nelle file dello Stato Islamico. Il movimento dei Talebani pakistani ha definito l’ISKP “una cospirazione di agenzie di intelligence regionali”.
Gruppi come lo Stato Islamico e l’ISKP sono dunque contrassegnati da una gerarchia molto vaga e mal definita. Essi incoraggiano anche simpatizzanti, che non sono terroristi addestrati, a compiere attentati in maniera autonoma per poi rivendicarli.
Può dunque diventare impossibile identificare il reale istigatore di una determinato attentato. Ed è anche facile che servizi di intelligence o altre entità estranee possano infiltrarsi in un attacco terroristico condotto da gruppi o uomini che sono solo debolmente affiliati a un’organizzazione di questo tipo.
Manovalanza tagika
Il fenomeno della radicalizzazione è ampiamente diffuso in Asia Centrale. Esso è particolarmente accentuato in Tagikistan, che ha vissuto una guerra civile relativamente recente ((1992-1997) ed è il paese più povero della regione.
Oltre un milione di tagiki va all’estero per cercare lavoro, andando a formare una parte rilevante del flusso di immigrati che dall’Asia Centrale si riversa in Russia offrendo manodopera a basso costo. Le rimesse che essi inviano in patria costituiscono il 48% del PIL tagiko, facendo del Tagikistan il paese più dipendente al mondo dalle rimesse provenienti dai propri cittadini espatriati.
Ma se i tagiki sono facile preda della radicalizzazione islamista, in alcuni casi essi possono anche offrirsi come mercenari, compiendo attacchi per denaro. L’attentato al Crocus City Hall di Mosca sembra rientrare in questa seconda casistica.
Dopo la cattura, gli attentatori hanno confessato di essere stati reclutati da un “predicatore” via Telegram. A ciascuno era stata promessa la cifra di 500.000 rubli (circa 5.500 dollari), metà della quale era stata accreditata sui loro conti prima dell’attacco.
Secondo le ultime notizie trapelate sulle indagini russe in corso, tale denaro potrebbe essere di provenienza ucraina.
Interludio turco
Esiste poi un legame ancora non del tutto chiarito con la Turchia. Due degli attentatori si erano recati in quel paese nelle settimane precedenti l’attentato, ufficialmente solo perché era loro scaduto il permesso di soggiorno russo e avevano bisogno di uscire e poi rientrare in Russia per rinnovarlo.
La Turchia è però notoriamente uno snodo del radicalismo islamico, anche in quanto retrovia del conflitto siriano, e i due potrebbero avere ricevuto istruzioni sull’attentato durante quel viaggio, secondo fonti russe.
Pochi giorni dopo l’attentato, durante la notte del 25 marzo, e nella mattinata successiva, le autorità turche hanno arrestato 147 sospetti affiliati allo Stato Islamico in una trentina di città differenti.
Vi è un’altra coincidenza da segnalare. Fonti russe e turche concordano sul fatto che Shamsidin Fariduni, uno dei due attentatori recatisi in Turchia, sarebbe rientrato in Russia ai primi di marzo.
Il 7 marzo, Fariduni avrebbe fatto un sopralluogo al Crocus City Hall, probabilmente per preparare l’attacco. Lo stesso giorno, l’ambasciata USA a Mosca emette il comunicato nel quale avverte della possibilità di attentati nelle successive 48 ore.
E’ dunque possibile che l’attacco fosse originariamente pianificato per aver luogo una settimana prima delle elezioni presidenziali russe, allo scopo di destabilizzare il paese? Il prossimo concerto al Crocus City Hall era infatti previsto per sabato 9 marzo.
Il concerto, tuttavia, si sarebbe svolto senza incidenti. Putin avrebbe ottenuto la sua schiacciante vittoria elettorale. Gli attentatori hanno atteso fino al 22 marzo per agire.
Dinamica dell’attentato
L’attacco si svolge in pochi minuti. Secondo la ricostruzione ufficiale russa, alle 19:58 locali il commando (giunto al Crocus City Hall con una Renault) avrebbe aperto il fuoco sulla folla giunta per il concerto. Alle 20:11, dopo aver dato fuoco alla sala, i quattro uomini armati abbandonano l’edificio prima che sopraggiungano le forze di polizia.
In questo lasso di tempo, essi riescono a uccidere 40-50 persone. Le altre sarebbero morte soffocate o bruciate nell’incendio che di lì a poco avrebbe avvolto l’edificio (sono sorte aspre polemiche in Russia sul probabile mancato funzionamento del sistema antincendio e sul fatto che il teatro sarebbe stato costruito con materiali altamente infiammabili).
Nell’attacco, i quattro uomini armati dimostrano un discreto addestramento militare, e forse una precedente esperienza di combattimento. Ma confermano anche che, a differenza di quanto solitamente avviene con i terroristi dell’ISIS, essi non sono attentatori suicidi. Indossano finte cinture esplosive. Dopo pochi minuti abbandonano il luogo del delitto e si danno alla fuga.
