“Laboratorio Palestina” – L’incredibile resoconto del giornalista Antony Loewenstein
Come l’industria israeliana delle armi e della sorveglianza di massa testa nei Territori palestinesi occupati sistemi che vengono esportati e utilizzati in tutto il mondo.
Secondo due recenti inchieste israeliane, le forze armate di Tel Aviv hanno fatto ampio ricorso a due sistemi fondati sull’intelligenza artificiale nel corso della loro devastante operazione militare a Gaza.
“The Gospel”, il primo, elabora milioni di dati per identificare a gran velocità edifici ed altre strutture da cui potrebbero operare i miliziani palestinesi, trasformandoli così in bersagli da distruggere.
Il secondo, denominato “Lavender”, individua invece sospetti membri dell’ala militare di Hamas e della Jihad Islamica, processando anche in questo caso infinità di dati che vanno dalle intercettazioni telefoniche all’adesione a gruppi Whatsapp.
Il programma stila così una graduatoria di probabile appartenenza, che va da 1 a 100. Gli individui che figurano ai vertici di tale classifica vengono sorvegliati da un sistema chiamato “Dov’è papà?”, il quale invia un segnale quando il “sospettato” rientra a casa, dove viene bombardato (insieme alla sua famiglia).
The Gospel e Lavender sono solo le ultime due spaventose incarnazioni di un’industria sempre più fiorente, che applica tecnologie di ultima generazione all’ambito bellico, e che vede Israele all’avanguardia mondiale nel settore.
Come lo Stato ebraico sia divenuto uno dei maggiori esportatori di armi, ed abbia rivoluzionato l’industria bellica attraverso il connubio fra le startup tecnologiche e il settore pubblico della difesa, utilizzando i Territori palestinesi occupati come un laboratorio per testare nuovi armamenti e rivoluzionari sistemi di sorveglianza, è una storia che da tempo sarebbe stato giusto raccontare.
Lo ha fatto con grande maestria, analizzando un’impressionante quantità di informazioni, il giornalista ebreo australiano Antony Loewenstein nel suo libro Laboratorio Palestina, recentemente uscito anche in Italia (Fazi Editore, traduzione di N. Mataldi, 2024).
Ascesa di un modello
Loewenstein ricostruisce come, fin dagli anni ’50 del secolo scorso, le riparazioni pagate dalla Germania Ovest, e poi gli aiuti americani e francesi, abbiano contribuito a far decollare il settore israeliano della difesa.
Nel 2021, le esportazioni hanno raggiunto la cifra record di 11,3 miliardi di dollari, un aumento del 55% rispetto ai due anni precedenti. Le imprese israeliane della cyber-sicurezza hanno intascato nello stesso anno il 40% degli introiti mondiali nel settore.
Lo sviluppo dell’industria bellica israeliana, spiega Loewenstein, è stato reso possibile anche dalla stretta collaborazione con Washington. Per decenni, Israele ha operato in luoghi dove gli Stati Uniti preferivano mantenere un basso profilo.
Così, Tel Aviv ha collaborato con le forze di polizia di Guatemala, El Salvador e Costa Rica nel periodo in cui il Congresso USA aveva vietato alle agenzie governative americane di farlo.
Tel Aviv vendette armi al Cile di Pinochet, e collaborò strettamente con il Sudafrica dell’apartheid. Quando gli USA crearono e sostennero gli “squadroni della morte” in chiave anticomunista in Nicaragua, Honduras, Colombia, El Salvador e Panama, Israele svolse un ruolo essenziale nel fornire loro armi e addestramento.
Undici settembre: un’opportunità per gli affari
L’11 settembre rappresentò un punto di svolta per l’industria israeliana della difesa e della sicurezza. Il messaggio di Tel Aviv al mondo era chiaro: “Noi combattiamo una guerra contro il terrorismo sin dalla nostra nascita. Vi mostreremo come si fa”.
Israele ha dunque contribuito all’annientamento delle Tigri Tamil da parte del governo dello Sri Lanka, e alla violenta campagna del Myanmar contro la minoranza musulmana rohingya. Ma aziende israeliane hanno anche garantito la sicurezza delle Olimpiadi di Atene nel 2004 e di Pechino nel 2008, e perfino delle basi ONU in Mali.
La tecnologia israeliana viene impiegata nel respingimento dei migranti alla frontiera fra Stati Uniti e Messico, ma anche nella militarizzazione dei confini europei e nel loro monitoraggio da parte dell’agenzia Frontex.
