Il genocidio culturale di Gaza
Ciò che sta accadendo a Gaza è un processo di annientamento che compromette il patrimonio culturale, l’identità, l’esistenza fisica e spirituale dell’intera popolazione della Striscia.
Dall’inizio della campagna israeliana di bombardamenti a Gaza, lo scorso 7 ottobre, la Striscia è divenuta un’enclave di morte, sradicamento e distruzione. Oltre 30.000 palestinesi sono rimasti uccisi, più di 70.000 sono i feriti, molti dei quali hanno perso arti e/o saranno soggetti a disabilità permanenti.
Fra i civili, sono stati colpiti anche medici, operatori umanitari, professori, scienziati, artisti – cancellati insieme alle loro famiglie. Oltre 100 giornalisti sono caduti sotto il fuoco israeliano.
Le operazioni belliche di Israele nella Striscia costituiscono uno dei più violenti attacchi militari dalla fine della seconda guerra mondiale. Non vi è alcuna reciprocità nel conflitto, visto che Gaza non ha un esercito, e che i miliziani di Hamas, si limitano ormai – al più – ad azioni di guerriglia.
Ampie porzioni della Striscia sono state “ripulite” dai loro abitanti. Circa l’85% della popolazione è sfollata all’interno dell’enclave. I bulldozer israeliani hanno raso al suolo e devastato terreni agricoli, serre, frutteti che avevano impiegato anni per crescere, condannando alla fame gli abitanti di Gaza che sopravviveranno ai bombardamenti.
Oltre 250.000 abitazioni sono state totalmente o parzialmente distrutte, in quello che è stato definito un “domicidio” – una nuova tipologia di crimine contro l’umanità che indica la distruzione sistematica, deliberata e consapevole di alloggi ed infrastrutture di base nelle aree residenziali.
Tale distruzione ha compreso scuole, ospedali, cliniche, moschee, chiese, siti storici e archeologici, fabbriche, biblioteche, archivi, centri culturali. Tutte le università di Gaza sono state rase al suolo. Neanche i morti sono al sicuro: i bulldozer dell’esercito israeliano hanno distrutto cimiteri, e i soldati hanno profanato tombe.
Cancellazione dell’identità culturale
Il 18 gennaio, i militari israeliani hanno distrutto l’Università della Palestina, l’ultima rimasta in piedi a Gaza, con 315 cariche esplosive. L’Università Islamica di Gaza, la più importante dell’enclave, era stata bombardata l’11 ottobre (quattro giorni dopo l’attacco di Hamas). L’Università Al-Azhar, altro istituto di spicco, era stata ridotta in macerie il 6 novembre.
Tramite la distruzione di università e archivi, i palestinesi hanno perso manoscritti vecchi di secoli ed altre risorse inestimabili per conoscere l’evoluzione storica e culturale di Gaza. Manufatti e tesori archeologici sono stati gravemente danneggiati, tra cui una collezione di ceramiche di epoca bizantina e un cimitero romano recentemente rinvenuto.
Secondo l’UNESCO, oltre 195 siti storici sono stati distrutti o danneggiati durante l’attacco israeliano. Il Gaza Media Office aveva dichiarato a dicembre che 200 dei 325 siti archeologici e antichi registrati nell'enclave erano stati distrutti.
La devastazione è senza fine. La principale biblioteca pubblica della Striscia e gli archivi centrali sono in macerie. Così come il Museo di Rafah che per trent’anni raccolse monete e manufatti antichi. Stessa sorte è toccata al Museo Culturale Al-Qarara, al Centro Culturale Rashad Al-Shawa (che nel 1998 ospitò un incontro fra il presidente americano Bill Clinton e Yasser Arafat, allora presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese) e alla sua biblioteca.
Molte altre biblioteche sono state colpite. A Gaza i libri sono un bene prezioso. A causa dell’embargo israeliano, essi non possono essere importati direttamente nella Striscia. Devono passare attraverso il territorio israeliano, dove vengono controllati e autorizzati.