Probabilmente hanno usufruito di una vasta rete di basisti e fiancheggiatori, che ha fornito loro armi e munizioni, ha reperito l’auto per i loro spostamenti, ha assicurato pianificazione, coordinamento e comunicazioni per compiere l’operazione.
Misteriosamente, essi puntano a sud, verso il confine di un paese in guerra, l’Ucraina. Vengono catturati dopo aver superato l’ultimo svincolo per la Bielorussia, dunque sembrano indiscutibilmente diretti verso la frontiera ucraina.
Braccati a piedi nei boschi, non tentano di togliersi la vita, e si arrendono senza opporre particolare resistenza. Nel complesso, una dinamica certamente singolare per un’operazione compiuta da presunti terroristi dello Stato Islamico.
La pista ucraina
E’ possibile che i servizi ucraini abbiano organizzato l’attentato al Crocus City Hall, eventualmente impiegando mercenari tagiki e servendosi della rete del terrorismo islamico come copertura?
Ed è ipotizzabile una collaborazione, diretta o indiretta, dell’intelligence americana e/o britannica in questa operazione, come ha supposto il capo dell’FSB Bortnikov?
Che la CIA si sia insediata in Ucraina fin dal 2014, ed abbia uno stretto rapporto di cooperazione con i servizi ucraini, è ormai un dato abbondantemente rivelato dalla stessa stampa americana.
Le basi della CIA in Ucraina aiutano i servizi di Kiev a identificare gli obiettivi, civili e militari, da colpire in territorio russo. Inoltre, secondo quanto riferito dal New York Times, la CIA supporta le forze speciali ucraine dell’Unità 2245, impiegata per attacchi di commando oltre i confini russi.
L’agenzia di intelligence americana ha anche dato un contributo essenziale alla creazione del Quinto Direttorato, una sottosezione dello SBU (i servizi segreti di Kiev) che controlla squadre dedite a compiere omicidi mirati nelle regioni ucraine sotto il controllo russo, e nella Russia propriamente detta.
La CIA probabilmente fornisce informazioni anche per gli attacchi missilistici e con droni in territorio russo, incluse le basi militari, e per gli attacchi contro la flotta russa nel Mar Nero, di stanza in Crimea.
Suggerendo che gli ucraini avrebbero dovuto creare una “campagna dietro le linee” nemiche, l’ormai ex capo degli Stati maggiori riuniti, generale Mark Milley, aveva affermato che “non ci dovrebbe essere russo che vada a dormire senza chiedersi se qualcuno gli taglierà la gola nel mezzo della notte”.
Più recentemente, il sottosegretario di Stato Victoria Nuland, due settimane prima di presentare le proprie dimissioni, aveva affermato che, con i soldi del nuovo pacchetto di aiuti americani, l’Ucraina avrebbe non solo potuto contrattaccare nell’est, ma anche accelerare una guerra asimmetrica che avrebbe garantito a Putin delle “brutte sorprese”.
Anche il GUR (il servizio segreto militare ucraino) guidato da Kyrylo Budanov è una creazione della CIA. Commentando l’omicidio di Daria Dugina, figlia del noto filosofo nazionalista russo Aleksandr Dugin, Budanov notoriamente disse: “Abbiamo ucciso russi, e continueremo a uccidere russi ovunque sulla faccia della terra fino alla completa vittoria dell’Ucraina”.
E pochi giorni fa, il capo dello SBU, Vasyl Maliuk, ultimamente impegnato in una campagna che ha colpito un totale di 12 raffinerie russe, ha assicurato che Mosca dovrà attendersi più attacchi, ma che la loro natura cambierà, perché “l’Ucraina non si ripete mai”.
Infine va ricordato che l’Ucraina non è nuova nemmeno a contatti con la galassia del jihadismo e del terrorismo islamico, avendo ospitato sul suo territorio centinaia di combattenti dell’ISIS principalmente provenienti dalla Siria, come Al Bara Shishani, comandante georgiano di etnia cecena.
Alla luce di quanto scritto, per comprendere chi abbia realmente organizzato l’attentato di Mosca, la “pista ucraina” non può certo essere scartata. E le parole di Bortnikov su una possibile collusione di Stati Uniti e Gran Bretagna non possono essere liquidate a cuor leggero.
Qualora questa pista dovesse rivelarsi corretta, l’attentato di Mosca rappresenterebbe un nuovo pericoloso passo verso un inasprimento del conflitto ucraino e della contrapposizione fra Russia e Occidente. Un passo dalle conseguenze difficilmente prevedibili.
Forse la data del 2014 può essere spostata indietro di almeno un decennio (forse due)
https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_37750.htm