Come scrive Loewenstein:
Israele è un attore chiave nella battaglia dell’Unione Europea sia per militarizzare i propri confini sia per dissuadere nuovi arrivi, politica che ha visto una forte accelerazione dopo il massiccio afflusso di profughi nel 2015, principalmente a causa delle guerre in Siria, Iraq e Afghanistan. L’UE ha stretto accordi con importanti società israeliane della difesa per usare i loro droni, e naturalmente gli anni di esperienza in Palestina sono un chiaro punto di forza.
Nel 2020 l’UE ha annunciato una partnership da 91 milioni di dollari con Airbus, Israel Aerospace Industries (IAI) ed Elbit per avvalersi dei loro servizi e mantenere una presenza continua di droni sul Mediterraneo. I droni Hermes di Elbit e Heron di IAI sono stati usati durante le guerre di Israele contro Gaza sin dal 2008.
Ma la situazione al confine fra Messico e USA è ancora più estrema:
La frontiera tra Stati Uniti e Messico è diventata un’importante destinazione per le aziende israeliane della sicurezza e della sorveglianza, e la loro attività in Palestina viene usata come mezzo di promozione. Questo modello spregiudicato per aggiudicarsi le gare d’appalto è estremamente efficace, e fa poca differenza che alla Casa Bianca ci sia un democratico o un repubblicano, in quanto mettere in sicurezza una frontiera lunga tremila chilometri gode di un sostegno bipartisan. La tecnologia israeliana è un elemento fondamentale per la sua militarizzazione. L’idea è combinare tecnologie di sorveglianza, infrastrutture di frontiera, unità tattiche e il sistema delle Integrated Fixed Towers (IFT, Torri fisse integrate) per prevenire e dissuadere i tentativi dei migranti di entrare nel paese e attraversare il deserto, esponendosi a rischi altissimi di morte.
Servizi per democrazie e dittature
Società israeliane come Cellebrite e NSO hanno poi venduto software per lo spionaggio dei telefoni cellulari in tutto il mondo, e anche a numerosi dipartimenti di polizia negli USA. NSO, società strettamente legata allo Stato israeliano, ha avuto numerosi rapporti di collaborazione con dittature arabe come Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.
Le tecnologie di NSO sono state sviluppate da veterani dell’Unità 8200, agenzia di intelligence del governo israeliano. La società fu accusata di complicità nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avendo il suo software Pegasus permesso alla monarchia saudita di seguire i movimenti del giornalista prima della sua uccisione.
Ma, scrive Loewenstein:
NSO non è l’unica azienda cibernetica a fare danni in giro per il mondo. Cellebrite è un’altra società israeliana che, sebbene collabori con Stati autoritari, ha però ricevuto molte meno critiche. E’ difficile sapere esattamente perché sia sfuggita alla cattiva fama di NSO, forse è perché preferisce tenere nascoste le sue capacita di violare i telefoni, o perché l’alleanza di NSO con numerosi despoti ha catturato in modo esclusivo l’attenzione di ricercatori e media che spesso non riescono a fare i doverosi collegamenti con lo Stato israeliano. «Cellebrite vende dispositivi per hackerare i telefoni da vicino, NSO Group da lontano, ma gli effetti per gli attivisti sono gli stessi» […].
Sorveglianza pandemica
Le multinazionali della sorveglianza, al primo posto quelle israeliane, hanno fatto lucrosi affari anche vendendo sistemi di tracciamento e pubblicizzando i loro servizi di controllo durante la crisi del Covid-19, nel corso della quale il governo israeliano ha usato perfino lo Shin Bet, il servizio segreto interno, per monitorare i propri cittadini.
Le società di sorveglianza di tutto il mondo si sono mostrate entusiaste alla prospettiva che i loro servizi venissero usati durante la pandemia. Le ditte israeliane erano in prima fila. Carbyne, fondata da ex membri dell’intelligence militare, ha offerto un prodotto pubblicizzato come un servizio telefonico di emergenza di nuova generazione che richiedeva l’accesso di un utente al loro numero di telefono cellulare, accesso che poi permetteva l’uso dei suoi servizi video e di geolocalizzazione. Il servizio è stato usato durante la pandemia per localizzare accuratamente i pazienti Covid-19. I rischi per la privacy erano ovvi, ma di rado vi è stato fatto cenno nella maggior parte delle valutazioni positive espresse sui media. Carbyne godeva dell’appoggio dell’ex premier Ehud Barak e dell’investitore miliardario Peter Thiel, oltre ad aver ricevuto un piccolo finanziamento da parte del pedofilo (ora deceduto) Jeffrey Epstein.
