La corona britannica al tempo di re Carlo
Dalla “Global Britain” all’antagonismo con la Russia, Londra si dibatte fra nostalgia imperiale e inarrestabile declino.

Lo scorso 6 maggio, l’abituale routine della “democratica” Europa occidentale è stata brevemente interrotta da un evento tanto bizzarro quanto arcaico, l’incoronazione di Carlo e della consorte Camilla nell’abbazia di Westminster, a Londra.
L’evento era stato annunciato come un'opportunità per inaugurare un nuovo tipo di monarchia – più agile, accessibile e inclusiva – che avrebbe accompagnato il Regno Unito nel XXI secolo.
Se si eccettua qualche tocco di modernità, la cerimonia si è tuttavia risolta nella sfarzosa celebrazione di un antico rituale che, come la stessa monarchia, è ancora impregnato della pesante eredità del passato.
Dietro quello che ad alcuni sarà parso al più come un evento folcloristico, o come l’innocente rievocazione di un’antica tradizione, si cela una realtà più profonda e radicata, quella della persistenza di strutture e gerarchie del potere che tuttora connotano la Gran Bretagna e in parte anche il continente europeo.
Sotto la patina della democrazia, con la sua retorica egualitarista, tali strutture – eredità di un passato più vicino di quanto si pensi – esercitano tuttora una grande influenza che, insieme a quella delle nuove élite economiche e finanziarie, spesso addirittura aumenta invece di diminuire, alla luce della crisi delle istituzioni democratiche, delle crescenti sperequazioni sociali, e della sempre più iniqua distribuzione dell’autorità e della ricchezza.
Oltre ai membri della famiglia reale, del governo e del parlamento, alle autorità religiose britanniche, ai governatori dei possedimenti d’oltremare (testimonianza vivente di un impero non ancora tramontato), ai rappresentanti dei paesi del Commonwealth (altro lascito dell’impero), ai membri delle principali famiglie reali (tuttora regnanti o meno) dell’Europa e del mondo, ai numerosi capi di stato ed esponenti governativi, alla cerimonia erano presenti anche i rappresentanti delle principali istituzioni europee (Ursula von der Leyen, Charles Michel, Roberta Metsola), il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, numerose celebrità a vario titolo, rappresentanti di organizzazioni di beneficienza, e 200 individui selezionati dal Prince's Trust e dalle sue filiali internazionali, dalla Prince's Foundation, dal National Literacy Trust, e dalla Circular Bioeconomy Alliance (una piattaforma fondata da Carlo, a testimonianza del suo interesse per la transizione ecologica e la quarta rivoluzione industriale, e del suo stretto rapporto con il World Economic Forum, che figura tra i partner dell’iniziativa).
Se l’enorme concentrazione di potere riunita all’abbazia di Westminster rappresenta di certo l’elemento più importante di questa celebrazione, la lista dei governi dei paesi non invitati chiarisce ulteriormente il valore geopolitico dell’evento. Fra tali paesi spicca in primo luogo la Russia, insieme alla Bielorussia, all’Iran, alla Siria, al Venezuela, all’Afghanistan ed a Myanmar.
Le radici della monarchia
Ancora oggi, il momento più sacro della complicatissima e arcana celebrazione è quello in cui ha luogo “l’unzione” del re, che precede l’incoronazione vera e propria. Essa avviene al riparo di un baldacchino che dà le spalle al pubblico, il quale non può assistervi.
Il trono dell’incoronazione, su cui siede il re, ospita un’enorme pietra del peso di 152 kg, chiamata la “Pietra del Destino”, che secondo la leggenda fu usata come cuscino da Giacobbe quando ebbe la visione della scala che portava al cielo.
Il baldacchino tradizionale ha la funzione di separare il monarca dal resto dell’umanità, poiché al momento dell’unzione egli diviene un sovrano scelto da Dio. E’ il momento in cui l'arcivescovo di Canterbury versa il crisma, o olio santo, proveniente dal Monte degli Ulivi e appositamente benedetto a Gerusalemme, da un'ampolla d'oro per poi ungere il re facendo una croce sulle mani, sul petto e sulla testa.
