Il disastro della diga di Kakhovka, e i ricorsi della storia
La distruzione della diga modifica il teatro di guerra, provoca una catastrofe umanitaria e ambientale, e rievoca due episodi analoghi occorsi durante la seconda guerra mondiale.
La scorsa settimana ha registrato eventi che segnano un altro spartiacque nel conflitto ucraino. La lungamente annunciata controffensiva dell’esercito di Kiev aveva appena avuto inizio, in realtà con scarsi successi e numerose perdite, allorché, la notte del 6 giugno, la rottura della diga di Nova Kakhovka, lungo il basso corso del fiume Dnepr, ha determinato l’inizio di un’inondazione destinata a provocare un disastro di enormi proporzioni.
Non più trattenute dalla diga, le impetuose acque del fiume si sono riversate a valle provocando la fuga di decine di migliaia di persone, sommergendo città e terreni agricoli, e bloccando l'approvvigionamento di acqua potabile per centinaia di migliaia di ucraini.
E’ iniziato subito lo scambio di accuse fra Mosca da un lato, e Kiev e i suoi alleati dall’altro, sebbene con alcuni distinguo. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha incolpato la Russia indirettamente definendo la distruzione della diga “un atto oltraggioso, che dimostra – ancora una volta – la brutalità della guerra russa contro l'Ucraina”.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha descritto l’incidente come una “nuova dimensione” della guerra russa, affermando che l’attacco alla diga “si addice al modo in cui Putin sta conducendo questa guerra”.
E’ interessante notare, tuttavia, che la reazione iniziale della Casa Bianca è stata prudente. Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale John Kirby ha affermato: “Stiamo lavorando con gli ucraini per raccogliere maggiori informazioni. Ma al momento non possiamo dire in modo definitivo cosa sia accaduto”.
Da parte sua, la Russia, in particolare per bocca del ministro della difesa Sergey Shoigu, ha accusato Kiev di aver distrutto la diga, sottolineando l'interesse ucraino a contrastare possibili azioni offensive da parte di Mosca nella regione di Kherson a valle della diga stessa.
Un obiettivo lungamente conteso
La dinamica di quanto accaduto rimane avvolta nel mistero. La diga si trova circa 30 km a est della città di Kherson, è alta 30 m e lunga oltre 3 km. Costruita nel 1956 come parte della centrale idroelettrica di Kakhovka, crea un bacino idrico lungo 240 km e largo fino a 23 km.
Sono state fatte varie ipotesi sulle cause che hanno portato alla distruzione della diga, in particolare quella di un cedimento strutturale visto che essa era già stata danneggiata, quella di un attacco missilistico e/o di artiglieria, e quella di un’esplosione interna dovuta alla possibilità che la struttura fosse stata minata.
Subito dopo l’inizio dell’invasione, le forze russe avevano preso il controllo delle due rive del basso corso del Dnepr, inclusa la diga e la strada che la sovrasta. Dopo aver ricevuto armi dall’Occidente, gli ucraini cominciarono a bersagliare sia la diga che la strada con proiettili di artiglieria guidati Excalibur da 155 mm e con sistemi lanciarazzi HIMARS.
In preparazione della controffensiva per riconquistare Kherson, tra ottobre e novembre 2022, il generale ucraino Andriy Kovalchuk aveva puntato a tagliare le linee di rifornimento che sostenevano le truppe russe in prima linea, in particolare i tre ponti che attraversavano il Dnepr: i due ponti Antonovsky (stradale e ferroviario) e quello sulla diga di Kakhovka.
I due ponti Antonovsky furono resi inutilizzabili dai lanciarazzi HIMARS. Kovalchuk prese in considerazione anche la possibilità di allagare il basso corso del Dnepr colpendo la diga.
Gli ucraini condussero un attacco di prova con gli HIMARS su una delle paratoie della diga, per vedere se il livello del fiume potesse essere innalzato abbastanza da ostacolare gli attraversamenti russi (tramite pontoni e traghetti) senza sommergere i vicini villaggi.
L’esperimento ebbe successo, ma Kovalchuk preferì rinviare altri attacchi, considerandoli come un’estrema risorsa a cui eventualmente ricorrere.
Il rischio di vedere le proprie truppe sulla riva destra del fiume isolate dalle loro linee di rifornimento, e dunque alla mercé degli avversari, fu proprio ciò che spinse il generale russo Sergey Surovikin a ritirare i suoi soldati sulla sponda sinistra evacuando la città di Kherson.
Dopo il ritiro russo, la diga di Kakhovka, pur rimanendo sotto il controllo delle truppe di Mosca, venne a trovarsi di fatto sulla linea del fronte, visto che, mentre la riva sinistra era rimasta in mano ai russi, la destra era ora controllata dagli ucraini.
Già lo scorso ottobre i russi avevano denunciato all’ONU i presunti piani ucraini di distruggere la diga. Dal canto suo, Kiev ha accusato Mosca di aver minato la struttura e di voler addossare all’Ucraina la colpa dell’eventuale disastro.