Israele può bloccare il servizio di spedizioni in qualsiasi momento, anche per alcuni mesi, come accadde nel 2016. Ogni biblioteca distrutta è una perdita incalcolabile.
Nulla è sacro, nemmeno i luoghi di culto
Secondo il Ministero del Turismo e delle Antichità di Gaza, a inizio dicembre Israele aveva bombardato quasi 200 moschee, inclusa la Grande Moschea di Omar, vecchia di quasi 1400 anni. L’intera struttura è stata distrutta, ad eccezione del suo minareto.
La moschea incarnava la ricca e molteplice storia della Striscia: originariamente tempio pagano, essa fu trasformata in una chiesa bizantina, e poi convertita in una moschea durante l’espansione musulmana.
La Grande Moschea di Omar era uno storico punto di aggregazione per la comunità di Gaza, e un luogo di incontri culturali. Attorno ad essa, la città vecchia giace in rovina.
Neanche i luoghi di culto cristiani sono stati risparmiati. Il monastero di Sant’Ilarione, risalente al V secolo, è stato danneggiato, mentre 17 cristiani palestinesi sono rimasti uccisi nell’attacco alla chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, ritenuta la terza più antica al mondo.
Le chiese e le moschee della Striscia sono simboli della tradizione dell’enclave palestinese, incarnazione della sua lunga storia di coesistenza interreligiosa.
In macerie è anche Qasr al-Basha (il Palazzo del Pascià), che nel VII secolo ospitò la famiglia Al-Radwan di governatori e vassalli ottomani, e nel quale, secondo la tradizione, Napoleone avrebbe trascorso tre notti durante il suo assedio di Acri nel 1799 (ragion per cui il palazzo era noto anche come il Forte di Napoleone).
Annientare l’anima di Gaza
Gli attacchi israeliani hanno sterminato anche studiosi, letterati e artisti di spicco nella Striscia. Lo scienziato Sufyan Tayeh, presidente dell’Università Islamica di Gaza (distrutta a ottobre), e autorità nel campo della fisica teorica e della matematica applicata, è rimasto ucciso con i suoi familiari in un bombardamento aereo il 2 dicembre.
Refaat Alareer, professore, poeta e scrittore, è stato ucciso da un altro attacco aereo cinque giorni più tardi, insieme alla sua famiglia. La giovane poetessa, e autrice di romanzi, Heba Abu Nada, aveva già trovato la morte a ottobre, ad appena 32 anni.
Il suo ultimo tweet in arabo recitava così: “La notte della città è buia, tranne che per il bagliore dei missili, silenziosa, tranne che per il fragore delle bombe, spaventosa, tranne che per il conforto della preghiera, nera, tranne che per la luce dei martiri. Buonanotte Gaza”.
Ciò che sta accadendo a Gaza va ben al di là della distruzione materiale o dell’uccisione delle persone. E’ un processo di annientamento che compromette il patrimonio culturale, l’identità, l’esistenza fisica e spirituale dell’intera popolazione della Striscia.
Epistemicidio come strumento di colonizzazione
La cancellazione della memoria collettiva, del legame con il passato, equivale a un genocidio culturale, espressione coniata dall’avvocato polacco Ralph Lemkin nel 1944, che include lo sforzo di eliminare la cultura, la lingua, la dimensione religiosa dei gruppi colpiti. Esso non è un evento improvviso, ma un processo progressivo che contempla diverse fasi, creando traumi che persistono per generazioni.
Alcuni analisti palestinesi hanno fatto ricorso al concetto di epistemicidio – distruzione della conoscenza. Il sociologo latinoamericano Ramón Grosfoguel spiega come l’epistemicidio giocò un ruolo cruciale nella colonizzazione europea del resto del mondo, inclusa quella delle Americhe.
Esso garantì alla cultura europea un “privilegio epistemico”, permettendole di divenire “il nuovo fondamento della conoscenza nel mondo moderno/coloniale”.
In altre parole, l’epistemicidio creò un mondo in cui solo la conoscenza prodotta dai colonizzatori europei era considerata legittima, mentre le società colonizzate furono costrette a costruire nuovi paradigmi partendo da zero – spesso rispecchiando quelli dei loro colonizzatori – perché i loro sistemi di conoscenza erano stati spazzati via.