Ma Carlo ha richiesto una riservatezza ancora maggiore, e per l’occasione uno speciale schermo è stato donato dalla Corporazione della City di Londra, antichissima forma di governo (risalente al Medioevo) che amministra una piccola area del centro di Londra (la City, appunto), anche nota come il “Miglio Quadrato”.
Esso ospita alcune fra le istituzioni più potenti al mondo: la Bank of England, le oltre 500 banche che costituiscono il centro finanziario di Londra (uno dei più importanti del pianeta), e il London Stock Exchange, assieme alla Cattedrale di St Paul e alla Chiesa del Tempio (Temple Church), edificata nel XII secolo dai cavalieri templari.
Lo schermo, che doveva nascondere Carlo agli occhi del pubblico e delle telecamere, ritraeva un albero raffigurante i 56 paesi membri del Commonwealth. Al di sopra dell’albero vi erano due angeli che con le loro trombe annunciavano l’incoronazione agli uomini e a Dio.
Alla cerimonia hanno assistito anche i due membri più “controversi” della famiglia reale. Il principe Andrew, fratello di Carlo, in disgrazia a causa dei suoi legami con il finanziere americano Jeffrey Epstein (al centro di una rete che organizzava incontri sessuali fra ragazze minorenni e politici di alto livello, e morto – ufficialmente suicida – in carcere nel 2019). E il principe Harry, figlio di Carlo, che vive in amaro esilio in California dopo essere stato privato di tutte le sue prerogative reali.
Questa cerimonia che, se si eccettua l’innovazione dello schermo, rimane pressoché immutata da secoli, evidentemente non è una mera questione di tradizione, ma una componente essenziale della legittimazione del potere della corona britannica.
L’incoronazione del sovrano è sempre un momento difficile per il Regno Unito, perché fa riemergere la tensione fra due sistemi contraddittori, quello della democrazia parlamentare e quello del capo dello stato per diritto di nascita.
Nell’incoronazione di Carlo, come in quelle precedenti, questa tensione culmina nel giuramento di fedeltà pronunciato dall’arcivescovo di Canterbury, che tutti i cittadini britannici sono teoricamente invitati a ripetere: “Giuro che presterò piena fedeltà a Vostra Maestà e ai vostri eredi e successori secondo la legge. Dunque, che Dio mi aiuti”.
Il potere della Corona
Che la carica di sovrano della Gran Bretagna non sia un ruolo meramente simbolico lo si comprende da una serie di attributi che caratterizzano la monarchia.
La Crown Estate (Proprietà della Corona),che viene ereditata dal monarca regnante, oltre a un portafoglio urbano del valore di 9,1 miliardi di sterline, possiede i 15.500 acri della tenuta di Windsor, 287.000 acri di terreni agricoli e forestali, il 55% del litorale del Regno Unito, più il fondale marino fino a 12 miglia nautiche – circa 23,6 milioni di acri in totale (pari a circa 95.000 km quadrati).
La Crown Estate, valutata intorno ai 28 miliardi di sterline (e che nel 2022 ha prodotto un utile di 312,7 milioni il quale, appartenendo a un ente della Corona, è esente da imposte), non ha istituzioni analoghe al mondo.
A ciò si aggiunga che nessun disegno di legge riguardante le prerogative legali o gli interessi finanziari del re, comprese le sue entrate ereditarie e la sua proprietà personale, può essere discusso dal parlamento senza la previa approvazione del sovrano.
L’effetto principale dell'investitura del re, tuttavia, è “La Corona”, intesa come società individuale non statutaria a cui appartengono tutti i terreni nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Essi vengono affittati al governo, alla Chiesa d'Inghilterra, all'Eton College, alle università di Oxford e Cambridge, al Ministero della Difesa, al National Trust, alla Forestry Commission, a 24 duchi e a diverse migliaia di società private.