Implicazioni militari del crollo della diga
Non esiste un video della distruzione della barriera di Kakhovka. Immagini antecedenti il 6 giugno mostrano che la strada sovrastante era già parzialmente crollata. Le chiuse della diga erano anch’esse già danneggiate e ciò impediva di regolare adeguatamente il flusso idrico.
L’ex ambasciatore indiano M.K. Bhadrakumar ha definito la distruzione della diga di Kakhovka un “delitto perfetto” anche per la relativa difficoltà di stabilire chi fra le due parti belligeranti sia maggiormente danneggiata dall’incidente.
L’inondazione seguita al crollo senza dubbio modifica, almeno temporaneamente, il teatro di guerra.
L’innalzamento del fiume rende al momento molto improbabile un suo attraversamento, in particolare da parte degli ucraini, per avanzare in direzione della Crimea. La possibilità in realtà esiste per piccoli gruppi di fanteria, ma non per i veicoli corazzati.
L’inondazione ha inoltre determinato la distruzione delle infrastrutture e l’accumulo di detriti, e lascerà ampie zone acquitrinose, rendendo difficile operare in un simile ambiente anche nel prossimo futuro.
Ad ogni modo, l’attraversamento del basso corso del Dnepr con numerosi mezzi militari sarebbe stata anche in precedenza un’operazione difficile e complessa, che rendeva abbastanza improbabile un attacco ucraino in massa lungo quella direttrice anche prima del crollo della diga.
Sono però soprattutto i russi ad aver visto finire sott’acqua le loro posizioni difensive lungo il fiume, poiché la riva sinistra è più bassa e dunque maggiormente soggetta agli allagamenti. Le forze di Mosca avevano tuttavia previdentemente costruito fortificazioni anche nell’entroterra proprio per premunirsi da una simile evenienza.
Dal canto loro, gli ucraini hanno perso il controllo di alcune isole del fiume dove avevano insediato i loro avamposti, ed anzi sono stati costretti ad una precipitosa ritirata sotto il fuoco dei droni e dell’artiglieria russa.
Criticità a monte
L’incidente determina conseguenze anche a monte di Kakhovka. Il prosciugamento del bacino idrico creato dalla diga mette a rischio l’alimentazione del canale che rifornisce di acqua potabile la Crimea. Secondo Sergey Aksyonov, leader della penisola, le riserve nel canale sono di 40 milioni di metri cubi e i serbatoi idrici sono pieni all’80%. Non ci sarebbero dunque problemi imminenti di acqua potabile.
La Crimea potrebbe avere difficoltà di approvvigionamento a lungo termine, anche se va ricordato che essa è sopravvissuta per otto anni senza usufruire del canale, che era stato ostruito dagli ucraini.
Vi è poi il rischio legato alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, al momento controllata da Mosca, il cui sistema di raffreddamento è alimentato dall’acqua proveniente dal bacino di Kakhovka. I reattori della centrale sono stati spenti ma necessitano tuttora di acqua di raffreddamento (anche se in misura inferiore).
I responsabili dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) tuttavia stimano che le pompe del sistema siano in grado di estrarre acqua anche qualora il livello del bacino cali fino a pochi metri. La centrale ha anche fonti alternative di approvvigionamento idrico, dunque non sussiste un rischio immediato.
Sebbene in alcune zone il bacino sia quasi prosciugato, la natura inconsistente ed acquitrinosa del fondale dovrebbe impedire un eventuale attacco ucraino alla centrale con mezzi corazzati pesanti. Inoltre, chiunque si appresti ad attraversare l’ampia conca di Kakhovka si troverebbe senza riparo diventando un facile bersaglio.
Catastrofe umanitaria, economica e ambientale
Il bacino di Kakhovka forniva acqua potabile, per l’irrigazione, e per l’industria, anche a numerose città sotto il controllo del governo di Kiev, tra cui Mykolaiv, Kherson e Kryvyi Rih (la città natale del presidente Zelensky). Tra 700.000 e un milione di persone rischiano di essere coinvolte.
Più di mezzo milione di ettari di terreni coltivabili, che dipendono dal bacino di Kakhovka per l’irrigazione, corrono seri rischi di diventare improduttivi, secondo il ministero dell’agricoltura. La regione meridionale di Kherson, ma anche quelle di Zaporizhzhia e Dnipro, sono le più colpite.
Alcune infrastrutture elettriche sono state sommerse dall’acqua, inclusa la centrale termica di Kherson, due centrali fotovoltaiche nell’oblast di Mykolaiv, e 129 sottostazioni. Si stima che almeno 20.000 persone siano rimaste senza elettricità dopo il disastro.
Il fiume Dnepr fino all'anno scorso era una trafficata via di trasporto per le spedizioni di grano e altro materiale. I porti fluviali movimentavano 12 milioni di tonnellate all'anno di merci, principalmente grano per l'esportazione, ma anche materiali da costruzione e altri prodotti.