Di conseguenza, le condizioni strutturali della produzione di conoscenza che favorirono i meccanismi della colonizzazione delle società non europee, posero anche vincoli alla loro liberazione.
Le fasi del genocidio culturale palestinese
Un iniziale esempio di epistemicidio in Palestina risale al Mandato britannico, allorché gli inglesi cercarono di impedire lo sviluppo di un sistema palestinese di istruzione superiore, mentre permisero la creazione di università sioniste.
L’epistemicidio palestinese proseguì per gradi successivi. Durante la Nakba (Catastrofe) palestinese del 1948, 30.000 volumi e manoscritti furono saccheggiati dalle abitazioni palestinesi. Nel 1982, durante l’invasione israeliana del Libano, i soldati israeliani confiscarono e saccheggiarono la biblioteca e gli archivi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Biblioteche, librerie e archivi furono danneggiati durante la seconda Intifada, e ripetutamente colpiti durante le ricorrenti campagne militari israeliane a Gaza.
Jean-Baptiste Humbert, un archeologo francese che ha lavorato per decenni in Palestina, ha affermato che “la società di Gaza è sensibile alla sua eredità storica, ma l’oppressione inflitta dalle forze di occupazione negli ultimi cinquant’anni significa che priorità vitali come il nutrimento, l’assistenza e l’istruzione della popolazione hanno spinto ai margini il patrimonio culturale, come un lusso per paesi ricchi”.
L’eredità storica di Gaza
Gaza vanta tuttavia una storia ricchissima, essendo stata una cruciale via di transito fra Asia e Africa. Le origini del suo nome sono antichissime. Nelle lettere di Tel el-Amarna, tavolette d’argilla risalenti al XIV secolo a.C., era chiamata “Gazatu” e “Gazata”.
L’antico prestigio di Gaza è ulteriormente corroborato dai numerosi manufatti faraonici rinvenuti nella città e nelle sue vicinanze. Scoperte degne di nota includono gioielli, collane d'oro, statue in avorio e marmo, vasi e utensili.
Nel 332 a.C., Gaza fu assediata per due mesi da Alessandro Magno. La diffusione del cristianesimo nella regione risale al V secolo. Nel 634 d.C. Gaza fu conquistata dal condottiero arabo Amr ibn al-As e fu islamizzata.
Gaza raggiunse l’apice del suo splendore in epoca mamelucca, per poi cadere sotto il controllo ottomano nel 1516. Dal 1948 al 1950, Gaza ricevette centinaia di migliaia di profughi palestinesi fuggiti dalle loro case a seguito della Nakba provocata dalla nascita dello Stato di Israele.
Da allora, la Striscia ha sopportato ripetute distruzioni, trasferimenti forzati di popolazione, conflitti, assedi e altri episodi di violenza nel contesto del conflitto israelo-palestinese.
L’azione militare israeliana iniziata il 7 ottobre 2023, dopo l’attacco di Hamas, è probabilmente la più distruttiva nella lunga e travagliata storia di Gaza, al punto da mettere seriamente a rischio la sopravvivenza stessa della sua popolazione e del suo patrimonio storico e culturale.
Naturalmente adesso verrai classificato come “antisemita”. Di questi tempi sta diventando quasi come una medaglia…
L’unica cosa che spero è che questa volta Israele o, meglio, i sionisti e gli estremisti israeliani abbiano fatto il passo più lungo della gamba attirandosi lo sdegno di molta parte del mondo e che questo consenta finalmente di trovare una soluzione alla questione palestinese. Ma a che prezzo!!! E chi lo pagherà? Dubito che il mondo sarà così prodigo e dubito che veramente a qualcuno, anche nel mondo arabo, interessi realmente dei Palestinesi… povero popolo, come i Curdi, schiacciato nel maglio della Storia.
Adesso è palese, che Israele non mira ad annientare Hamas, ma mira proprio ad annientare un intero popolo, e non la smetterà,altro che negoziati