In conseguenza di ciò, lo 0,3% della popolazione del Regno Unito (circa 160.000 famiglie) detiene la proprietà su due terzi dei 60 milioni di acri di terra del paese. Gran parte di questa terra è diretta proprietà della famiglia reale e dell’aristocrazia britannica.
Si tratta perlopiù dei discendenti dei Normanni e degli Anglo-Normanni: aristocratici che fanno risalire il loro lignaggio alle circa novanta famiglie che combatterono nella battaglia di Hastings del 1066, e poi amministrarono il sistema feudale imposto all'Inghilterra dopo la vittoria normanna.
Il più vasto impero della storia
L’influenza della famiglia reale e dell’aristocrazia britannica, tuttavia, va ben al di là del territorio del Regno Unito propriamente detto, essendo la Gran Bretagna erede di un impero che, al culmine della propria espansione, poco dopo la prima guerra mondiale, controllava circa un quarto della popolazione e della massa continentale del pianeta.
Per i britannici dell’epoca, l’impero incarnava la superiorità culturale della loro nazione. Esso si fondava però su una dottrina evoluzionista a sfondo razziale che presupponeva la supremazia dei conquistatori, giustificando uno spietato ricorso alla violenza per garantire e preservare gli interessi imperiali della nazione. Il fondamento ideologico della violenza era radicato nella convinzione che le irrequiete popolazioni assoggettate dovessero ricevere periodicamente una “lezione” sulla realtà ineluttabile del potere "civilizzato".
La ragione principale per cui l'impero britannico è stato in grado di sopravvivere per più di due secoli, sostiene la storica Caroline Elkins, è che il modello britannico di violenza di stato era avvolto nel "guanto di velluto" dello stato liberale e riformista.
Gli orrori coloniali dell’impero includono la decimazione delle popolazioni indigene delle Americhe, il traffico verso il continente americano di circa 15 milioni di africani ridotti in schiavitù (6 dei quali morirono durante il trasferimento, mentre altri milioni furono vittime delle violenze coloniali perpetrate in Africa), le carestie “dimenticate” dell’India, che provocarono decine di milioni di morti fra il XIX e l’inizio del XX secolo, lo sterminio di circa 2 milioni di indigeni australiani, solo per citare i massacri più imponenti.
Anche durante la fase del declino imperiale seguita alla seconda guerra mondiale, il Regno Unito continuò ad esercitare un’enorme influenza sugli affari mondiali. Londra ha pianificato ed in parte implementato oltre 40 tentativi di colpo di stato in 27 paesi nel secondo dopoguerra, attraverso azioni di intelligence, omicidi, e interventi militari diretti o indiretti.
Erede immediato dell’impero è il Commonwealth delle Nazioni, formalizzato con lo Statuto di Westminster del 1931. Composto da 56 stati membri, gran parte dei quali erano stati possedimenti coloniali britannici, esso comprende un sottoinsieme di 15 paesi, i reami del Commonwealth (fra cui Canada, Australia e Nuova Zelanda), i quali riconoscono come proprio capo di stato il sovrano britannico.
Questa è la ragione per cui il premier canadese Justin Trudeau, in occasione del suo insediamento nel 2015, pronunciò un giuramento di fedeltà alla regina Elisabetta non dissimile da quello che sono invitati a proferire i cittadini britannici. E lo stesso fanno i membri delle due camere del parlamento canadese.
Egemonia dell’anglosfera
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la declinante influenza internazionale britannica è stata in gran parte complementare a quella americana, nel frattempo divenuta dominante.
Mentre gli USA esercitavano il predominio attraverso il loro strapotere militare e finanziario (incarnato dall’egemonia del dollaro e dalle istituzioni del “Washington consensus” – FMI, Banca Mondiale, ecc.), la Gran Bretagna rimase un membro di spicco della NATO e un elemento chiave dei cosiddetti “Five Eyes”, alleanza di intelligence che include Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.