Molti terminal erano stati costruiti da investitori internazionali, comprese le grandi aziende americane che controllano ampia parte del settore agricolo ucraino. Alcuni di questi terminal erano rimasti bloccati dopo l’invasione russa. Ora più di una decina di essi, e due porti fluviali, sono divenuti inutilizzabili a causa del prosciugamento del bacino di Kakhovka.
Le chiuse e le paratoie che le chiatte e le navi usavano per passare attraverso la diga sono ora bloccate da dai detriti del crollo, e dunque il fiume non è più navigabile per un ampio tratto.
La distruzione della diga ha determinato anche il rilascio di sostanze inquinanti. Innanzitutto, la rottura delle turbine e di altri macchinari della contigua centrale idroelettrica ha determinato lo sversamento di almeno 150 tonnellate di olio lubrificante nel fiume. Inoltre, il sommovimento del fondale del bacino di Kakhovka ha immesso nelle acque sostanze inquinanti precedentemente depositate.
Le acque del fiume hanno portato con sé rifiuti provenienti da siti industriali e impianti fognari, nonché depositi di fertilizzanti, inquinando le risorse idriche e il suolo.
La turbolenta storia del Dnepr
Il crollo della diga – che sia avvenuto a seguito di un attacco o di un’esplosione, o a causa del deterioramento dovuto ai precedenti bombardamenti – rappresenta dunque una seria escalation nel conflitto, avendo per la prima volta un impatto di larga scala sulla popolazione civile.
E’ inoltre un episodio che potrebbe ripetersi, poiché vi sono ben sei dighe lungo il corso del Dnepr. Quest’ultimo è infatti originariamente un fiume impetuoso, caratterizzato da una serie di rapide non navigabili.
Furono proprio queste rapide all’origine della fondazione di Kiev. La città nacque come avamposto fortificato lungo il medio corso del Dnepr, dove potevano trovare rifugio coloro che erano costretti a mettere in secco le proprie imbarcazioni per oltrepassare uno dei tratti non navigabili del fiume.
Le rapide del Dnepr furono sommerse dal bacino idrico creato dalla prima diga costruita dai sovietici a Zaporizhzhia nel 1932, all’epoca la più grande del mondo.
Nove anni più tardi, i tedeschi invasero l’Ucraina conquistando numerose città in pochi giorni. Quando giunsero in prossimità di Zaporizhzhia, su ordine di Stalin squadre speciali dell’NKVD, la polizia segreta sovietica, fecero saltare in aria la diga, nell’agosto del 1941.
Parzialmente ricostruita dai tedeschi, essa fu nuovamente distrutta da questi ultimi nell’autunno del 1943, questa volta di fronte alle avanzanti truppe sovietiche. Entrambi i crolli ebbero conseguenze disastrose.
Dopo l’immane catastrofe della seconda guerra mondiale, i sovietici ricostruirono la diga di Zaporizhzhia nel 1947. Quella di Kakhovka seguì nel 1956. E poi vennero le dighe di Kremenchuk (1961), Dniprodzerzhinsk (1965), Kiev (1966), e Kaniv (1973).
Il Dnepr divenne così una rotta fluviale continua e navigabile fino al Mar Nero. La scarsità idrica di alcune regioni circostanti fu risolta definitivamente. E fu resa possibile l’irrigazione delle terre aride dell’Ucraina meridionale e della Crimea.
I rischi di un prolungamento della guerra
Ma questo sistema di dighe è anche fragile ed esposto alle catastrofi provocate dall’uomo, soprattutto nel contesto di un conflitto armato. L’eventuale distruzione della diga di Kiev, ad esempio, esporrebbe parte della città al rischio di inondazione.
Inoltre, il fondale del bacino di Kiev contiene materiale radioattivo proveniente dalla catastrofe di Chernobyl, che un repentino svuotamento del bacino riporterebbe pericolosamente alla luce.
Il conflitto ucraino ha già dimostrato di diventare via via più distruttivo con il passare del tempo e con l’allontanarsi di qualsiasi prospettiva negoziale. La recente controffensiva ucraina, per ora arenatasi contro il sistema di fortificazioni russe, lascia presagire che sarà difficile per Kiev riconquistare porzioni significative di territorio.
L’episodio della diga di Kakhovka rappresenta un monito: il ricorso esclusivo alla forza militare è destinato a inasprire il conflitto, ad accrescerne la distruttività e ad aumentare il costo che dovrà sopportare la popolazione civile.
La ricerca di una soluzione negoziale è l’unica che può porre fine alla distruzione, ed è probabilmente anche la via migliore per preservare ciò che resta dell’Ucraina. La prosecuzione del conflitto è invece la via attraverso cui non solo Kiev, ma il mondo intero, rischiano di perdere tutto.
Infine vi segnalo qui di seguito alcune delle riflessioni che ho pubblicato nella sezione “Notes” (la nuova sezione social di substack, consultabile al link posto centralmente in alto nella homepage della newsletter):