L’azienda israeliana Supercom era esperta in braccialetti elettronici alla caviglia e vendeva i suoi prodotti per seguire i prigionieri che uscivano di prigione negli Stati Uniti. Durante la pandemia ha conosciuto un picco di interesse, grazie a pubblicità che menzionavano esplicitamente come la sua esperienza con individui incarcerati o condannati potesse essere sfruttata per rilevare il Covid-19 tra la popolazione. La Finlandia ha abbracciato questa tecnologia nel 2021 acquistando «strumenti di monitoraggio biometrico dei criminali», espressione fantasiosa per indicare il tracciamento GPS. Nello stesso anno Supercom ha venduto a Israele 30.000 braccialetti elettronici per far rispettare le misure di quarantena.
Decenni di occupazione avevano dunque preparato Israele alla sfida del Covid-19. Le aziende della difesa hanno riconvertito i loro sistemi per aiutare lo Stato ebraico ad affrontare la pandemia. Il Ministero della Difesa ha pubblicato un documento che elencava tutte le principali società del paese, comprese Elbit e NSO Group, promuovendole presso altri Stati come fornitrici delle soluzioni ideali per «affrontare i vari bisogni delle autorità in tempi di emergenza». Nel maggio 2020 Israele ha ammesso di puntare a espandere le esportazioni nel settore della difesa, in particolare di dispositivi per tracciare i civili.
Occupazione: un business di successo
La crescita del settore israeliano della difesa e della sicurezza è inseparabile dall’occupazione palestinese. I sistemi biometrici e di riconoscimento facciale, di monitoraggio dei telefoni cellulari, le telecamere controllate dall’intelligenza artificiale, vengono testati quotidianamente a Gaza e in Cisgiordania, in particolare presso gli innumerevoli checkpoint che rendono impossibile la vita dei palestinesi.
Loewenstein ci fornisce una descrizione estremamente dettagliata di tali sistemi:
L’IDF [l’esercito israeliano (N.d.R.)] fa ampio uso del riconoscimento facciale, con una rete crescente di telecamere e telefoni cellulari per seguire i movimenti di ogni palestinese in Cisgiordania. A partire dal 2019 i soldati israeliani usano l’app Blue Wolf per catturare i volti dei palestinesi, che sono poi confrontati con un enorme archivio di immagini denominato “Facebook per i palestinesi”. I soldati vengono sollecitati a competere tra loro per chi scatta più foto di palestinesi e il più prolifico vince dei premi.
Il sistema è spinto al massimo nella citta di Hebron, dove il riconoscimento facciale e numerose telecamere vengono usati per monitorare i palestinesi, a volte persino dentro le loro case, anziché i coloni ebrei estremisti che vivono lì e che di continuo lanciano minacce genocide contro i palestinesi. L’IDF ha sostenuto che il programma mira a «migliorare la qualità della vita della popolazione palestinese».
Nel 2022 Israele ha installato un sistema da remoto per il controllo della folla a Hebron, uno strumento in grado di sparare gas lacrimogeni, proiettili di gomma e granate stordenti, creato dall’azienda israeliana Smart Shooter, la quale sostiene di utilizzare con successo l’intelligenza artificiale nel trovare i bersagli. Smart Shooter è una presenza regolare nel circuito internazionale delle fiere sulla difesa e ha venduto i propri dispositivi a oltre una dozzina di paesi.
Molti dei posti di blocco in Cisgiordania sono gestiti da società private, che a loro volta assumono veterani dell’esercito e dell’intelligence. Scrive Loewenstein:
Poiché i funzionari israeliani continuano a dichiarare che l’occupazione è temporanea, all’interno dello Stato ebraico il tema della strisciante privatizzazione della sicurezza non è mai stato discusso a fondo. I politici hanno parlato dell’esternalizzazione come di una «civilizzazione dei checkpoint» o di «autonomia» per i palestinesi.
Nel libro del 2018 The Privatisation of Israeli Security (‘La privatizzazione della sicurezza in Israele’), lo studioso di economia Shir Hever scrive che questo processo diventerà un problema politico per le élite israeliane solo se o quando le autorità «si ritroveranno restie o incapaci di investire le risorse necessarie per tenere in piedi i contratti con le numerose pmsc [le società militari e di sicurezza private] e le aziende che fabbricano armi. [...] Quando arriverà quel momento, sarà rivelata la funzione cardine delle élite israeliane della sicurezza: l’occupazione e la repressione dei palestinesi».
Resta ancora una volta da sottolineare che Loewenstein mostra minuziosamente come tale sistema di sorveglianza si fondi su una totale disumanizzazione dei palestinesi, i quali diventano soggetti nei confronti dei quali è possibile esercitare solo un sistema di repressione e controllo totalizzante.
Ma il suo libro spiega anche chiaramente che la logica capitalistica alla base di questo sistema fa sì che esso venga esportato a livello mondiale, e sempre più utilizzato non solo a fini di repressione militare, ma anche di controllo civile.