Alcuni hanno individuato l’origine di tale alleanza nel “discorso della Cortina di ferro”, pronunciato da Winston Churchill nel 1946, allorché egli parlò della necessità di una “fraterna associazione dei popoli anglofoni” per contrastare il blocco sovietico.
“Ciò significa”, aggiunse il leader britannico, “una ‘relazione speciale’ fra il Commonwealth e l’impero britannico, e gli Stati Uniti”. Questo implicava non solo uno stretto rapporto di amicizia, ma un’intima relazione a livello militare e di sicurezza.
Accanto a ciò, la Gran Bretagna ha continuato a lungo ad esercitare il suo residuo potere attraverso la City, il distretto finanziario di Londra, il LIBOR (London Interbank Offered Rate) che regolava molte delle interazioni finanziarie mondiali, e la London Bullion Market Association (LBMA) che comprende i più vasti mercati mondiali di oro e argento.
Crisi e declino
Il Regno Unito ha tuttavia seguito la parabola discendente degli USA e dell’intero Occidente. Se nel 2008, l’anno della crisi finanziaria, il 12% dei britannici riteneva che i propri figli sarebbero stati peggio di loro, questa percentuale oggi è salita al 41%, secondo un sondaggio Ipsos.
Un’indagine del Financial Times ha concluso che, ai ritmi attuali, il Regno Unito sarà più povero della Polonia entro un decennio, e avrà un reddito reale medio inferiore a quello della Slovenia entro il 2024. Molte aree di provincia hanno già un PIL inferiore a quello dell'Europa dell’Est.
Secondo un’analisi della rivista Palladium, la Gran Bretagna ha ormai un’élite consolidata che si accontenta di vivere della rendita di epoche passate. Il suo ordine sociale è costituito dall'eredità culturale della vecchia aristocrazia, sostenuta dagli intermediari finanziari londinesi, e servita da una classe media che si assottiglia sempre di più. Il sistema britannico incentiva il lavoro speculativo, le consulenze, i servizi finanziari, rispetto alla produzione, alla ricerca ed al lavoro manifatturiero.
La deindustrializzazione ha reso inutili vaste aree del paese, determinando declino economico e sociale. Puntando tutto sulla trasformazione della City di Londra in un centro finanziario mondiale, i governi britannici hanno accelerato le già presenti spinte centrifughe, sottraendo valore al resto del paese e concentrandolo nella capitale, con conseguenze devastanti.
La speranza che l’uscita dall’UE avrebbe restituito influenza alla “Global Britain”, liberando il paese dai lacci europei e consentendogli di riacquistare un ruolo globale, si è rivelata un’illusione alimentata dalle mai sopite nostalgie imperiali.
La Gran Bretagna oggi è una media potenza con una tradizione imperiale ancora viva nei settori della diplomazia, della difesa, dell’intelligence e del commercio. E’ un paese in declino che tuttora nutre ambizioni globali.
Ed è sul fronte ucraino, inviando finanziamenti, armi e forze speciali, che Londra ha riversato una parte consistente di queste residue ambizioni, alimentate da un’ostilità nei confronti della Russia che è anch’essa un lascito imperiale risalente al XIX secolo, allorché la potenza britannica e l’impero zarista si confrontavano nel “Grande Gioco” per il controllo del continente asiatico.
Grazie come sempre dell'articolo e delle riflessioni. Gb con questa politica determinata e senza compromessi di appoggio all'Ucraina sta puntando su una polarizzazione del continente europeo per riavere un ruolo egemone...rischia di essere il canto del cigno di uno stato a scapito dei suoi sudditi sempre più soli e poveri che continuano a credere troppo nel loro orgoglio ubriacati dal ritornello "God save the king" ...Uno stato non si definisce solo attraverso un inno , una bandiera o la propria storia ma dalla capacità di distribuire la ricchezza equamente e fornire opportunità...anche il loro modello liberale ha fallito alla luce della attualità.